Sbocciare nella reciprocità (V). Il dissidio fra consumo ed esperienza
Nuovo capitolo della serie di saggi di Christian Caliandro dedicata all’esperienza dei “Cantieri Montelupo”, il progetto che il critico d’arte sta curando per il Museo della Ceramica della cittadina toscana.
Biblioteca-MMAB, Montelupo Fiorentino 22 giugno 2021. “La conquista dell’ubiquità” (Paul Valéry).
Pierre Huyghe
Eva Hesse / Douglas Huebler
John Baldessari
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29 giugno 2021. De Chirico – Picabia – Tatlin – Schwitters – Balla
(Gorky)
De Kooning – Bacon – Dubuffet – Fautrier – Burri – Fontana – Wesselmann – WARHOL – Segal – Guston – Schifano – Bourgeois – Beuys – Benglis – Abramović – Kusama – Ruscha (via Santa Nastro)
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Black Sabbath
Depeche Mode
Grace Jones
“14 ottobre 1978.
Arte come esplorazione personale.
Arte come soluzione della domanda ‘cos’è?’ o ‘cosa significa?’.
Il significato dell’arte per come viene percepito dallo spettatore, non dall’artista.
Le idee dell’arte non sono fondamentali per l’opera così come viene vista dallo spettatore.
Lo spettatore è un artista, nel senso che concepisce un certo percorso, che è unicamente suo.
La sua stessa immaginazione determina che cos’è, cosa significa.
Lo spettatore non deve essere preso in considerazione durante la realizzazione dell’opera, ma non gli va detto, dopo, cosa pensare o come intenderla o quello che significa. Non c’è bisogno di definizione.
La definizione può essere lo strumento più pericoloso e distruttivo che l’artista utilizza quando produce arte per una collettività di individui.
La definizione non è necessaria.
La definizione vanifica se stessa e i suoi scopi definendoli.
Il pubblico ha diritto all’arte.
Il pubblico viene ignorato dalla maggior parte degli artisti contemporanei.
Il pubblico ha bisogno dell’arte, dunque è responsabilità di chi si ‘autoproclama artista’ rendersi conto che il pubblico ha bisogno d’arte; ma non il fare arte borghese per pochi e ignorare le masse.
L’arte è per tutti. Pensare che loro – il pubblico – non apprezzano l’arte perché non la capiscono e continuare a fare arte che essi non capiscono e dalla quale perciò si estraniano, può significare che l’artista non capisce o non apprezza l’arte e prospera in questa ‘conoscenza dell’arte autoproclamata’, che alla fine è una grande stronzata” (Keith Haring, Diari, Mondadori 2001, pp. 18-19).
16 luglio 2021. L’esperienza profonda è l’esatto contrario del consumo. Il consumo aderisce solo alla superficie, la percorre, ma non la penetra neanche in misura minima. Consumo dei luoghi, dei beni, degli oggetti culturali, delle persone e del tempo.
Il consumo si estende orizzontalmente, ma non scende mai, non si (sof)ferma: questa è la sua disgrazia e la sua trappola. Disgrazia e trappola invisibili, impercettibili, perché il consumo e i consumi sono strutturati proprio per dare l’illusione dell’esperienza, estraendo ed eliminando lo sforzo, la concentrazione, il fallimento, lo scacco, la conquista e la perdita.
Tutti elementi che, invece, fanno parte del territorio dell’esperienza. La profondità dell’esperienza consiste nella sua capacità di scendere a fondo, giù giù giù, di scandagliare – un momento, un posto, uno spazio/tempo, un’opera, un ricordo ‒, di non fermarsi al primo o al secondo livello ma di continuare a indagare ancora e ancora, anche quando (inevitabilmente) questa operazione costa fatica e anche un po’ di dolore.
In cambio, l’esplorazione dei “livelli sotterranei” dell’esperienza profonda permette di coglierne aspetti, contraddizioni, sfumature, ambiguità, conseguenze e risultati che non sono affatto visibili al primo sguardo. Più che visibili, diremo vivibili: l’esperienza implica infatti il contatto diretto e prolungato con il proprio oggetto. È come un rapporto amoroso: noi possiamo anche avere tanti incontri fugaci, ma una persona la conosciamo almeno un po’ solo nel momento in cui viviamo con essa una relazione che si estende nel tempo e nello spazio.
Dunque, l’esperienza profonda permette di affinare la percezione e il gusto, di catturare e collegare tanti elementi che prima risultavano inspiegabilmente sparsi – e non lo erano. L’esperienza profonda è di natura ossessiva: prevede la ripetizione di gesti, azioni, situazioni. Solo nello sperimentare la ripetizione, infatti, ci si accorge degli scarti. Scarti nei due sensi: fattori e figure che “scartano” rispetto allo standard, alla condizione che regola il senso comune e la “normalità”; fattori e figure che vengono generalmente “scartati”, proprio dal senso comune e dalla normalità, perché percepiti e considerati anomali, ininfluenti, irrilevanti. Il consumo diffida molto dell’esperienza profonda – così come il centro della periferia.
ESPERIENZA E DISTURBO
Inoltre, l’esperienza profonda permette di distinguere tra il disturbo da rumore bianco, fatto di quelle interferenze che infestano le ore e i minuti della nostra giornata e che ci distraggono costantemente, elementi che richiedono con insistenza la nostra attenzione e che ci impediscono di fatto di concentrarci sul serio (per esempio, le notifiche, le chat, i social, le chiamate, i messaggi, ecc.), e le interferenze necessarie invece, cioè quegli elementi che intervengono a “distrarci” attivamente, che ci distraggono dal nostro percorso programmato (il nostro Programma), che ci portano da un’altra parte e che ci invitano a perderci, a deviare, a deragliare. E a basare la nostra vita sull’incontro imprevisto, su una estensione indefinita dell’esperienza che non si accontenta della crosta, ma che addenta e gusta e digerisce ed espelle – e ragiona durante l’intero processo – e interpreta, e racconta, e trae conclusioni, e tira fuori altre domande e riflessioni – che generano a loro volta altri incontri imprevisti, altri incontri con l’imprevisto.
“Non so se sia ancora di moda elaborare a lungo le opere poetiche, mantenendole fra l’essere e il non essere, sospese per anni di fronte al desiderio; coltivare il dubbio, lo scrupolo e i pentimenti, ‒ al punto che un’opera sempre ripresa e sempre rielaborata assuma poco a poco l’importanza segreta di un’impresa di riforma di se stessi” (Paul Valéry, Il Cimitero marino, Mondadori, Milano 2000, p. 39).
‒ Christian Caliandro
LE PUNTATE PRECEDENTI
Sbocciare nella reciprocità (I)
Sbocciare nella reciprocità (II)
Sbocciare nella reciprocità (III)
Sbocciare nella reciprocità (IV)
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