Matteo Boetti e le poesie dedicate al padre Alighiero Boetti

Un libro racconta il viaggio di un grande artista contemporaneo con il figlio. Il punto di vista è quello di Matteo Boetti, che mette in versi il suo rapporto con il padre Alighiero. 

Sveglia alle 6, 18 cavalli, brevetto di guida equestre, 330 ulivi… un’energia che si coglie dalla voce e dalle espressioni. Matteo Boetti presenta il suo terzo libro, dedicato al padre Alighiero Boetti. Si intitola NOMI KAWUKI ASMOPIAOS BUT il mio passero da combattimento si chiamava Cipolla. Abbiamo incontrato il gallerista presso la Galleria Tornabuoni di Forte dei Marmi dove si è svolta la prima presentazione. Ecco cosa ci ha raccontato.

Un libro che già dal titolo sembra partire da una nuova prospettiva, una memoria intima della tua infanzia, vuoi svelarci cosa sottintende il titolo?
Il titolo di per sé non vuol dire nulla, è una delle 1000 immagini del 1997. Mi sembrava lezioso inserire il nome di mio padre nel titolo. Avevo veramente un passero che si chiamava Cipolla. Cachalou era il passerotto, cicciottello, di mio padre… li facevamo lottare. È un gioco tipico afgano, il primo che si ritrae ha perso.

Alighiero e Matteo Boetti 1970 provino fotografico (rifiutato) per Breda Siderurgica S.p.A Photo @Giorgio Colombo Milano

Alighiero e Matteo Boetti 1970 provino fotografico (rifiutato) per Breda Siderurgica S.p.A Photo @Giorgio Colombo Milano

Da dove sono nate le 55 poesie che intessono il libro dedicato a tuo padre? Da quali stimoli e sorgenti?
La poesia casca dal cielo. Astraggo quello che è intorno a me, l’horror vacui della pagina bianca scatena libere associazioni mentali, giochi linguistici, assonanze. Da ex musicista, chiedo alle mie poesie di suonare in rima. La poesia libera è facile, è come la pittura espressionista: l’espressione dell’ego. Voglio visualizzare un pensiero preciso, creare linguaggio non comunicazione. La comunicazione serve a vendere la Fanta, io vendo quadri e poesia. Cosa vorrebbero dire le pennellate nere di Franz Kline? L’artista è Morandi che non fa due brocche uguali. Manzoni, Burri, Fontana, De Dominicis, Richter hanno inventato un loro alfabeto.

Chi sono gli artisti che hanno lasciato dei contributi all’interno del volume?
Nel libro ci sono molte opere di Boetti, i finti Boetti di Schifano, contributi dei suoi amici degli ’60, ’70, ’80. Sandro Chia, Nunzio, Paolo Canevari, Gallo, Stefano Arienti, Marco Tirelli, Pino Pascali, Pizzi Cannella. Compaiono anche artisti che non lo hanno conosciuto come Alessandro Bazan e Donato Piccolo.

Alighiero e Matteo Boetti, Kabul-Afghanistan, primavera 1977.

Alighiero e Matteo Boetti, Kabul-Afghanistan,
primavera 1977.

Se un sostenitore di Alighiero e Boetti si approcciasse alla lettura del tuo libro cosa vorresti fargli trovare “di più” rispetto ad altre letture sul suo conto?
Ci sono due chiavi di lettura un pò banali su mio padre. Il guru del concettuale, il vate del pensiero. Un’altra forma di lettura è quella del Boetti anarchico, un delirio di donne e brutte abitudini, sicuramente una visione esagerata “alla Jim Morrison”… La verità è nel mezzo, non è né Buddha né un delinquente della banda della Magliana. È un essere umano, con i suoi limiti. Come tutti i grandi del Novecento, aveva la maturità per svincolarsi dalle letture limitate. La sua particolarità: sapeva far vedere le sfaccettature più ardite in ciò che è dato per scontato, allo stesso tempo, era capace di cogliere l’essenza delle cose più complesse.

Qual è stata per te l’avventura più forte, quella che ti ha segnato nel profondo, che hai affrontato con tuo padre?
Il libro stesso prende spunto dal viaggio compiuto insieme. Pensa a cosa può significare per un bambino di 7 anni passare dalla scuola francese al Flaminio a mangiare pane e tè per tre settimane! Uscivo di casa a cavallo, in giro per Kabul… con due dollari compravo 7 chili di frutta e verdura, tornavo fiero da mio padre con la spesa attaccata al pomello della sella. Eravamo da soli, a campare di datteri secchi, e ceci bolliti. Mi ha insegnato ad andare oltre la materia. Avevo un’altra prospettiva: esistevano il deserto, l’altrove, l’alterità, lo spazio infinito, uno spazio poetico, che funziona per i “creatori”. Baudelaire diceva “tutti gli altri sono uomini da corvée”.

Matteo Boetti Roma 1990 all'inizio della stesura di Roma-Kabul

Matteo Boetti
Roma 1990 all’inizio della stesura di
Roma-Kabul

Come sta andando il tuo nuovo esperimento CollAge? Hai detto che dopo sei gallerie di tipo tradizionale, con le routine di inaugurazione-fiere-cataloghi, hai capito che dovevi cambiare direzione…
CollAge è una crasi di Collection e Storage. È una collezione di più di 1000 pezzi, messa in piedi dal ’93 al 2020. 9 su 10 sono pezzi che ho da 15-20 anni. Di 5 ambienti, solo uno è dedicato alle mostre temporanee, due all’anno. A maggio ho inaugurato (per i 27 anni della morte di mio padre) un’esposizione con Paolo Canevari, Bruno Ceccobelli e Nunzio.

Stai riuscendo a concretizzare la tua idea?
Dopo 27 anni di gallerie “ortodosse” ho capito che questo approccio era lontano dalla mia indole. La galleria pura mi annoia, è superata per me. Essendo tecno-fobico, ho concepito uno spazio artigianale e polifunzionale dove coniugare poesia, musica, teatro, olio e cavalli. Infatti, ho ospitato lo spettacolo di mia figlia e della sua compagnia teatrale, scritto e diretto da me, il 30 agosto verrà presentato in versione allungata al Todi Festival.

Giorgia Basili

 

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

Scopri di più