Il mondo a colori di Olimpia Zagnoli. L’intervista
Capelli ricci, occhiali rotondi e un sorrisino appena accennato: si presenta così l'illustratrice Olimpia Zagnoli in versione grafica, e nella sua città natale, Reggio Emilia, presenta una carrellata di opere, dagli esordi ai lavori più recenti.
Reggio Emilia organizza una grande festa per celebrare i dieci anni di attività di Olimpia Zagnoli (1984), illustratrice che proprio nella città del Tricolore ha aperto gli occhi per la prima volta. E lo fa con Caleidoscopica, una mostra cioè “che ricrea o sorprende la vista con un festevole avvicendarsi di luci, colori, figure”, come recita la definizione che dà il dizionario del termine scelto per titolo dell’esposizione – che riecheggia quello del libro da cui la mostra trae spunto. E per capire quanto sia sfaccettata la creatività dell’artista, basta scorrere rapidamente la sezione work del suo sito: l’illustrazione, in senso proprio, non è certo l’unico ambito in cui si esprime. L’antologica allestita ai Chiostri di San Pietro ripercorre le tappe principali della carriera di Olimpia, e c’è anche un progetto site specific: sei coloratissime grandi opere compongono un “giardino di sculture” realizzate con il contributo della casa di moda Marella. Per addentrarci nel mondo colorato dell’illustrazione e di tutte le sue strade parallele, abbiamo intervistato proprio lei, OZ.
L’INTERVISTA A OLIMPIA ZAGNOLI
Palazzo Magnani di Reggio Emilia ti dedica una mostra monografica. Per te cosa rappresenta questo trionfante “ritorno” nella città in cui sei nata?
Sono molto felice di tornare a Reggio, una città che ho lasciato a soli sei anni ma che non mi ha mai abbandonata. È qui che ho cominciato a disegnare, ad andare in bicicletta, ho fatto amicizia con personaggi mitologici, sono caduta nella fontana dei giardini pubblici, ho cavalcato i leoni di piazza San Prospero, mangiato cappelletti in brodo a merenda, ho dato il mio primo bacio e assaporato un senso di pazzia e giustizia raro da trovare altrove.
Il tuo segno si ritrova su murales, tessuti, sculture cinetiche, tazzine… e ovviamente dà vita a illustrazioni, copertine e disegni. Ma qual è la pratica artistica che ti diverte di più, che senti più affine?
La cosa che mi piace di più è proprio questa. Un giorno disegnare un pattern per una gonna, il giorno dopo un’etichetta per una bottiglia di vino e quello successivo lavorare a una serie di opere personali per una mostra. Mischiare i diversi livelli, quello che viene considerato “alto” e “basso”, con la stessa curiosità. Non ho una vera preferenza, e se ce l’avessi penso che cambierei idea in fretta.
In mostra sono esposti anche dei taccuini con i tuoi disegni “a mano”: molti illustratori lavorano prevalentemente in digitale, mentre tu coltivi ancora una pratica antica. Qual è il tuo approccio alle due tecniche?
Credo che, per chiunque ami disegnare, sia difficile abbandonare completamente la dimensione della matita e del foglio. Certo, il digitale è estremamente comodo, flessibile, economico e funzionale. Io cerco di usare entrambi, a volte seguendo quello che sembra l’iter più consono, ovvero dall’analogico al digitale, ma altre facendo il percorso opposto, ovvero utilizzando il digitale come tavolo di lavoro per poi tornare all’analogico.
L’ILLUSTRAZIONE SECONDO OLIMPIA ZAGNOLI
Negli ultimi anni la sensazione è che, per coinvolgere i lettori e offrire loro qualcosa di speciale, giornali e magazine si stiano rivolgendo sempre più spesso alle illustrazioni. È una sensazione corretta? Il lavoro che proviene da quel settore è aumentato?
Sicuramente sono anni molto fortunati per l’illustrazione. In Italia diverse realtà editoriali e aziendali si sono avvicinate a questa forma espressiva con un rinnovato entusiasmo per via della sua versatilità e immediatezza.
Come lavora un illustratore rispetto a un artista? L’artista viene ingaggiato solitamente tramite il suo gallerista, e l’illustratore? Sono solo contatti diretti o avete degli “agenti”?
Anche gli illustratori e le illustratrici possono avere agenti. Io ne ho due, una negli Stati Uniti e uno in Francia. Alcune commissioni arrivano attraverso di loro, altre direttamente a me. Solitamente si riceve un “brief”, che consiste in un’idea da interpretare attraverso una o più immagini in un formato specifico e in un certo lasso di tempo (per esempio “l’estate” in formato quadrato da consegnare entro giovedì). Si passa poi a una fase di schizzi da sottoporre al cliente, al termine della quale si procede al lavoro definitivo. Quando l’opera è consegnata, si viene pagati per il lavoro che si è svolto e si va a mangiare la pizza.
Lavori ormai con grande successo su tanti mercati. Dal tuo punto di vista, quali sono i difetti e – ove mai ci fossero – i pregi del mercato italiano?
Personalmente mi trovo bene a lavorare in Italia. A volte bisogna fare un po’ di tutto, l’artista, la psicologa, la commercialista, la tipografa, la fattorina, la centralinista, ma si ha maggior possibilità di intervenire creativamente all’interno di ingranaggi complessi e progettuali. Si può proporre un’idea e trovare insieme modi di realizzarla. Negli Stati Uniti, invece, è tutto più settoriale e specializzato. È certamente più semplice e veloce, ma spesso meno sperimentale. I problemi che riscontro maggiormente in Italia sono di tipo burocratico: pagamenti lentissimi e troppi documenti che riducono gli artisti a mangiare riso in bianco e lavorare fino a tarda notte.
FONTI DI ISPIRAZIONE E PROGETTI DI OLIMPIA ZAGNOLI
Qual è l’opera grafica che porteresti su un’isola deserta?
Porterei il Libro Letto di Bruno Munari realizzato per Interflex nel 1993, così dopo averlo letto posso anche fare un pisolino.
Se dovessi identificare tre maestri, quali sarebbero?
Dato che l’ho appena citato, mi sembra giusto non perdere l’opportunità di nominare ancora una volta Bruno Munari. Poi Picasso e Charlotte Perriand.
Quali ritieni essere, invece, i migliori giovani illustratori?
I primi nomi che mi vengono in mente: Jon Han, Jim Stoten, Eline Van Dam, Zhong Xian, Nick Dahlen, Min Heo, Molly Fairhurst, Tara Booth, Yann Kebbi…
Quali sono i capisaldi della tua ricerca artistica personale, quella che va oltre la committenza?
La sintesi, la nostalgia, la serialità, la curiosità, la ripetizione e talvolta l’elettricità.
Qual è stato l’incarico più “clamoroso” che ti è stato affidato?
Nel momento in cui si comincia a lavorare, ogni incarico “clamoroso” diventa un incarico e basta. Perde quell’aura di fascino che ha avuto fino a pochi istanti prima e si trasforma in qualcosa da fare, da annusare, da tagliare, da spostare, da cambiare, da distruggere, da plasmare. Non è una cosa brutta, è solo diversa. Per questo è difficile rispondere.
‒ Marta Santacatterina
Olimpia Zagnoli – Caleidoscopica
Lazy Dog, Milano 2021
Pagg. 148, € 38
ISBN 9788898030354
lazydog.eu
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