Luca Maria Patella lo psiconauta approda a Modena
Arte e scienza, sperimentazione e multidisciplinarietà: sono i fattori chiave della ricerca artistica di Luca Maria Patella, a cui la Fondazione Modena Arti Visive dedica una mostra che esplora la sua produzione fotografica e filmica.
Si è costruito le fotocamere da solo: per ogni progetto artistico ha ideato e messo a punto la “macchina” giusta. È bene partire da questa informazione per presentare Luca Maria Patella (Roma, 1934) e in particolare la mostra a lui dedicata alla Palazzina dei Giardini di Modena. Un’informazione che si spiega ripercorrendo gli interessi di Patella, figlio di uno scienziato e cosmografo umanista: l’artista ha infatti competenze specifiche in cosmologia, in chimica strutturale, in psicologia analitica e in ottica.
Ecco allora svelata anche la capacità di utilizzare – spesso con sorprendenti anticipazioni sui tempi – vari media espressivi sperimentali, dal film al libro d’artista, dalla pittura al video, dalla scultura all’incisione e alle performance e ovviamente alla fotografia che, insieme ad alcune pellicole, è l’ambito d’elezione della mostra curata da Massimo Bignardi.
30 ANNI DI AVANGUARDIA PER LUCA MARIA PATELLA
La selezione delle opere copre l’arco cronologico che va dalla metà degli Anni Sessanta agli Anni Novanta del Novecento, e se il sottotitolo “utile ti sia!” trae ispirazione da La Vita Nova di Dante, la panoramica dei lavori mette a fuoco l’evoluzione dei linguaggi di Patella (la patella, intesa come conchiglia, compare spesso nei suoi scatti come firma figurata).
I confini che racchiudono l’esposizione sono la serie Paesaggio colorato del 1966 e le grandi e rarissime Polaroid del 1992: tra questi, tanti, tantissimi i “selfie”, come si definiscono oggi, ma anche l’uso di obiettivi fish eye, le doppie esposizioni, l’impiego creativo della luce e degli infrarossi e altri espedienti fotografici più o meno noti, come la tecnica del foro stenopeico. “Uno scivolamento (o una trasformazionalità) da un medium all’altro: ‘Senza Peso’. Questo è il termine che avevo coniato alla metà degli Anni Sessanta, introducendo la fotografia o diapositiva, ed assumendo per primo la cinepresa: come strumenti espressivi strutturali, nell’ambito delle arti figurative”, esplicita Patella.
PATELLA: NON SOLO FOTOGRAFIA
Ma l’intersecazione con altri linguaggi è sempre presente, anche laddove l’opera è “solo” fotografia: i titoli hanno molto a che fare con la poesia e i giochi di parole e ancora le parole fanno spesso capolino nell’inquadratura. L’incessante sperimentazione non manca inoltre di confrontarsi con i grandi classici del passato, ed ecco esposta una reinterpretazione dei Coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck (nello scatto compare la moglie Rosa Foschi, artista pure lei, che ha avuto un ruolo assai significativo nel lavoro di Patella), la ripresa del tema della natura morta e il “Templum Veneris” come soggetto delle Polaroid già citate.
Infine, i film: sono tre quelli proiettati negli spazi della Palazzina dei Giardini, tutti degli Anni Sessanta, e anche in questo caso la struttura filmica sembra proprio anticipare tanti movimenti artistici di qualche anno dopo, ad esempio la Land Art.
Massimo Bignardi definisce Luca Maria Patella “psiconauta” e conclude il saggio in catalogo scrivendo: “Diversamente da quanto affermava Flaubert, secondo il quale la ‘fotografia spodesterà la pittura’, lo ‘psiconauta’ Patella guarda oltre, lasciando le tendenze estetizzanti, in virtù di una contemplazione e di una riflessione sul sempre più stretto rapporto tra arte e scienza”.
– Marta Santacatterina
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