Giacon il multitasking
Ferruccio Giromini e la sua “Opera sexy”. Questa volta l’artista su cui si focalizza è un italiano precoce, il veneto Massimo Giacon. Che già a 18 anni compariva sulle riviste, ma intanto calcava pure i palchi, e poi i videogame, il design…
Massimo Giacon (Padova, 1961) non è certo un esordiente. È emerso precoce nel ’79, ma da allora si è moltiplicato in direzioni talmente diverse da far perdere presto la bussola non solo ai distratti. È stato il fumetto (su Frigidaire, Linus, Alter, Blue, XL…), sua stella polare, a guidarlo via via su molte altre rotte, all’insegna di una insopprimibile crossmedialità. Musicista indie, ha sperimentato a partire dal 1980 nel progetto TraX, complici gli incontenibili Piermario Ciani e Vittore Baroni, e ora si esibisce con il fido combo The Blass; animatore, dal 1984 ha progettato character, videogame, miniserie e short per svariate committenze; dal 1985 designer per Sottsass, Mendini, Thun, ha lavorato come progettista pure per Alessi, Swatch, Artemide, Memphis; artista tentacolato, infine, da trent’anni si infiltra a sorpresa in gallerie, fiere e musei con opere difficilmente catalogabili, a cavallo impertinente tra pittura, grafica, design e performance.
Però, artista puro e/o applicato che sia, sempre si fa riconoscere per uno specifico spiritello anarchico e provocatorio, che adora intrufolarsi con allegra tracotanza nei labirinti delle perversioni feticiste. Sì, Giacon è un guru bizarre e se ne vanta; ovvero, non si tira indietro se c’è da rappresentare qualche congresso sessuale “normale” e/o “anormale” (ammesso e non concesso che ivi esista una “norma”), con particolari predilezioni per lo sberleffo etico/estetico. Di fatto, a partire dalla mostra/libro Sexorcismo 2000 (Lipanjepuntin) e fino al recentissimo libro-mostro La quarta necessità firmato con Daniele Luttazzi (RCS Lizard), nelle sue ricette ricorrono abbondanti spezie piccanti e stimolanti, di acceso retrogusto pop, proposte sempre con sbieco savoir faire.
L’ultimo esempio si è visto a Bologna alla scorsa Arte Fiera, nello stand di Bonelli: uno shocking-totem pezzo unico in ceramica ad altezza uomo. Dice: “L’ho realizzato a Nove, nel vicentino, con l’aiuto di artigiani bravissimi. All’inizio volevo intitolarlo ‘After the Boom’, ma poi ho pensato a un titolo più semplice: ‘Shelter’, rifugio. L’originaria idea apocalittica era del 2009, ma nel 2012 è diventata attualissima e si è trasformata in un’opera più che postatomica, postberlusconiana, con le sue tette finte e il feto morto che trova una specie di sterile rifugio sopra questa montagna di silicone. La volgarità dell’opera è accentuata dagli accessori, che possono cambiare secondo l’estro del momento: un mazzo di fiori finti, una cannuccia e della cocaina, una radiolina, un cactus…”. Così l’artista ci conferma che oggi come oggi l’eros medio non sembra essere altro che pacchiano e apocalittico. Povere zinne sgonfie, povero piccolo aborto, poveri noi.
Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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