La lingua delle cose. Maurizio Pellegrin in mostra a Venezia
LA GALLERIA MICHELA RIZZO, MARIGNANA ARTE E LO SPAZIO DELL’ORATORIO DI SAN LUDOVICO DI NUOVA ICONA CELEBRANO IN CONTEMPORANEA L’ARTISTA VENEZIANO DI NASCITA E NEWYORKESE D’ADOZIONE. CON UNA MOSTRA IN TRE CAPITOLI.
“Non volevo fare l’artista, volevo diventare un poeta”. Esordisce così Maurizio Pellegrin (Venezia, 1956) al suo ritorno a Venezia dopo l’importante progetto che lo aveva visto protagonista nel 2005, con le sue opere esposte nei principali musei della città lagunare. Non un incipit d’occasione o un tentativo di autosabotaggio, né una provocazione ironica. Basta osservare con attenzione il suo lavoro per accorgersi che in questa dichiarazione c’è di più.
PELLEGRIN FRA SINTASSI E SEMANTICA DELL’OGGETTO
Pellegrin è un viaggiatore curioso, un collezionista onnivoro ma attento alle storie e sensibile alle energie condensate negli oggetti che raccoglie. Le sue installazioni sono ensemble di ninnoli, sottovasi, cimeli curiosi, pezzi di stoffa o abiti dismessi, ingranaggi, gomitoli di filo. Sono combinazioni inaspettate di manufatti di pregio e strumenti d’uso comune, di boutique dell’antiquariato e mercatino delle pulci.
Gli oggetti disposti dall’artista sono come parole all’interno di un testo: la posizione assegnata a ciascun elemento, frutto di un attento studio e di ripetute prove, ne trasmuta l’intrinseco valore. Nella relazione con gli altri l’oggetto supera se stesso, nell’economia di senso del tutto acquisisce un nuovo significato. Proprio come accade nei sette lavori inediti su carta esposti da Marignana Arte, dove lo spazio dell’opera diventa il luogo in cui si intrecciano segni, materiali, elementi e tecniche di varia natura.
COLORI E NUMERI NELLE OPERE DI MAURIZIO PELLEGRIN
The Red, The Black and The Other è il titolo della sezione ospitata alla Galleria Michela Rizzo. Un chiaro riferimento alla tavolozza scarna impiegata dall’artista, in cui ciascun colore ha un preciso significato spirituale e rimanda a credenze mistiche, simbologie, consuetudini religiose e sociali.
I lavori sono monocromi neri, rossi, marroni, talvolta bianchi, con rari inserti in oro. È il caso delle due serie simmetriche presentate in mostra Red Venetian Papers e Black Venetian Papers, realizzate da Pellegrin a New York pensando alla sua città natale. Un’operazione che, secondo l’artista, sarebbe stata impossibile a Venezia: è la lucida distanza a permettere di affrontare in modo critico la dicotomia fra proprio e altrui, fra esterno e interno, fra casa e mondo. Gli oggetti si fanno epifenomeni del ritorno, capaci, attraverso la loro interrelazione nel presente, di parlare di ciò che è lontano nel tempo e nello spazio. Anche la numerologia svolge un ruolo centrale nella ricerca dell’artista: ad ogni elemento dell’installazione viene attribuito un valore numerico che ne rappresenta il grado energetico.
IL SENSO DELLA MISURA PER PELLEGRIN
Lo Spazio dell’Oratorio di San Ludovico di Nuova Icona ospita l’installazione site-specific Also, the Elephants travel to Venice. Come dichiara il curatore del progetto Vittorio Urbani, il lavoro esprime ancora una volta la capacità di Pellegrin di relazionarsi sapientemente con lo spazio, creando un perfetto equilibrio fra pieno e vuoto, fra dimensione dell’opera e del contesto nel quale si inserisce.
L’artista sembra possedere una ciceroniana concinnitas visiva, che investe le cose e la loro rappresentazione. Pellegrin è in effetti un poeta che usa oggetti e immagini al posto delle parole, creando testi altrettanto evocativi, metaforici, aperti. In questo senso non sembra essersi discostato molto dalla sua aspirazione, solo averla realizzata con altri mezzi.
– Irene Bagnara
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati