Disastri a Roma. Storia del Ponte dell’Industria e dei quartieri che lo circondano

Non si pensi all'episodio isolato. Il Ponte dell'Industria (che a Roma tutti chiamano Ponte di Ferro) è esattamente collocato al centro di un sistema urbano lasciato in abbandono, divorato dal degrado. Incendi, disastri ambientali, caos e occasioni mancate sono purtroppo la norma

Le cose lasciate senza manutenzione e senza cura si auto-distruggono. Vale anche per le città, ancorché “eterne”. E così una amministrazione giocata sulle note del fuoco (si è perduto il conto degli autobus incendiati e dei cassonetti in fiamme), si conclude con l’incredibile incendio addirittura di uno dei più importanti ponti sul Tevere, crollato in parte. Il Ponte dell’Industria a Roma tutti lo chiamano Ponte di Ferro in quell’attitudine capitolina a personalizzare i nomi di alcune parti di città per cui Piazza della Repubblica si chiama “Piazza Esedra”, Piazza Buenos Aires di chiama “Piazza Quadrata” e Ponte Palatino “Ponte Inglese”.

Ponte di Ferro Ponte dell'Industria inaugurazione con Pio IX

Ponte di Ferro Ponte dell’Industria inaugurazione con Pio IX

PONTE DI FERRO UN TEMPO “PONTE S. PAOLO”. NATO PER LA FERROVIA

In realtà all’epoca della sua costruzione, ai tempi dell’ultimo Papa Re (Pio IX Mastai Ferretti), il ponte in questione si chiamava ancora diversamente: Ponte San Paolo. Anche perché il quadrante in cui siamo, quello meridionale della città, era ed è il quadrante di San Paolo Fuori le Mura, importantissima basilica allora e ora e maggiore luogo di culto dell’area. Era un ponte ferroviario. Siamo agli albori della piccola epopea ferrata dello Stato Pontificio che di lì a qualche anno diventerà Italia per opera dei piemontesi. C’era la Stazione Termini (nella zona appunto di Termini, ovvero delle Terme di Diocleziano) dove si attestavano le linee che collegavano con i Castelli Romani e verso Napoli, Anzio e Tivoli. E c’era la Stazione Porta Portese, (poi portata in Piazza Ippolito Nievo nel 1889), dove si attestavano le linee che collegavano con Civitavecchia che era ed è ancora oggi l’importantissimo porto sul Tirreno della città. Si trattava di unire i due tronconi e dunque valicare il Tevere, lo si fece facendo costruire in Inghilterra una passerella in ghisa e acciaio progettata da Jean-Barthélémy Camille Polonceau che poi venne assemblata a Roma da una società belga e infine inaugurata dal Papa e dallo spregiudicato modernizzatore di quegli anni (ce ne fossero!) Cardinal De Mérode nel settembre del 1863 dopo mesi di collaudi e prove di carico.

ROMA DIVENTA CAPITALE, IL PONTE DIVENTA CARRABILE

Nel frattempo la Breccia di Porta Pia, la fine dello Stato della Chiesa, Roma diventa capitale d’Italia. E il traffico ferroviario si incrementa di molto. Il ponticello in metallo con la parte centrale che si alzava per far passare le imbarcazioni non poteva più bastare per sostenere i passaggi di treni tra Termini e Civitavecchia e tutta la dorsale tirrenica. Si decide si realizzare un nuovo ponte in muratura, poco lontano, più adatto anche a servire la nuova Stazione Trastevere. Nel 1911 – esattamente centodieci anni fa – il ponte è pronto così come pronta una ulteriore monumentale Stazione Trastevere (quella attuale) e il vecchio Ponte San Paolo, oggi Ponte dell’Industria, detto Ponte di Ferro subisce una mutazione: diventa un ponte adibito al passaggio di autovetture e pedoni. Insomma, un’opera pensata per altro poi riadattata alla bell’e meglio e da lì entrata nella famigerata modalità provvisoria romana, quella modalità per cui progetti che dovrebbero durare mesi, giusto per emergenza, in realtà continuano ad essere utilizzati per decenni, fino ad abitudine. E a consunzione. No progetti, no investimenti e ultimamente no manutenzione con le aree circostanti (ma vale per tutto il corso del fiume purtroppo) trasformate in bidonville, in slum, in favelas prive di dignità. Le compagnie di navigazione turistica lungo il Tevere costrette ad interrompere il servizio perché piuttosto che un’amena passeggiata fluviale, il tour si era trasformato in un safari raccapricciante tra rifiuti, ratti e villaggi abusivi. Proprio da queste baracche piene di fornelli e bombole a gas pare sia partita la scintilla che ha provocato i cortocircuiti incendiari sul ponte che ha così dimostrato tutta la sua fragilità di opera provvisoria, inadeguata, frutto della incapacità di pianificare e di dotare la città di infrastrutture idonee.

Il Ponte della Scienza, sullo sfondo San Paolo Fuori le Mura (foto ArchiDiAP)

Il Ponte della Scienza, sullo sfondo San Paolo Fuori le Mura (foto ArchiDiAP)

UNA ZONA PIENA DI PROGETTI INTERROTTI E OCCASIONI PERDUTE

Ma il Ponte dell’Industria è emblematico perché si trova al centro di una zona che racconta il modo in cui è stata sgovernata la città di Roma negli ultimi anni. Non è solo lui ad essere superato, vecchio, insensato per le esigenze contemporanee. Tutto, davvero tutto, attorno a lui è lasciato nel più allucinante abbandono nel quadro di un deficit di visione raggelante. Su entrambe le sponde (quella Ostiense e quella Portuense) che il ponte collega. Di là, sulla sponda sinistra, c’è il grande progetto della “Città dei Giovani” negli ex Mercati generali. Tutto bloccato, da anni: Rem Koolhaas che doveva firmare il progetto, è fuggito via incredulo. La zona è diventata un acquitrino abbandonato dove ormai stabilmente nidificano uccelli migratori. Di rimpetto la zona dei Gazometri doveva beneficiare di progetti mirabolanti (addirittura una Città della Scienza immaginata vent’anni da fa Renzo Piano) ma non se n’è fatto di niente anche per gli alti costi di bonifica dei terreni, l’area continua ad essere in abbandono in attesa che gli affascinanti gazometri faccian la fine del Ponte di Ferro. Tutte le sponde, come abbiamo detto, sono popolate di bidonville. Poco a nord il progetto del Mattatoio grida vendetta: la Città dell’Altra Economia procede senza bando e senza assegnatario fisso, persistono campi nomadi e occupazioni illegali, gli spazi destinati all’Accademia di Belle Arti sono collocati nel quadro di uno scenario post atomico. Il Monte Testaccio, che ben si vede dal Ponte di Ferro, è visitabile solo su appuntamento, l’area circostante è la fiera dell’abusivismo, lo storico campo della Roma – che qui è nata – è in rovina dopo che i lavori per la realizzazione di un parcheggio interrato sono stati sospesi, l’area adiacente di Via Paolo Castelli (siamo di fronte alle mitiche Poste di Adalberto Libera) merita una visita per chi vuole documentarsi su una vera favela all’interno delle mura antiche di una città europea, con tanto di vedette che controllano chi si avvicina. Si fatica a crederci. Gli unici interventi architettonici di un certo rilievo nell’area, lungo Via del Porto Fluviale e lungo Via Ostiense sono stati realizzati non da importanti studi d’architettura nazionali e internazionali (addio Koolhaas, Piano e Carmassi) ma unicamente da progettisti locali da strapaese, sempre i soliti, gli unici capaci di “interloquire” (ci siamo capiti…) con uffici comunali che parlano un linguaggio tutto loro, con modalità tutte loro, con tempi tutti loro e liturgie impensabili altrove in Italia e in Europa. Una partita che nessuno studio internazionale può giocarsi: alla fine fuggono via tutti con grande soddisfazione degli squaletti romani, unici capaci di nuotare in un acquario simile. Curioso leggere quanto scrivevamo su queste faccende esattamente 10 anni fa, sul primo numero cartaceo di Artribune…

INTORNO AL PONTE DI FERRO, SULLA SPONDA DESTRA DEL TEVERE

E questa è solo la storia della sponda sinistra. Sulla sponda destra peggio mi sento: l’antica Stazione Trastevere in Piazza Ippolito Nievo, di cui abbiamo parlato sopra, è abbandonata dal 1950 dopo essere stata adoperata – anche qui in maniera anomala – come officina treni in pieno centro città. Ne hanno dovuto murare porte e finestre per evitare le occupazioni illegali che sono la norma in città, passateci per assaporare uno scenario da sottosviluppo. Il progetto per riqualificarla esiste e genererebbe molte risorse per l’amministrazione da reinvestire sul territorio, ma nessuno lo porta avanti per scarsa voglia di lavorare e di pigliarsi responsabilità. E poi la mentalità cittadina resta sempre la solita: meglio l’abbandono piuttosto che qualcuno ci guadagni. Sul sedime ferroviario dismesso, oggi Via degli Orti di Cesare, c’era un povero mercato rionale, spostato in sede provvisoria (sic!) da decenni per realizzare al suo posto un parcheggio, il cantiere langue dai tempi della Giunta Veltroni. In compenso la nuova Stazione, quella in Piazzale Flavio Biondo, è obliterata da un parcheggio selvaggio di quelli che si vedevano in Europa sino agli anni Sessanta o Settanta, poi sono scomparsi. E una intera ala è sommersa da un raffazzonato concessionario di auto usate…
Poco a valle del nostro povero ponte poi c’è un altro ponticello, una passerella pedonale inaugurata una decina d’anni fa, si chiama il Ponte della Scienza perché appunto qui, tanti anni fa, si pensava di realizzare un polo scientifico che in realtà non si realizzerà mai (si decise poi di spostare il Museo della Scienza nelle ex caserme di fronte al Maxxi, a Via Guido Reni, ma anche lì, indovinate un po’, il progetto è saltato). Anche questa infrastruttura progettata da APsT Architettura è in rovina come è in rovina la sponda destra che collega con Via Enrico Fermi che doveva essere trasformata (ma la trasformazione è stata interrotta), con la ex Città del Gusto che è stata semi demolita e versa in abbandono, con l’area del Teatro India che doveva diventare un parco con un grande studentato a forma di firmato da Franco Purini e invece ogni progetto è insabbiato mentre le belle archeologie industriali della ex Mira Lanza vengono regolarmente occupate da sbandati e date alle fiamme: l’area è stata inserita nel concorso C40 Reinventing Cities, sì, ma nessun investitore si è fatto avanti mandando deserta la gara, impossibile accettare le condizioni surreali poste dall’amministrazione. La zona poi doveva beneficiare di ben due fermate della linea metropolitana D, il cui progetto si è ovviamente interrotto così come si è interrotta la trasformazione di Viale Marconi in opportuno asse tramviario: i commercianti hanno fatto ricorso segnalando che non possono sopravvivere senza le vetture in doppia fila di fronte alle loro vetrine. E chissà quante altre occasioni mancate ci dimentichiamo di menzionare.

URGENTE UN COMMISSARIAMENTO GOVERNATIVO

Il degrado che si sta portando via la Capitale d’Italia non è insomma fatto da singoli episodi sfortunati o accanimenti del fato, è piuttosto una precisa opera di pianificazione urbana di lunga data che mette insieme idiozia delle classi dirigenti, ignoranza diffusissima della popolazione, tentacolari secondi fini di chi grazie a questa situazione di perenne emergenza e devastazione lucra ogni giorno e mantiene rendite di posizione impensabili dovunque. La città in virtù di questo viene seviziata e torturata ogni giorno, da decenni. La sensazione, per chiudere accennando al fatto simbolico di un incendio scoppiato a pochi minuti dall’apertura dei seggi per le elezioni amministrative, è che non vi possa essere nessun sindaco – manco fosse Batman o l’Uomo Ragno – in grado di fronteggiare una situazione simile. La città deve essere commissariata da parte del Governo per un periodo sufficiente alla risoluzione di problemi annosi che sono giunti ad un punto tale da non essere più risolvibili da una semplice amministrazione locale. Se non lo fa questo Governo, quale? Se non lo si fa in questo momento con l’irripetibile circostanza dei fondi del PNRR, quando?

– Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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