Unificare i musei a Roma per garantire un futuro alla città. Parla Luigi Prestinenza Puglisi
Prosegue il dibattito sulla proposta di Carlo Calenda, candidato sindaco nella Capitale, di creare un unico polo museale nell’area del Campidoglio dedicato alla Roma antica Lo storico dell’architettura Luigi Prestinenza Puglisi è favorevole e individua in questa idea un’utile ipotesi per il futuro della Capitale.
Sto seguendo poco e molto distrattamente la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Roma. Ieri gli occhi mi sono caduti su un paio di post di Carlo Calenda. Non erano le solite chiacchiere. In genere i candidati, immagino Calenda stesso, fanno promesse scontate: più servizi, più verde, meno traffico, un migliore bilancio comunale. Invece in questi post Calenda annunciava una linea culturale originale, un nuovo modo di porsi rispetto ai musei sui quali raccogliere un consenso niente affatto scontato. E a provarlo erano decine di commenti che lo sbeffeggiavano, lo trattavano da ignorante, da incompetente e lo invitavano a tacere. Ecco la proposta riassunta in due parole: “basta con la stupidaggine che il piccolo è bello, basta con musei polverosi e autoreferenziali, pensiamo a un modo moderno di organizzare la cultura”. Se Roma, e questo era il messaggio implicito, vorrà avere un ruolo nello scenario europeo, potrà farlo puntando sulla sua storia.
QUALE FUTURO PER ROMA?
Nei prossimi decenni Milano sarà la capitale della moda e del design, Parigi dell’arte, Londra delle culture alternative, Barcellona della movida. Roma acquisterà un posto in questo scacchiere europeo solo mettendo a frutto le sue risorse: l’essere stata per oltre un millennio il centro del mondo, della civiltà. E va da sé che, se questo è l’obiettivo, non si può ottenerlo solo attivando qualche raffinata mostra, inaugurando un museo in cui ci sia un buon bar e un ordinato bookshop, qualche colta esposizione di statue. Occorre pensare più in grande. Traendo ispirazione da quei Paesi che operazioni del genere hanno attivato con successo. Per esempio la Francia con Parigi. Ha avviato e concluso un programma sistematico di opere pubbliche imponenti e particolarmente significative non tanto dal punto di vista del risultato architettonico (la piramide del Louvre di Pei può piacere o non piacere, così come il Museo d’Orsay della Aulenti o il Pompidou di Franchini, Piano e Rogers), ma dell’organizzazione dell’offerta culturale. Il Louvre, dopo l’ampliamento ottenuto trasferendo in altra sede gli uffici del Ministero delle Finanze, è uno dei più grandi e meglio organizzati musei del mondo, il Pompidou, grazie a investimenti annuali cospicui, un centro espositivo di livello internazionale che non si può non visitare almeno uno volta l’anno, e la Gare d’Orsay è il migliore museo delle arti figurative dell’Ottocento.
UNIFICARE GLI SPAZI MUSEALI
A questo punto ci accorgiamo della politica culturale disastrosa romana che, invece, ha frammentato gli spazi museali, rendendoli non comunicanti. Se andiamo ai Fori, vediamo che alcune aree sono gestite dallo Stato, altre dal Comune. E il museo didattico che racconta l’antica Roma si trova a chilometri di distanza, all’Eur. Chiedere di unificare queste strutture, dando vita nell’area del Campidoglio a un grande spazio espositivo, pensato anche per il grande pubblico, dovrebbe essere scontato. Invece fioccano le proteste. E non solo di coloro che dalla frammentazione traggono benefici (piccole strutture quasi feudali, tante teste a comandare, minore efficienza, moltiplicazione delle spese per iniziative locali e spesso di scarso valore), ma di una certa parte della cultura che crede che in questo modo si snaturino le peculiarità di luoghi polverosi e falsamente incantati (anche perché alcuni sono letteralmente vuoti).
ROMA NON SARÀ DISNEYLAND
Dire che un museo ha per primo dovere di funzionare, di dare informazioni al pubblico e di essere efficientemente organizzato per rispondere alle esigenze di una società di massa sembra un tabù. Gesù, dicono alcuni, ci trasformeremo in avamposti del capitalismo globalizzato e internazionale. Niente affatto, vorrei rispondere, daremo finalmente a Roma il ruolo di centro mondiale che le compete. E non abbiate paura: una buona organizzazione e progettazione degli spazi eviterà di snaturarli o disneylandizzarli. Grazie Carlo Calenda per aver posto sul tappeto questa questione. Le battaglie, anche quando ‒ a causa del nostro conservatorismo autolesionista ‒ sono perse, se sono giuste, vale la pena di combatterle lo stesso.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
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