L’incredibile storia di un cantiere abusivo nell’edificio di Adolf Loos a Vienna

Se l’architetto Adolf Loos affermava che in architettura l’ornamento è un crimine, figuriamoci cosa avrebbe detto dell’abusivismo edilizio su manufatti di valore storico. Purtroppo è capitato proprio a un suo capolavoro, i cui pregi furono sottolineati anche da Le Corbusier e Mies van der Rohe. Abbiamo intervistato la giornalista che ha reso pubblico lo sfregio.

Se solo lo sapesse Loos”. Così, giorni fa, l’autorevole quotidiano austriaco Die Presse titolava un articolo a piena pagina, firmato da Isabella Marboe. Il sentimento di sconcerto era palpabile.
Il personaggio a cui si fa riferimento è naturalmente il celebre architetto austriaco Adolf Loos, vissuto tra il 1870 e il 1933, pioniere del movimento moderno in architettura. L’argomento in questione è Casa Scheu, importante costruzione da lui realizzata oltre cento anni fa in Larochegasse 3, a Vienna, e dal 1971 posta sotto stretta tutela della Sovrintendenza (BDA), in quanto classificata monumento nazionale. Nonostante il vincolo, ora il fresco neo-proprietario ha dato inizio a dei lavori edili in forma totalmente abusiva, ovverosia senza alcuna licenza, quindi tenendo all’oscuro sia il suddetto ufficio federale, sia la Polizia edile (MA37), che è l’organo comunale competente per il rilascio delle normali licenze di costruzione o restauro, dietro presentazione di un adeguato progetto esecutivo. Pertanto, un vero scandalo questo atto sconsiderato che ignora la più elementare regola edilizia, perfino se si trattasse di ristrutturare una modesta autorimessa. Dunque, fuori da ogni logica, riguardo a un manufatto d’importanza storica e d’interesse pubblico, pensare di eseguire lavori non autorizzati montando disinvoltamente un’impalcatura esterna e un montacarichi. Invece il signor Stefan Tweraser, questo il nome del neoproprietario, lo ha fatto! E lo ha fatto già pochi giorni dopo esserne divenuto proprietario, infischiandosi dei rigorosi, e inevitabilmente lenti, passaggi burocratici. C’è una domanda che ogni persona di buon senso si sta facendo: come è potuto accadere?

Casa Scheu (fronte strada), Larochegasse 3, Vienna

Casa Scheu (fronte strada), Larochegasse 3, Vienna

COS’È E COSA RAPPRESENTA CASA SCHEU

Datata 1912-13, Casa Scheu fu all’epoca un’audace costruzione residenziale nell’elegante distretto di Hietzing. Era e resterà una pietra miliare del modernismo in architettura, il primo esempio abitativo a Vienna, e tra i primi in Europa, concepito con copertura piana a terrazza in ciascuno dei tre livelli dell’altezza. In particolare, in tale costruzione a schiera si colgono un estremo rigore razionale insieme a rapporti volumetrici ben calibrati. Innovative e rivoluzionarie anche le facciate, completamente bianche e totalmente lisce, prive di cornici, decorazioni o riferimenti stilistici. Neanche a dirlo, era in pieno contrasto con i villini altoborghesi ai lati dei vialetti alberati della zona. Questa configurazione tipologica segnò una svolta radicale per tutta l’edilizia abitativa, non senza suscitare diffuse polemiche.
Nel particolare contesto viennese, in cui il dibattito sull’architettura e le arti applicate era molto acceso, le cronache del tempo non mancarono di sottolineare il malcontento generale e le proteste dei residenti del quartiere. Appariva evidente che con un simile modello abitativo si promuovesse un nuovo paradigma sociologico alquanto irrispettoso della tradizione, che simbolicamente si manifestava nella purezza delle forme, liberate da estetismi. Negli interni di Casa Scheu Loos aveva studiato e incorporato elementi d’arredo e di finitura in legno di rovere, atti a rendere funzionale e al contempo raffinato lo spazio del vivere quotidiano.

I CONIUGI SCHEU

Il committente, Gustav Scheu, persona colta e ben consapevole del rinnovamento culturale in atto, era un avvocato, politicamente schierato con i socialisti, seguendo in questo l’impegno intellettuale del padre. Ben in vista anche negli ambienti artistici viennesi negli anni “ribelli” d’inizio Novecento, ebbe poi tra i suoi ospiti abituali personaggi come Kokoschka, Alban Berg, lo stesso Loos, scrittori, critici letterari. Era soprattutto sua moglie Helene a curare il vivace e variegato salotto culturale creatosi in quella dimora.

Adolf Loos

Adolf Loos

L’INTERVISTA A ISABELLA MARBOE

Torniamo alla questione iniziale, alla domanda che ognuno si pone: come è potuta accadere una tale aggressione, pensando nel contempo di farla franca? È semplicemente una vicenda di arroganza personale e privata? Non è facile rispondere, ci sono degli aspetti da chiarire intorno a questo grottesco thriller. Come detto all’inizio, a far scattare l’allarme è stato il reportage di Isabella Marboe, architetta e giornalista d’architettura, che in passato è stata la prima caporedattrice di Domus nell’edizione in lingua tedesca. Abbiamo posto direttamente a lei qualche domanda per cogliere alcuni particolari della vicenda.

Come e perché ti sei calata in questa anomala storia viennese? Conoscendoti, ho subito notato che il tuo articolo mostrava un che di sentimentale, se mi permetti l’espressione. Era un po’ fuori dall’ambito più strettamente tecnico di cui ti occupi.
Eccoti il retroscena: l’incarico mi è stato proposto direttamente dal quotidiano Die Presse con la richiesta di occuparmene in modo giornalistico. A consigliare me per l’articolo è stata una mia collega, giornalista di architettura anche lei, che nel frattempo mi aveva inviato la foto dell’edificio a lavori avviati.

Eri a conoscenza già da prima di questo strano intervento edile su Casa Scheu?
No, non lo ero. E in realtà io non volevo accettare l’incarico, non avevo tempo, dato che l’articolo doveva essere pronto per il giorno dopo. Però, vedendo la foto di Casa Scheu in quelle condizioni, quando mi sono resa conto che quel monumento poteva essere danneggiato, mi è stato chiaro che non dovevo tirarmi indietro.

Il tuo articolo è stato come la voce che ha svegliato le coscienze. La prima voce ad aver reso pubblica la notizia di cui ora tutti discutono. Forse in alcuni ambienti questa cosa si sapeva già, ma solo dopo l’uscita del tuo articolo è intervenuta la BDA, ossia la Sovrintendenza, a bloccare il cantiere. Stanno così i fatti?
Non esattamente. Il caso è nato – come ho detto – con la foto inviata dalla mia collega, non solo a me e alla redazione della Presse, ma anche alla Sovrintendenza, i cui addetti hanno preso atto di quello che stava accadendo. Ho saputo che qualcuno di loro si sarebbe recato presto sul posto, in Larochegasse 3. Io probabilmente l’ho preceduto. Non posso dire con esattezza quando la Sovrintendenza ha emesso l’ordine di bloccare il cantiere, ma certamente dopo aver rintracciato anche l’autore del progetto che si stava realizzando. Ora non vorrei attribuire al mio articolo troppa importanza, perché la Sovrintendenza avrebbe comunque bloccato i lavori. Ma che l’accaduto sia stato reso pubblico dal mio articolo è sicuramente corretto.

Casa Scheu, Larochegasse 3, Vienna. Photo Wikimedia Commons – Thomas Ledl

Casa Scheu, Larochegasse 3, Vienna. Photo Wikimedia Commons – Thomas Ledl

UN CANTIERE A CASA SCHEU

Ecco, parliamo un poco del tuo sopralluogo, perché tu hai scritto di non aver trovato da alcuna parte un cartello che dava indicazioni sul tipo di intervento.
Proprio così, nessuna indicazione! Nulla, sebbene si potesse vedere anche da lontano che all’esterno ci sono un’impalcatura e un montacarichi. Ma neppure una transenna da cantiere e nessun segnale di divieto d’accesso, né nell’area circostante la casa, né andando verso l’interno.

Quale era lo stato dei lavori? 
Dentro puoi immaginare il disordine. Alcuni muri divisori e cabine doccia abbattuti, termosifoni smontati, tubi rimossi dai muri, qualche pannello di legno tirato giù dalle pareti, e quindi detriti. Ma anche alcuni mobili originali smontati, altri ammassati da una parte, naturalmente esposti alla polvere. Al dunque, un cantiere già avviato con due operai che stavano lavorando.

Quindi l’incontro con “il terzo uomo”, non privo di un risvolto comico. Mi puoi riassumere?
I due uomini là dentro mi hanno detto di essere in tre a lavorare, e che in quel momento il loro collega era andato via per qualche minuto. Proprio mentre stavo lasciando la casa incontro un individuo con cui ho avuto questo botta e risposta: “È Lei il terzo operaio?”. E lui di rimando: “Io sono il committente”. “Benissimo” – gli dico – “è proprio con lei che volevo parlare”. Mi blocca e mi chiede: “E lei chi è?”.  “Sono una giornalista”. “Non do alcuna informazione alla stampa. Lei non può mettere piede nel cantiere”. Al che non era il caso di insistere, e me ne sono andata a scrivere l’articolo.

Franco Veremondi

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Franco Veremondi

Franco Veremondi

Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…

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