Parigi era viva. de Chirico Savinio e gli Italiens de Paris
Sette artisti che hanno ridisegnato le sorti della pittura italiana nel XX secolo, in quel quinquennio d’oro che va dal 1928 al 1933 e in cui si è compiuta l’avventura francese degli Italiens de Paris.
Comunicato stampa
Massimo Campigli, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, René Paresce, Alberto Savinio, Gino Severini, Mario Tozzi sono i protagonisti della nuova mostra che si apre al Museo Accorsi-Ometto di Torino il 7 ottobre prossimo. Sette artisti che hanno ridisegnato le sorti della pittura italiana nel XX secolo, in quel quinquennio d’oro che va dal 1928 al 1933 e in cui si è compiuta l’avventura francese degli Italiens de Paris.
La mostra, curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, restituisce il clima artistico, propositivo, dialogante e provocatorio, di un crocevia spazio-temporale unico e irripetibile: attraverso una settantina di opere si ritrova quella tensione europeista maturata tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, un’epoca che vide Parigi farsi scenario di una cultura cosmopolita e interattiva, antitradizionale, in cui maturare il confronto con i movimenti avanguardisti.
Numerose le presenze provenienti da enti museali e istituzionali: Banca Monte dei Paschi di Siena; Banco BPM, Milano; Civica Raccolta MIAC - Museo Novecento, Firenze; Civici Musei di Udine; Collezione Gori, Pistoia; Collezione di Palazzo del Montecitorio-Camera dei Deputati, Roma; CUBO Museo d’impresa del Gruppo Unipol, Bologna; Fondazione Carima - Museo Palazzo Ricci, Macerata; Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro; Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna, Firenze; Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; Museo Revoltella, Trieste; Museo del Paesaggio, Verbania; Museo della Collezione Mazzolini, Bobbio; Museo d’arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis” - GAMC, Ferrara.
Completano la mostra opere di diverse collezioni private.
Il titolo dell’esposizione si ispira a “Parigi era viva”, autobiografia di Gualtieri di San Lazzaro – celebre scrittore, editore e critico d’arte italiano, emigrato a Parigi – in cui vengono raccontate in terza persona la vita e le vicende lavorative di Picasso, di Matisse e degli Italiens.
La vicenda del “Gruppo dei sette” inizia ufficialmente nel 1928, anche se tutti i componenti sono presenti e operativi nella Ville Lumière da tempo. Parigi è il sogno e il mito di ogni artista: Severini vi si stabilisce nel 1906; de Chirico vi approda una prima volta nel 1911 per tornarvi nel
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1924; suo fratello Andrea (che si sarebbe poi firmato “Alberto Savinio”) vi soggiorna già nel 1910 e nel 1926; Paresce arriva nel 1912, Tozzi e Campigli nel 1919 e De Pisis nel 1925.
Il linguaggio dei Sept, al di là delle diversità tematiche e stilistiche individuali, si orienta verso un nuovo classicismo mediterraneo trasognato, con qualche inflessione surreale e neo-metafisica, in equilibrio tra reale e fantastico, storia e mito, tradizione e avanguardia.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
La rassegna è suddivisa in sette sezioni, ognuna delle quali è dedicata a un artista.
In una saletta sono raccolti una dozzina di disegni, eseguiti tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, da Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Gino Severini e René Paresce .
Il percorso comincia con Giorgio de Chirico. Nelle sue opere si ritrovano i rimandi metafisici (Le cabine misteriose 1934 c., Le muse o Le muse in villeggiatura 1927 c.); i richiami classici di Pericle 1925, un’opera d’intonazione misterica, o di Grenades avec buste ancien 1923 c.; il “ritorno all’antico”, perseguito a Parigi secondo uno stile personalissimo che sfocia, da una parte, nella tematica dei gladiatori (Gladiatori o La lutte 1929 c.), dall’altra, si concretizza nei nudi femminili monumentali (Les deux nus 1926) o in quelli tattili e luminosi, come i corpi dipinti da Renoir (Bagnante 1928-1930 e di Nudo 1930 c.) Non mancano un Autoritratto 1930 c. che testimonia l’alchimia del demiurgo-artista nel mistero del proprio atelier, reminiscenze dell’antica Grecia e frammenti di reperti archeologici (Sibille in riva al mare 1937 c.; Cavalli antichi 1929 c., Cavalieri e guerrieri in riva al mare 1931 c.).
Si prosegue con Alberto Savinio: La fille de la statue 1926-1927 mescola antico e moderno, mettendo a confronto il mondo borghese con la scultura classica. La serie di uomini dai volti di manichini, composti da assemblaggi di corpi nudi, si riconosce in Senza titolo o Il ritorno di Ulisse 1928 c., mentre l’elaborazione di paesaggi immaginari, caratterizzati da elementi geometrici diversi fluttuanti nell’aria come giocattoli, è riscontrabile in Le navire perdu 1928 c., Tombeau d’un roi maure 1929 e Epître aux Ethiopiens 1929. Ritratto di Jeanne Castel 1929, Ritratto di Roger Lacombe 1930, Fräulein Liesbeth 1932 c., Ritratto di Achille Funi 1931 c. compongono un genere sviluppato dall’artista a cavallo tra gli anni Venti e Trenta e indirizzato a personalità del mondo culturale e artistico. Dal 1930 Savinio realizza nuove ibridazioni metamorfiche tra corpi umani e teste di animali (Papera 1930-1931 e Penelope 1940), recupera l’esempio classico riportandolo alla contemporaneità (Arianna 1939 c.) e ripropone la dimensione metamorfica tra realtà e valori cosmici, tra umano e sovrumano (Fine del combattimento degli angeli 1930).
Si continua con Massimo Campigli e i suoi riferimenti a modelli etruschi (Le Educande o Passeggiata delle educande 1929-1930) e rupestri (Le arciere 1933). La figura femminile è sempre al centro delle sue opere: in Le spose dei marinai 1934 si trova il tema caro al pittore delle
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spiagge animate da fanciulle in costume che hanno perso ogni connotazione fisiognomica e sono diventate allegorie della speranza; in Violini (Concerto) 1934 c. prevale la costante ricerca dell’armonia, che è anche armonia matematica e musicale in senso platonico; in Figura di donna 1935 c. i rimandi guardano più a Picasso che all’Etruria. Infine in Ondine al sole 1949 le donne si sono tradotte in simboli, in segni di una scrittura pittografica che rappresenta l’eternità della vita.
Filippo de Pisis e la sua pittura frammentaria – "a zampa di mosca”, come ingegnosamente la definiva Eugenio Montale – si trovano nella quarta sezione. L’artista mette in scena nature morte (Natura morta con il pesce e le rose 1926) e paesaggi veloci e scattanti (La Coupole 1928, Strada di Parigi 1938 e Viale di Parigi 1938) in cui alla luminosità del colore alterna l’uso sapiente dei neri e dei grigi, degli azzurri polverosi, svolti in narrazioni spesso audaci e neometafisiche. Anche in Interno dello studio di Parigi 1931 i rapporti di luce sono giocati con scatti timbrici e discontinui e in Trebbiatura a Gers 1934 prevale una delicata attenzione al colore abbinata a una pennellata fulminea e rarefatta.
Renato Paresce è il protagonista della quinta sezione: l’intenso e malinconico Autoritratto 1917 c. segnala, attraverso lo smarrimento dello sguardo, il disorientamento dovuto al drammatico transito storico che procede di pari passo con l’emersione della difficile fase del Ritorno all’ordine. In Natura morta 1926 l’artista affronta la costruzione architettonica, nata dall’accorpamento di elementi geometrici giocati su diversi piani, al modo del cubismo di Georges Braque. L’inquietudine maturata verso il 1935 dà vita a dipinti come Circo con palla rossa 1936 in cui figure larvali fluttuano in uno spazio indistinto e riportato al punto-zero, al primordio della vita.
Nella sesta sezione incontriamo Gino Severini: l’artista, tra il 1928 e il 1929, inserisce in scenografie neopompeiane personaggi della Commedia dell’arte, Pulcinella, Colombina e Arlecchino, che diventano protagonisti di temi amorosi, musicali e poetici (La leçon de musique 1928-1929). Maschera e resti archeologici sono presenti anche in Natura morta con maschera 1929 c., una pittura su vetro, tecnica riscoperta dallo studio di antiche iconografie e di tecniche romane “minori”. Una costante ispirazione musicale caratterizza il ritratto di Pulcinella con il clarino 1929 c., mentre si ritrova la vocazione classica severiniana in una preziosa serie di nature morte realizzate alla fine degli anni Venti, in cui reperti di arte romana si assemblano in affascinanti combinazioni con scenografici tendaggi e strumenti musicali (Natura morta o Tenda e mandolino 1929 c.). Maternità - Natura morta 1927-1928, si articola entro i confini di una scatola architettonicamente perfetta, in cui la maternità, tema caro all’autore, è ridimensionata in una quinta laterale, soluzione che potenzia il ruolo da protagonista di una natura di levigata e austera purezza formale.
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La mostra si conclude con Mario Tozzi. A partire dal 1924 l’artista matura l’idea di divulgare la conoscenza in Francia dell’arte italiana attraverso l’esposizione della nostra pittura e scultura contemporanea a Parigi. Egli sostiene l’universalismo dello “spirito italiano” nel più vasto orizzonte di una rigenerata “rinascita classica” dell’arte moderna. La ricerca di plasticità e di volumetria segue uno processo di riplasmazione della materia e delle forme, con forti riferimenti a Cézanne e a Derain (Table garnie 1922 c.). La ricerca di una sintesi sapiente delle masse si perfeziona nel profilo enigmatico e neometafisico di Le bonnet basque o Lo specchio 1928 c. Tra il 1929 e il 1930 l’universo di Tozzi si popola di figure archetipiche, architettoniche, realistiche e insieme idealizzate. La tensione plastica giunge al culmine in anatomie morfologicamente classiche, plasmate in busti cilindrici, in teste ovoidali, costruite con una materia argillosa e orchestrate in scenari silenziosi di conciliazione tra antico e moderno, concreto e astratto. Ne sono esempi magistrali L’Officina dei sogni 1929 c., Personaggi in cerca d’autore 1929 c. e Hommage à Claudel 1930.