Dante pellegrino universale. Al Festival di Spoleto
Nell’anno del settimo centenario dantesco, anche il Festival dei Due Mondi rende omaggio al Poeta con un ricco programma in cui spicca la drammaturgia linguistico-allegorica di Piero Maccarinelli, che ha voluto evidenziare il tema universale dello smarrimento portando in scena i primi sette canti dell’Inferno.
Come scrisse Benedetto Croce, leggendo la prima giornata del poema dantesco ci si ritrova “in una selva che non è una selva, e si vede un colle che non è un colle e si mira un sole che non è il sole, e si incontrano tre fiere che sono e non sono tre fiere”. Forse è più importante quello che sta dentro al pellegrino, rispetto a quello che sta al di fuori; forse ciò che sta fuori è la proiezione di particolari condizioni dell’anima. Le antiche vestigia di San Simone vengono trasformate da Piero Maccarinelli in una sorta di oscura caverna, che ricorda quella di Platone, ideale luogo metaforico per la ricerca della verità. A suggerire l’ambientazione concorre anche l’impianto visivo – ideato da Fabiana Piccioli e Sander Loonen –, sui toni del bianco, del nero e del rosso. Il suono di Franco Visioli, invece, fra tamburi di morte, lamenti soffocati, fruscii e crepitii, scandisce le tappe di questo viaggio di conoscenza e sofferenza.
DANTE E IL PECCATO DELL’IGNORANZA
Grazie a un allestimento scenico concettuale, che mette al centro la parola, diventata racconto del quotidiano, Maccarinelli rende omaggio alla dimensione terrena del poema che, nonostante si svolga nell’aldilà, è intriso di vicende profane: politica, guerra, amore, i fatti grandi e piccoli della Storia. Ed è la dimensione linguistica a restituire al pubblico tutta la poetica schiettezza medievale con cui Dante discettava sull’umanità. Ma poiché nel Medioevo si discettava anche e soprattutto per simboli, il regista asseconda la fascinazione dantesca per l’allegoria; lasciando i personaggi in abiti contemporanei, viene sottolineata la loro atemporalità, un’operazione teatrale per significare come la condizione del peccato sia universale.
Ma occorre spiegare cosa intende il regista per “peccato”. Se ricordiamo il monito di Ulisse nel XXVI canto, “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”. Anche l’ignoranza, quindi, intesa come rifiuto del sapere, è da considerarsi una condizione peccaminosa, in quanto impedisce il compimento spirituale dell’essere umano. In quest’epoca in cui la barbarie dell’assuefazione tecnologica sta erodendo il senso critico, Maccarinelli porta in scena lo smarrimento dell’individuo quando mancano figure e valori di riferimento. All’epoca di Dante, in quella fatidica Settimana Santa del 1300, Papato e Impero erano in crisi, l’Europa cercava un ordine; lo cerca ancora oggi, e con lei l’umanità tutta.
PIERO MACCARINELLI AL FESTIVAL DI SPOLETO
Lo spettacolo scorre con ritmo solenne e drammatico, trovando il suo brio nella forza della parola che si fa azione, evento, stato d’animo. Nelle vesti di Dante, Luca Lazzareschi dà vita a un individuo che, prima ancora di essere un poeta, è un moderno Diogene che ha smarrito i propri punti di riferimento. Massimo De Francovich è un Virgilio misurato che esprime la forza che può nascere solo dalla tranquillità della saggezza, tranquillità sottolineata dalla pacatezza della voce, e che contrasta con l’affanno di Dante. Delicate le interpretazioni di Manuela Mandracchia che presta il volto ora a Beatrice, di cui esalta la spiritualità, ora a Francesca, sensuale e dignitosa nel suo dolore per il brutale epilogo che ha chiusa la sua storia d’amore. Infine, Fausto Cabra esalta di volta in volta l’aura minacciosa di Minosse, Caronte e Pluto, e sottolinea il ruolo di messaggero di Ciacco, pur contorcendosi nei tormenti infernali.
Uno spettacolo allegorico, drammatico, evocativo, diretto con la discrezione del grande regista, che lascia spazio agli attori e alle parole, e, da architetto di formazione, rispetta e valorizza la struttura di parole su cui poggia la Commedia, ne fa l’elemento drammaturgico principale e lancia un sottile messaggio di recupero della lingua italiana, purtroppo sempre più negletta dagli stessi italiani.
– Niccolò Lucarelli
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