Damien Hirst alla Galleria Borghese. Fra inganni e illusioni
Alla Galleria Borghese di Roma è in corso una grande mostra, in cui l'archeologia e l'arte antica incontrano le opere di Damien Hirst.
Sono passati trent’anni da quando Damien Hirst (Bristol, 1965) ha scandalizzato il mondo dell’arte, e non solo, con quella che è forse la sua opera più nota: The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, il famoso squalo tigre in formaldeide racchiuso in un box di vetro e acciaio attraverso cui l’artista inglese, bloccando una creatura in una cristallizzata posa eterna, rifletteva su ciò che in fondo per qualcuno è ancora un tabù: la morte.
LA GALLERIA BORGHESE COME CONTROCANTO ALLE OPERE DI DAMIEN HIRST
Accompagnato da qualche sterile polemica, Hirst è a Roma con più di ottanta opere tra le sale della Galleria Borghese, oggi museo statale che conserva una tra le più importanti collezioni italiane private ancora in situ, alla creazione della quale fu fondamentale l’impulso del cardinale Scipione, nipote di Papa Paolo V, che nei primi decenni del XVII secolo vi sviluppò il proprio raffinato e caparbio mecenatismo.
Un luogo sacro impregnato di arte e storia in cui i curatori affiancano, in un gioco di rimandi concettuali quanto puramente iconografici o scenografici, la scultura romana, il Barocco di Bernini e ancora Raffaello, Caravaggio e Canova (per citare i nomi più noti) alle opere di Hirst. Tra queste si trovano diverse tele di varie dimensioni della serie Color Space, una ricerca post-minimal sul colore e la sua percezione, ma soprattutto una generosa selezione delle opere dell’ormai nota Treasures from the Wreck of the Unbelievable, serie già presentata con successo e clamore nel 2017 a Venezia: composta da opere già intrinsecamente forgiate da un’intenzione creativa di contraffazione e dissimulazione, ben si prestano a confondersi con l’arte antica, pronte a mettere il visitatore in guardia dagli inganni e le illusioni dell’artificio.
CON DAMIEN HIRST, WALT DISNEY EMERGE DA UN RELITTO DI DUEMILA ANNI FA
In questo ambiziosissimo progetto, l’artista ha ricreato un mondo di oggetti antichi ritrovati in un relitto sepolto per due millenni nelle profondità marine (un finto documentario ne ricostruisce scrupolosamente il recupero), un variegato universo figurativo in cui non si esita a riconoscere miti e stili da connettere a diversi universi culturali (quello greco, romano, egiziano, cinese, indiano o africano), come anche al mondo pop, con riferimenti che vanno dal design vintage di alcuni manichini a Walt Disney, dai Transformers al fetish.
I materiali di cui sono composte queste opere sono nobili, come quelli dell’eterogenea e ricca Collezione Borghese, e vanno dall’oro al bronzo, dal marmo di Carrara al granito blu o nero, e in esse sono ben visibili i segni del tempo, le inevitabili incrostazioni che, almeno fino al miracoloso salvataggio, hanno invaso superfici che per secoli sono state in un immaginario ammollo marino di perdizione e trascuratezza, incrostazioni di corallo e altre concrezioni marine che danno ancora mostra del tempo passato e che riportano nel presente la memoria che fu.
GLI INGANNI DELLE FAKE NEWS E GLI SPUNTI FORNITI DA DAMIEN HIRST
E così dal mondo greco è riemerso il piede gigante di una scultura di Apollo sul quale si è installato un altrettanto gigante ratto, che sembra famelicamente pronto a rosicchiarlo; e ancora il Minotauro in un pornografico atto sessuale o un preziosissimo busto di Nettuno in lapislazzuli e agata bianca, mentre dall’Egitto antico compaiono le rappresentazioni di Hathor e di altre divinità, faraoni e gatti sacri.
In un’epoca come la nostra in cui, secondo lo storico Adriano Prosperi, “si moltiplicano i segnali d’allarme sulla perdita di memoria collettiva e di ignoranza della nostra storia” (come di certo anche le fake news e gli effetti di una cultura digitalizzata e nozionistica), l’intervento di Hirst alla Borghese non va affatto letto come un semplice – romantico o irriverente che sia – dialogo tra passato e presente, piuttosto come una messa in guardia sugli inganni e sugli artifici della stessa memoria, che egli invece mostra pura, disseppellita dal silenzio e appena scoperta nella forma di oggetti d’arte del passato. E questi non sono nemmeno restaurati: sono così come li ha lasciati il destino e il tempo.
– Calogero Pirrera
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