Gli artisti e la ceramica. Intervista a Sam Bakewell
Dal giardino del Somerset in cui giocava da bambino all'uso terapeutico dell'argilla. L'artista inglese Sam Bakewell racconta il suo rapporto con la ceramica, in questa intervista realizzata durante la visita alla sua ultima mostra personale, alla galleria Corvi-Mora di Londra.
Sam Bakewell (1983) è un artista di base a Londra specializzato nell’uso dell’argilla. Una borsa di studio QEST gli ha permesso di intraprendere una laurea magistrale in ceramica e vetro al Royal College of Art, che ha completato nel 2011. Ha lavorato come assistente di studio di Edmund de Waal e nel 2015 ha vinto il British Ceramics Biennial Award. È stato Ceramics Resident al Victoria & Albert Museum per l’anno 2018-19.
La sua pratica concettuale si esprime attraverso una costante ricerca tecnica. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua ultima personale – Things you take, things you take too far alla galleria Corvi-Mora di Londra – per discutere con lui della sua ricerca e del suo rapporto con la materia.
Partiamo dall’inizio: perché hai deciso di studiare ceramica?
Volevo continuare a lavorare con l’argilla, la ceramica come disciplina non era ancora un fattore importante. Sono cresciuto scavando l’argilla nel giardino del Somerset. Mio padre ha visto che mi piaceva manipolarla e mi ha iscritto a un corso serale per adulti quando avevo circa dieci anni. Ho usato l’argilla lungo il corso di tutta la mia formazione. Credo che da allora io stia solo cercando di ritornare a quella sensazione di essere perso, come un bambino, all’interno di un materiale che ha il potenziale di agire come un mezzo per una verità molto più grande.
Come trattare gli scarti sta diventando un tema centrale nel dibattito per una nuova consapevolezza ambientale, ma sono anche al centro della tua pratica. Questi due temi sono interconnessi nella tua ricerca?
Non così tanto. Le preoccupazioni ambientali hanno ovviamente un peso, ma i rifiuti che mi interessano sono più emotivi. La serie Time for Waste è nata in un periodo in cui avevo poco interesse esterno per il mio lavoro, ma dove dovevo continuare a produrre per convalidare l’investimento nel mio studio e nella mia formazione. Mi sentivo davvero malissimo ma ero incredibilmente testardo. Quando la sola cosa che hai è tempo da perdere in sforzi apparentemente inutili, in realtà hai moltissima libertà per fare e provare. Così è nata quella serie, rivalutando gli scarti che avevo sempre conservato; scarti del tavolo di argilla compressi in piccoli blocchi, blocchi levigati all’infinito fino a quando non erano perfettamente lisci, tutta la polvere di levigatura conservata e catalogata per poi diventare il make-up per gli studi di colore delle nature morte (che erano essi stessi un’ode al lavoro degli artisti che continuavano a darmi la forza per andare avanti). Così lo spreco materiale/temporale/emotivo si manifesta come polvere, scarti, avanzi, frattaglie, e un senso di convalida trovato nel futile.
Alcuni artisti italiani hanno detto molto chiaramente che la ceramica per loro significa pittura. È lo stesso per te?
Per niente. Penso sia divertente quando le persone fanno dichiarazioni su ciò che il loro lavoro è o non è, o su chi sono come artista/creatore. Perché dovrei limitare l’interpretazione delle cose che faccio? Amo tutti gli aspetti dell’uso dell’argilla, e faccio riferimento all’artigianato molto tradizionale così come all’arte concettuale. Non ho ansia da status e tengo tutti questi campi nella stessa considerazione, e spero di scivolare nella zona intermedia il più possibile.
Parte della mia mostra things you take, things you take too far è stato il tentativo di guardare al linguaggio della pittura, di pensare a come ci si sente a dipingere con il pennello, ma anche a come ci si sente a dipingere, a essere un certo pittore. Usando l’argilla in questo modo, si sovverte l’intenzione attraverso la sua specifica materialità.
Hai sottolineato più volte il ruolo fondamentale che la ceramica gioca nella gestione della salute mentale. Posso chiederti di più su questo aspetto?
Non è mai stato qualcosa che mi sono prefissato di fare, è solo diventato evidente a posteriori. Inizialmente sei inconsapevole di quanto le tue azioni suggeriscano che l’attività intrapresa sia diventata come una stampella. Dopo aver finito il master ho avuto un periodo di salute mentale molto problematico: non potevo produrre nel modo in cui avevo fatto in precedenza e ci sono stati giorni infiniti senza ottenere nulla. Ma nel nulla ho iniziato a intagliare con gli aghi delle ciocche di capelli in un pezzo di porcellana essiccata di 6 cm, solo per provare uno smalto. Ho finito per scolpire per due anni fino a quando non c’era più niente da scolpire e avevo la matassa di capelli della bellezza che volevo.
Avevo usato in questo modo altri oggetti, che avevano un significato troppo emotivo e che erano stati fatti per esternare un senso di controllo quando mi sentivo come se stessi precipitando. I capelli, le spirali e le pieghe sono tutte forme archetipiche junghiane, quindi aveva senso che queste sembrassero le forme in cui cadevo quando gestivo il mio subconscio. Non posso dire che sia stata una forma di terapia, perché in quel momento non avevo idea di cosa stessi facendo o il perché, ma il fare mi faceva andare oltre il semplice scopo. Anche Time for Waste viene da questo momento. L’argilla è così utile nella terapia dell’arte per la sua capacità di rispecchiare il subconscio; la specifica natura umida, malleabile, fangosa e resistente dell’argilla bagnata può agire in modo da esternare il pensiero attraverso le dita, per rendere afferrabile qualcosa di intangibile.
– Irene Biolchini
www.corvi-mora.com/artist/sam-bakewell/
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