Botticelli incontra l’arte contemporanea a Rovereto

Al MART di Rovereto va in scena un dialogo che attraversa i secoli e che stabilisce un legame inaspettato fra il maestro del Rinascimento e i colleghi del Novecento e oltre.

Botticelli “in carne e ossa” e poi, senza soluzione di continuità, i suoi echi nell’arte e nell’immaginario contemporanei. La mostra Botticelli. Il suo tempo. E il nostro tempo riunisce nella prima parte, dalla struttura distesa e scandita, opere del maestro rinascimentale contestualizzandole con lavori coevi, mentre nella seconda sezione, vulcanica e “panottica”, ne verifica la persistenza odierna.

IL RINASCIMENTO DI BOTTICELLI

La prima parte, curata da Alessandro Cecchi, si sviluppa in ordine cronologico e ripercorre “a campione” le varie fasi botticelliane con opere del maestro e di bottega. Si inizia con la fase giovanile, incontrando subito lo sguardo straordinariamente interlocutorio del Ritratto di fanciullo con mazzocchio (1470-71 circa), primo di sette prestiti dagli Uffizi. Per circostanziare la fase giovanile, il dipinto è accompagnato da esempi della poetica di Filippo Lippi, alla cui bottega Botticelli si formò.
Proseguendo, Pallade e il centauro, del 1482 circa, propone già un esempio delle figure femminili botticelliane che rimangono nell’immaginario collettivo odierno, mentre opere come la Flagellazione del 1495-98 mostrano una straordinaria caratterizzazione plastica. Passando per accostamenti con lavori del Pollaiolo e di Andrea del Verrocchio, si giunge a opere come il Compianto sul Cristo morto di inizio Cinquecento in prestito dal Poldi Pezzoli di Milano e alla maestosa coralità dell’Adorazione dei Magi (1509-10 circa), tra le ultime opere eseguite, ancora una volta custodita dagli Uffizi. Ed è la presenza ipnotica a metà percorso della Venere del 1495-97 proveniente dai Musei Reali di Torino (che fa qui in un certo senso le veci della celeberrima Nascita di Venere) a far cambiare prospettiva e a innescare idealmente, più delle altre opere qui riunite, il confronto con lo sguardo odierno.

Sandro Botticelli, Venere, 1495-1497 c. © MiC - Musei Reali, Galleria Sabauda

Sandro Botticelli, Venere, 1495-1497 c. © MiC – Musei Reali, Galleria Sabauda

DAL PASSATO AL PRESENTE

Terminata la sezione rinascimentale, la sezione contemporanea curata da Denis Isaia esplode in un colpo d’occhio (la maggioranza delle opere sono racchiuse in un’unica, grande sala).
Ci s’imbatte subito nella ripresa e nella moltiplicazione delle icone botticelliane: le reinterpretazioni di Giosetta Fioroni e Mario Ceroli adottano canoni cinetico-cinematografici (non a caso i loro lavori dialogano proprio con estratti di film di Visconti, Gilliam, Cuarón, Polanski proiettati su due schermi sospesi al soffitto). La riproducibilità dell’immagine, che sia in forma pittorica oppure scultorea, è il vero tema della citazione dei due artisti: il suo scorrere e frangersi in mille frammenti più tecnologici che umani.
Sempre in quota “pop all’italiana” c’è poi il grande dipinto su tessuto imbottito di Cesare Tacchi, mentre la monumentale fantasia bucolica di Renato Guttuso (Primavera, 1985) non appartiene al meglio della sua produzione ma è efficace nel rappresentare il “luogo comune” come consapevole modulo espressivo. La Primavera di Piero Gilardi (uno dei suoi tipici Tappeti natura) è un trionfo dell’artificiale che però finisce per essere maestoso e “realistico”, mentre la celebre Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto rivolge le spalle allo spettatore e gli nega il proprio sguardo, regalandolo invece alla montagna di tessuti d’occasione evocata dal titolo. Stimolante la presenza di John Currin con un’opera del 1996, leggermente precedente al suo stile oggi conosciutissimo, ma che riecheggia e distorce alla perfezione certe caratteristiche dei corpi botticelliani.

KITSCH, MODA E FOTOGRAFIA

C’è il kitsch voluto che diventa sublime, ad esempio nella Rebirth of Venus di David LaChapelle, e talvolta quello mal gestito oppure involontario. Nel servizio di Michal Pudelka per Vogue che ritrae Chiara Ferragni agli Uffizi, poi, si verifica una sorta di cortocircuito culturale nel quale l’ambizione da star entra in contatto con la dimensione inconsapevolmente dimessa e maldestra di certe scene da turismo di massa.
La moda è rappresentata dalle creazioni pionieristiche di Rosa Genoni e da quelle contemporanee di Valentino, mentre la sezione sulla fotografia risulta tra le più efficaci nel confronto tra ispirazione rinascimentale e declinazione contemporanea. L’apparente accessibilità dell’immagine fotografica crea infatti un accesso diretto al confronto, che negli scatti di Aldridge, Davey, Djikstra, Lux, Teller, Walker diventa una sorta di stimolante discesa agli inferi fatta di ambiguità e consapevolezza, sardonica deviazione dal canone e ricerca di una bellezza possibile anche nel caos del mondo d’oggi.
Il dialogo tra antico e contemporaneo instaurato dalla mostra è dunque via via letterale oppure metaforico, citazionista oppure iconoclasta. Con diverse sfumature: l’idea di bellezza femminile botticelliana è talvolta citata in maniera diretta e voluta, altrove in maniera quasi inconscia. Come se ad agire fosse un retropensiero che dimostra come certe immagini, nel loro percorso dal capolavoro assoluto allo stereotipo, siano un istinto “automatico” e imprescindibile della cultura visiva occidentale.

Loretta Lux, The Rose Garden, 2001 © Loretta Lux, Courtesy Yossi Milo Gallery, New York

Loretta Lux, The Rose Garden, 2001 © Loretta Lux, Courtesy Yossi Milo Gallery, New York

INQUIETUDINI A CONFRONTO

Tra le varie linee parallele che collegano in mostra i capolavori botticelliani e le loro reinterpretazioni contemporanee, una delle più interessanti è quella che ha a che fare con la dimensione del perturbante. Il punto d’origine di questo percorso giunge alla metà della sezione rinascimentale, con la Venere in prestito da Torino. Le caratteristiche inusitate, se viste con gli occhi di oggi, del corpo raffigurato si ricollegano ad alcune opere contemporanee che smentiscono l’idea di perfezione idealizzata comunemente associate nell’immaginario collettivo alle figure femminili di Botticelli.
Opere che aprono a una dimensione del corpo controversa e contrastata, “nordica”, altera e conturbante. Nel dipinto di John Currin, ad esempio, la figura femminile è conforme e difforme, seducente e mortifera: vive in un limbo tra assolutezza idealizzata e velenosa caratterizzazione. La franchezza dello sguardo contende l’attenzione alle linee del corpo, mentre a livello di luce e colori i toni pastello si contraddicono in una generale atmosfera allucinata.
Ma è soprattutto nelle opere fotografiche che questa linea si esprime. In Rineke Djikstra la posa del corpo è perfetta nel suo essere sbilenca, fatta di alternanza di pieni e vuoti, mentre la dignità del soggetto poggia proprio su canoni di non conformità. Le fantasie che compenetrano la sfera umana e vegetale di Miles Aldridge presentano un’idea di grazia che viene smentita da uno sguardo spento e da toni taglienti perché surreali; nel ritratto di Kate Moss a opera di Juergen Teller la bellezza viene invece dal disfacimento in nuce, mentre una dimensione propriamente “diabolica” è quella esplorata da Loretta Lux con la sua bambina horror. La Botticelli’s Venus di Joel-Peter Witkin, poi, è androgina, scatologica e mortifera eppure quanto mai libertaria e vitale. Nei canoni di una bellezza che rimane assoluta anche quando è “negativa”, si insinua e trionfa dunque il seme del perturbante e di una diabolica, verosimile realtà/irrealtà.

Stefano Castelli

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #24

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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