Loki. Una serie tv insospettabile per gli amanti dell’architettura
La nuova produzione di casa Marvel - disponibile sulla piattaforma Disney+ - conduce gli spettatori in un viaggio attraverso suggestive ambientazioni novecentesche. Tra grandeur modernista e severità brutalista
Siete appassionati di design modernista, brutalista e neofuturista? Allora avete un buon motivo per guardare Loki, la serie Marvel su Disney+ con protagonista Tom Hiddleston. Le forti influenze artistiche novecentesche, portate sul piccolo schermo dallo scenografo iraniano Kasra Farahani, fanno di questa serie un piccolo cult dell’architettura, a partire dalle prime scene. Un set – realizzato su misura – reca una somiglianza estrema con l’atrio dell’edificio di Marcel Breuer a New York, che oggi ospita la collezione Frick, mentre un’altra è stata girata nell’hotel neo-futurista Atlanta Marriott Marquis, progettato dall’architetto John C. Portman Junior.
FANTASCIENZA MODERNISTA
Se la regista di Loki, Kate Herron, ha definito questa serie una lettera d’amore alla fantascienza – con omaggi che spaziano da Brazil ad Arancia meccanica e Blade Runner – questo tributo è inquadrato in una visione artistica dal sapore tardo novecentesco: le influenze sono quelle di Frank Lloyd Wright, Marcel Breuer, Pier Luigi Nervi, Mies van der Rohe, Paul Rudolph e Oscar Niemeyer, ma c’è anche un sapore di brutalismo sovietico. Stando alle parole dello stesso Farahani, dato che molta parte della storia gira attorno ad una burocrazia fittizia, la TVA, l’ispirazione principale non poteva che quella modernista, la corrente che più di tutte ha influenzato l’immaginario americano della fine del secolo scorso per via del suo massiccio utilizzo negli edifici istituzionali.
DAL MONUMENTALE ALL’ART DECO
Prospettiva architettonica ricorrente, dal gusto brutalista, è anche la monumentalità (a partire dal grande atrio dell’Atlanta Marriott Marquis) che vuole rispecchiare una sensazione di intimidazione e soggezione da un lato, e di gentilezza e calore dall’altra: una dualità che torna spesso nel tono ironico e punteggiato di comic relief della serie. Il sapore risultante è fumettistico, e non a caso: per gli spazi della TVA, che esiste al di fuori del mondo fisico e non reca differenza tra interni ed esterni, molti spunti provengono dalle super città dei fumetti, con i loro tratti noir, ma anche dall’architettura classica con crasi volutamente anacronistiche e inedite. “Per me è molto importante non fare riferimento a una scenografia di altri film, ecco perché faccio riferimento all’architettura, alla pittura, alla fotografia, a queste altre forme d’arte, più di ogni altra cosa. Inevitabilmente quando lavori sugli archetipi c’è un sacco di sovrapposizione“, ha raccontato lo scenografo ad Art Newspaper. Anche la trama, e (senza spoiler) i suoi salti temporali, hanno permesso a Farahani di sperimentare con i suoi miti: c’è una scena su un vagone del treno che ha un aspetto molto Art Déco, e nell’incontro con i Timekeeper sembra di trovarsi in una piramide precolombiana.
– Giulia Giaume
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