Viaggio nell’archeologia industriale di Venezia
Fabbriche di pianoforti, cementifici, mulini, aziende dedicate alla bellezza, cotonifici e laboratori di produzione di orologi. Un itinerario lagunare alla scoperta di storie imprenditoriali e artigianali da non dimenticare, che presero forma tra Otto e metà Novecento.
È stato l’arrivo della ferrovia a cambiare tutto: urbanistica, spazi di socializzazione, skyline, la gestione del tempo dei veneziani, il nome delle calli. A fine Ottocento, quando gli austriaci costruirono la stazione di Santa Lucia abbattendo un convento e fagocitando una parte del giardino mistico dei Carmelitani Scalzi, le barene diventarono spazi produttivi e la maggior parte dei veneziani iniziò a lavorare in fabbrica. Venezia a quel tempo era l’ottava città industriale d’Italia. Uno scenario ben diverso da quello attuale, che oggi si svela soltanto addentrandosi nel dedalo di strade deserte e silenziose. Perdersi tra le calli ha questo fascino inequivocabile: le stratificazioni di architetture, popoli e storie svelano scorci inaspettati che rendono questa città un concentrato di narrazioni.
Tra Ottocento e Novecento, a Venezia, lo spirito commerciale lasciò spazio a quello industriale e le famiglie più in vista, invece di finanziare chiese e conventi, iniziarono a sostenere le idee di molti imprenditori europei alla ricerca di finanziatori. La popolazione quadruplicò e si diffusero i quartieri operai: nel giro di pochi decenni aprirono fabbriche di pianoforti, di orologi, cementifici, mulini, aziende di occhi di vetro per bambole, per la cura della pelle, cotonifici e manifatture tabacchi, fabbriche di cere. Accanto al campanile di San Marco comparirono i camini, in particolare nelle aree prossime alla ferrovia, ovvero Cannaregio e Dorsoduro, ma anche sull’isola della Giudecca.
Di quella Venezia ormai scomparsa sono ancora tante le tracce che si incontrano passeggiando per la città lagunare. Nonostante sia difficile immaginare come alcune aree ospitassero grandi complessi industriali, in molti casi accessibili solo agli addetti ai lavori, se si seguono con attenzione indizi e suggestioni, è possibile percepire un’atmosfera ben lontana da quella più nota. Per rendersene conto basta entrare nell’area della ex Saffa (ex fabbrica di fiammiferi), o in quella della Manifattura Tabacchi, o nel quartiere ex Junghans (dove si producevano orologi da taschino) e in molti altri luoghi che, dopo esser stati abbandonati, a partire dagli Anni Ottanta furono riqualificati e reinterpretati da grandi architetti italiani e stranieri.
Era qui che il saper fare italiano incontrava l’abbondanza di materie prime che arrivano via mare a Venezia: cotone, spezie, foglie di tabacco, cereali, almeno fino all’avvento del fascismo che, con le sue politiche autarchiche, costrinse molte aziende a modificare il proprio sistema produttivo, sostituendo i fornitori stranieri con quelli nazionali. Questo fattore, insieme alla mancanza di spazi di espansione e alle difficoltà logistiche, obbligò molte aziende a chiudere o spostarsi. Con l’arrivo di Porto Marghera e del Petrolchimico (1917) a poco a poco le attività industriali si trasferirono in terraferma, segnando un lento declino di quella parentesi industriale che si esaurì definitivamente a partire dagli Anni Cinquanta.
‒ Arianna Gandolfi
CANNAREGIO ‒ BRILLANTINA E BEAUTY: LA LINETTI
Quella che oggi è la sede della Regione Veneto un tempo ospitava la fabbrica Linetti, storica azienda divenuta famosa per la sua brillantina grazie al Carosello. Prima situata in zona San Marco, con l’avvento della ferrovia si avvicinò alla stazione. Ci lavoravano 300 operai.
CANNAREGIO ‒ FIAMMIFERI & CO.: SAFFA
Andate a Campo Saffa, acronimo di Società anonima fabbriche fiammiferi e affini, una delle più significative aziende dell’epoca per la produzione di fiammiferi che venivano venduti sia in Italia che in Grecia, Turchia, Russia, Ungheria. Insediatasi qui a inizio Novecento rilevando una piccola azienda locale impegnata nella stessa attività, la Saffa ispirò i nomi di tutte le calli in zona, tra le quali Calle del Camin e Calle del Solferin. Qui ci lavoravano quasi mille operai. Oggi la zona è residenziale.
DORSODURO ‒ TINTURA DELLA LANA
Siamo nel sestiere di Dorsoduro, in calle delle Chiovere, nella zona tradizionalmente vocata alla lavorazione della lana. Le chiovere erano installazioni di legno sulle quali venivano infissi numerosissimi chiodi usati per asciugare i tessuti in lana dopo la tintura. A Venezia esisteva l’arte dei ciovaroli a le ciovére, istituita nel 1593: riuniva i lavoranti claudadori, usufruttuari delle ciovére, e i tiradori, che provvedevano a “tirar” (allungare) i tessuti secondo le misure prescritte dalla legge. Nel tempo entrambi vennero chiamati con il nome comune di ciovaroli (lavoranti nelle chiovere).
SANTA CROCE ‒ MANIFATTURA TABACCHI
Nata in zona Cannaregio, la Manifattura Tabacchi fu presto trasferita a Santa Croce, dove c’erano tutti gli spazi necessari per un significativo ampliamento della struttura, che fu costruita con chiari rimandi architettonici alle ville venete, come si può notare dal timpano che sovrasta il portone d’ingresso. Dopo il Regno d’Italia contava 1741 dipendenti di cui 1500 donne, conosciute con il nome di tabacchine: numericamente predominanti rispetto agli uomini, riuscirono a ottenere la riduzione dell’orario di lavoro e il miglioramento delle condizioni lavorative. La Manifattura Tabacchi, chiusa dai Monopoli di Stato meno di vent’anni fa, oggi è oggetto di un’importante ristrutturazione che la vedrà ospitare la nuova cittadella della giustizia di Venezia.
DORSODURO ‒ IL COTONIFICIO VENEZIANO
Quella che oggi è la sede dell’Università un tempo era il Cotonificio Veneziano: oggetto di numerose successioni e cambi di proprietà, fu un punto di riferimento per tessitura, filatura e tintura. Il Novecento segnò per il cotonificio un ampliamento significativo generato in particolar modo dalla necessità, durante la Seconda Guerra Mondiale, di produrre divise militari in filo di canapa, rayon e cotone. Prospero anche durante il boom economico, nel secondo dopoguerra divenne una realtà di secondaria importanza e chiuse negli Anni Settanta. Dopo un importante ristrutturazione divenne sede dello IUAV e di numerosi dipartimenti di Ca’ Foscari.
GIUDECCA ‒ DALLE MAGLIE DI COTONE AGLI OROLOGI DA TASCHINO
Facilmente raggiungibile via nave, verde e piena di spazi liberi, la Giudecca nel Novecento divenne la meta ideale di molti imprenditori come i fratelli Herion, che qui ampliarono la loro attività di maglieria sviluppatasi grazie all’importazione di pura lana dall’Argentina e dall’Australia. Nella zona non è più visibile alcun reperto di archeologia industriale, ma il chiosco della chiesa dei Santi Cosmo e Damiano, attiguo ai locali della fabbrica, oggi è diventato uno spazio dedicato all’artigianato e ospita piccole botteghe e laboratori.
I fratelli Herion, che amavano investire anche in altri settori, intrapresero per anni la professione di agenti per la vendita di orologi da taschino Junghans e aprirono accanto alla loro azienda una sede produttiva che – dopo essersi specializzata nell’assemblaggio di pezzi provenienti dall’estero – finì per occuparsi interamente della produzione dei meccanismi. L’area, che si estendeva per oltre 2000 metri quadrati, oggi ospita un teatro e vari complessi residenziali, progettati da Cino Zucchi.
GIUDECCA ‒ BIRRA E DISTILLATI
Quella conosciuta come la ex Pedavena Dreher un tempo fu la sede della distilleria Pizzolotto specializzata in estratti e infusi: produceva un’ampia gamma di rosoli, sciroppi, rum e liquori per oltre 55 diversi tipi di prodotti. Oggi Oggi quest’area ospita studi d’artista e attività artigiane.
GIUDECCA ‒ LA STAMPA SU STOFFA: FORTUNY
Tra la ex Dreher e il Molino Stucky si trova una delle poche fabbriche ancora attive a Venezia e impegnate nella stampa su tessuto: la Fortuny. Fondata a inizio Novecento, conta oggi 30 addetti, di cui 17 donne, e i suoi prodotti sono richiesti in tutto il mondo.
GIUDECCA – IL MOLINO STUCKY
Imponente e maestoso con la sua architettura neo-germanica, il Molino Stucky è uno dei simboli più famosi della Venezia Industriale del secolo scorso. Nacque grazie alla determinazione del signor Stucky, imprenditore svizzero che ‒ come molti altri colleghi ‒arrivò a Venezia cercando investitori. Impegnato nella molitura dei cereali e già proprietario di alcuni mulini in terraferma, decise che Venezia era perfetta per la sua crescita in quanto le materie prime potevano arrivare via nave o attraverso la ferrovia.
Entrando nel Molino Stucky, oggi sede dell’Hotel Hilton, è possibile ammirare alcuni dettagli della fabbrica come i magazzini, gli orologi, le strutture in ferro, così come ripercorrere tutta la storia fotografica dell’azienda che si dedicò anche alla produzione di pasta. Simbolo del Molino Stucky è la torre silos usata per lo stoccaggio dei cerali. Il Mulino passò di proprietà dopo la crisi del 1929.
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