A Venezia la moda sfila in università. Intervista a Maria Luisa Frisa
In occasione di Fashion at IUAV, la sfilata delle creazioni di moda realizzate dagli studenti dell’Università, abbiamo intervistato Maria Luisa Frisa, docente del Corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali. Il Graduation Show si è svolto il 2 luglio a Venezia, nell’intima cornice del giardino del Cotonificio nel sestiere di Dorsoduro.
Sulla passerella di Fashion at IUAV hanno sfilato le migliori collezioni di abiti e accessori firmate dai laureandi del corso triennale coordinati da Christian Pellizzari e dai laureandi del corso magistrale coordinati da Fabio Quaranta. Nonostante le difficoltà e le restrizioni dovute alla pandemia, le creazioni sono state caratterizzate da una progettualità estremamente attuale, dallo slancio innovativo, nonché da una riflessione sulle diverse tematiche dei Global Goals 2030.
“Il territorio della scuola” – afferma Maria Luisa Frisa – “è molto libero e formato da una comunità molto coesa di studenti e docenti in continuo confronto e conversazione. Questo, secondo me, crea uno spazio permeabile a stimoli, nonché una capacità di intercettare ciò che accade intorno. Gli accademici e i progettisti provengono da luoghi diversi, alcuni dal mondo della professione, studenti del primo e secondo anno si confrontano tra loro, si crea pertanto un territorio molto attento e vivace. Tutto questo si riflette nella sfilata finale, ossia nel momento in cui ci si presenta al pubblico”.
PAROLA A MARIA LUISA FRISA
Molte delle creazioni sembrano ispirate alla stessa Laguna di Venezia.
Essere situati a Venezia è utile, in quanto la città è molto internazionale. Nonostante sia piccola, propone Biennali d’arte e architettura, danza, cultura, cinema e altro ancora.
Vi sono grandi Fondazioni come, ad esempio, Palazzo Grassi, Punta della Dogana, Fondazione Prada. È un contesto molto fervido in cui gli studenti possono accedere alla produzione di artisti, lavorare e fare degli stage all’interno di queste istituzioni. Qui non siamo a Milano, assorbiti all’interno della grande città, con il rischio di fare sempre le stesse cose in un ambiente che, di fatto, è “moda-moda-moda”. Pertanto gli studenti risentono sicuramente della cultura del posto, del modo di intendere il colore, ad esempio, ma hanno anche maggior libertà che altrove. Lo IUAV non è una grande università in cui ci si disperde, bensì una piccola realtà in cui si ha la possibilità di accedere ad altri corsi, concentrarsi e familiarizzare, molto più facilmente che in altri luoghi.
Einstein sosteneva che “la creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato”. Nella tua esperienza, ritieni che la pandemia possa aver avuto non solo effetti negativi, ma anche un’influenza positiva sulle creazioni degli studenti?
Da un lato ha spinto l’immaginazione, dall’altro è stata una fortissima molla per cercare di realizzare il meglio. Molti studenti si trovavano in ateneo, altri sono dovuti tornare a casa. Io insegno pratiche curatoriali nella moda, propri ieri i ragazzi hanno sviluppato un progetto lavorando tutti insieme. Ne è nata una piccola pubblicazione, al termine della quale hanno tutti condiviso la gioia di essere tornati in presenza, la voglia di fare, di essere insieme e di poter esprimere tutto quello che sentivano dentro.
MODA E PANDEMIA
Parlando di mostre, secondo te, la nostra percezione dello “spazio” ha subito cambiamenti? Cosa pensi delle nuove sperimentazioni ibride tra online e spazio fisico?
Credo che lo spazio fisico sia comunque necessario, il digitale va bene se è complementare o se non è possibile fare altro, ma l’esperienza della mostra, del museo o della sfilata è fisica, tattile: di persona posso soddisfare anche il desiderio della mente di toccare ciò che vedo.
Riallacciandoci alle suggestioni del mondo analogico e della stampa, che è parte del patrimonio storico-culturale di Venezia, come nasce la rivista accademica Dune?
Dune è stampata dalle Grafiche Veneziane, pertanto segue questa tradizione. Il team attuale è composto da persone giovani, ma non vi è mai stato alcun momento di esitazione in merito. La percezione delle riviste digitali è diversa, cambia il modo di vedere la sequenza delle immagini, dei temi e degli argomenti. Il cartaceo invece è tattile, nel momento in cui lo apri e sfogli ti lascia percepire la sua tridimensionalità. Lo schermo appiattisce le differenze nelle immagini, mentre la stampa ne esalta i dettagli. Dune vuole essere un oggetto di conoscenza, che rimane. La rivista è edita da Flash Art. I donors, come ad esempio Maria Grazia Chiuri, Nicoletta Fiorucci, Maison Valentino e Manteco, credono nel progetto e lo supportano.
MODA, EDITORIA E DIGITALE
Qual è la vostra finalità editoriale?
Dune nasce all’interno dell’università, dal gruppo di lavoro di Moda, il suo tema è dunque questo. L’idea era creare una rivista accademica porosa ai diversi argomenti che riguardano la moda, un approfondimento fruibile da un pubblico più vasto. Ed è qualcosa fatto in Italia, pertanto è un mezzo per affermare una nostra progettualità e un modo di lavorare sulla moda contemporanea. Siamo molto contenti, perché il terzo numero, quello appena stampato, ha ricevuto circa 70 proposte internazionali di partecipazione.
Che cosa significa parlare di moda?
Parlare di moda non significa discutere di vestiti o lunghezza delle gonne, bensì analizzare quanto questi oggetti siano rilevanti all’interno di un sistema, individuandone significato e ruolo, con i relativi contenuti e valori. Quindi noi dobbiamo creare una nuova generazione di persone che sono in grado di usare gli strumenti critici adatti alla lettura della moda.
– Elena Arzani
https://www.instagram.com/iuav_moda/
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