Biennale Foto/Industria 2021
Torna la spettacolare Biennale Foto/Industria 2021 di Bologna, la prima Biennale al mondo dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro, giunta alla sua quinta edizione con il titolo FOOD.
Comunicato stampa
Dal 14 ottobre al 28 novembre torna la spettacolare Biennale Foto/Industria 2021 di Bologna, la prima Biennale al mondo dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro, giunta alla sua quinta edizione con il titolo FOOD.
Manifestazione a valenza nazionale e internazionale diretta da Francesco Zanot e organizzata da Fondazione MAST
con dieci mostre aperte gratuitamente in musei e palazzi del centro storico e una al MAST
Tra i principali argomenti trattati nelle 11 mostre in programma, che ripercorrono un secolo di storia dagli anni Venti ad oggi figurano: l’industria alimentare e il suo impatto sul territorio; il rapporto tra cibo e geografia; la meccanizzazione della coltivazione e dell’allevamento; la questione del grano; l’evoluzione del cibo nel corso del tempo; l’alimentazione organica e naturale; la cucina; le tradizioni locali; i mercati; la pesca nei mari e nei fiumi.
Tre artisti italiani: Ando Gilardi, tra le figure più eclettiche e originali della storia della fotografia italiana, protagonista della mostra “Fototeca” al MAST con una combinazione di reportage fotografici e materiali estratti dal pioneristico archivio iconografico che ha fondato nel 1959; Maurizio Montagna con il lavoro “Fisheye”, realizzato appositamente per questa Biennale e dedicato al fiume Sesia e alla sua valle, (Collezione di Zoologia del Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Bologna) e Lorenzo Vitturi (“Money Must Be Made”, su Balogun, il mercato più grande e complesso di Lagos in Nigeria, Palazzo Pepoli Campogrande).
Otto artisti stranieri: Hans Finsler considerato tra i padri della fotografia oggettiva degli anni ’30 (“Schokoladenfabrik”, serie realizzata nel 1928 su commissione dell’azienda dolciaria Most, San Giorgio in Poggiale); Herbert List, fotografo tedesco membro della Magnum Photos (“Favignana”, 40 immagini sulla mattanza dei tonni nell’isola nel 1951, Palazzo Fava); il francese Bernard Plossu (“Factory of Original Desires”, spezzoni di vita in tutto il mondo e ritratti legati a persone e cibo nella quotidianità, Palazzo Fava); Mishka Henner (“In the Belly of the Beast”, una selezione di tre progetti sul rapporto tra uomo, animali e tecnologia realizzati utilizzando materiali preesistenti, Spazio Carbonesi); il giapponese Takashi Homma (“M + Trails”, immagini delle facciate dei negozi di McDonald’s in paesi lontani accostate a una sequenza sulle tracce di sangue lasciate dai cacciatori di cervi in Giappone, Padiglione Esprit Nouveau); l’olandese Henk Wildschut (“Food”, immagini delle nuove tecnologie per una produzione sempre più massiccia e intensiva dell’industria alimentare, Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna, Palazzo Paltroni); l’artista americana Jan Groover nota per le sue nature morte (“Laboratory of forms“, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, una retrospettiva di tutta la sua carriera a partire dalle celebri nature morte riprese nella cucina della sua abitazione); la ricercatrice e attivista palestinese Vivien Sansour (“Palestine Heirloom Seed Library”, un progetto per salvaguardare antiche varietà di semi e proteggere la biodiversità, Palazzo Boncompagni).
La pubblicazione che accompagna la Biennale Foto/Industria 2021 costituisce allo stesso tempo il catalogo delle mostre in programma e un libro di cucina autonomo e funzionale, con lo chef e scrittore Tommaso Melilli che interpreta le immagini e i temi di ogni mostra attraverso una ricetta originale.
FOTO/INDUSTRIA 2021 – Elenco Mostre e Biografie autori
HANS FINSLER
SCHOKOLADENFABRIK
San Giorgio in Poggiale
Via Nazario Sauro, 20/2
Tra i maggiori protagonisti della fotografia oggettiva (Sachfotografie) e vicino alle avanguardie d’inizio Novecento, Hans Finsler si è specializzato fino dall’inizio della sua carriera nella rappresentazione degli oggetti. Organizzata in collaborazione con la Fondazione Rolla, questa mostra è interamente dedicata a una serie specifica e particolare realizzata nel 1928 dal fotografo svizzero su commissione della fabbrica dolciaria tedesca Most. Unici soggetti sono i prodotti dell’azienda, miniature di cioccolato e marzapane descritte nei minimi particolari grazie a una particolare combinazione di capacità tecnica e filosofica minuzia. Trattati come opere uniche dell’ingegno artigianale e industriale, i dolci di cioccolato e marzapane risultano così sospesi in una serie a metà tra comunicazione pubblicitaria e riconoscimento di autentici valori scultorei.
Tra i maggiori fotografi industriali del Novecento, Hans Finsler (Svizzera, 1891) studia prima architettura a Stoccarda e Monaco, poi storia dell’arte all’Università di Monaco, dove è allievo di Heinrich Wölfflin. Docente alla scuola di arti applicate di Halle, ispira il suo corso al metodo del vicino Bauhaus. Acquisisce notorietà grazie alla mostra personale Neue Wege der Photographie dedicatagli nel 1928 dal museo di Halle. Nel 1929 partecipa come pioniere della nuova fotografia alla celeberrima esposizione Film und Foto. Chiamato dalla Kunstgewerbeschule di Zurigo, vi fonda il primo corso di fotografia, attraverso cui forma molti grandi esponenti della fotografia svizzera, tra cui Werner Bischof e Renè Burri. Muore a Zurigo nel 1972.
ANDO GILARDI
FOTOTECA
Fondazione MAST
Via Speranza, 42
Fotografo, storico, critico, editore... Ando Gilardi è una delle figure più eclettiche e originali della storia della fotografia italiana. La Fototeca Storica Nazionale, che fonda nel 1959, arriva a contenere circa 500.000 immagini, costituendo un pionieristico archivio sugli usi e le funzioni sociali della fotografia. Questa mostra presenta una selezione degli innumerevoli materiali prodotti e raccolti da Gilardi sul tema dell’alimentazione, a partire dalle fotoinchieste realizzate negli anni ’50 e ’60, centrate particolarmente sul lavoro nei campi e nelle industrie, fino ai materiali conservati e riprodotti (rifotografati) nel vasto inventario che ha messo insieme: figurine, incarti, scatole, pubblicità, libri, riviste, erbari, fotografie di famiglia e molto altro ancora. Fototeca è un’esplorazione dell’iconografia del cibo e del potere della fotografia nel mantenerla sempre viva, accessibile e ri-vedibile.
Ando Gilardi (Italia, 1921) è stato un fotografo, teorico e storico della fotografia, giornalista ed educatore. Nato Aldo e ribattezzato Ando da partigiano, ha iniziato ad occuparsi di fotografia a partire dall’immediato dopoguerra, rivendicando fino da subito il valore documentale delle immagini riprese con questa tecnica. Realizzata prevalentemente negli anni Cinquanta e Sessanta, la sua produzione fotografica si concentra sui temi del lavoro, dell’industria, dell’agricoltura, dell’etnografia e della società. Nel 1959 fonda la Fototeca Storica Nazionale, pionieristico esempio di archivio iconografico che oggi porta il suo nome e contiene un patrimonio di oltre 500.000 immagini. È autore di numerosissimi articoli, saggi e libri, tra i quali la Storia sociale della fotografia (Feltrinelli, 1976) costituisce uno studio fondamentale quanto precoce sugli usi e le funzioni di questo mezzo.
JAN GROOVER
LABORATORY OF FORMS
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni, 14
Jan Groover si forma come pittrice, ispirandosi all’opera di artisti come Paul Cézanne, Giorgio Morandi e i minimalisti. Si dedica alla fotografia dall’inizio degli anni ‘70. Tra i grandi protagonisti della natura morta, suscita presto l’interesse di critica e pubblico con una serie di oggetti fotografati nella cucina della sua abitazione combinando una sensibilità compositiva che rimanda ai quadri rinascimentali con l’eco delle istanze politiche e sociali del femminismo. Il suo lavoro, celebrato in una mostra personale al MoMA di New York nel 1987, prosegue fino al 2012 con una continua ricerca sulla forma degli oggetti e il loro inesauribile potenziale visivo. Questa mostra, proveniente dal Musée de l’Elysée di Losanna, dove è conservato l’intero archivio dell’artista, costituisce la sua prima retrospettiva in Italia e coglie l’occasione per avvicinare il suo lavoro a quello del maestro Giorgio Morandi.
Jan Groover (USA, 1943) si è formata in pittura e disegno al Pratt Institute di New York e alla Ohio State University, prima di cominciare a dedicarsi alla fotografia dalla fine degli anni Sessanta. Influenzata da artisti classici e contemporanei, si è dedicata particolarmente alla natura morta, sperimentando l’utilizzo del colore quando la fotografia di ricerca era ancora prevalentemente in bianco e nero. Nel 1979 ha ricevuto la John Simon Guggenheim Foundation Fellowhip e nel 1987 il MoMA di New York le ha dedicato una mostra personale che l’ha consacrata tra i maggiori protagonisti della fotografia mondiale. Nel 1991 si è traferita in Francia con il marito pittore Bruce Boice, dove ha continuato la sua sperimentazione con numerose tecniche di stampa, in particolare quella al palladio. È morta nel 2012 a Montpon-Ménestérol.
MISHKA HENNER
IN THE BELLY OF THE BEAST
Palazzo Zambeccari – Spazio Carbonesi
Via De’ Carbonesi, 11
Consacrato nel 2015 dalla mostra collettiva New Photography al MoMA di New York, Mishka Henner è uno dei principali sperimentatori del linguaggio fotografico contemporaneo. Particolarmente interessato ai cambiamenti introdotti dalle nuove tecnologie, spesso non realizza direttamente le immagini di partenza dei suoi progetti, ma le preleva dalla rete, appropriandosene e attribuendovi nuovi significati. È ciò che accade nel caso dei tre progetti selezionati per questa mostra.
Feedlots è una serie di gigantografie realizzate attraverso la combinazione di centinaia di immagini di Google Earth raffiguranti enormi allevamenti di bovini, in cui la descrizione dei minimi dettagli (cartografia) si combina a un senso generale di astrazione. Scopes è un montaggio di video reperiti su YouTube di animali che ingeriscono fotocamere e videocamere. The Fertile Image è un’accumulazione di oltre 300 immagini generate automaticamente da un software nutrito dall’artista.
Nel suo insieme, In The Belly of the Beast è un’esposizione sul rapporto tra uomo, tecnologia e animali, in un processo incessante fatto di consumo, digestione e scarto.
Mishka Henner (Belgio-Francia-Inghilterra, 1976) è un artista visivo che si interroga sulla ridefinizione del ruolo della fotografia nell’epoca di Internet. Le sue opere spesso includono immagini prelevate dal web o generate attraverso software digitali. Nato a Bruxelles, Henner si è trasferito in Inghilterra nel 1984, dove ha studiato al Goldsmiths College di Londra. Nel 2013 ha ricevuto il prestigioso Infinity Award for Art dell’International Center of Photography di New York. Il suo lavoro è stato incluso nella selezione finale del Deutsche Börse Photography Prize (2013) e del Prix Pictet (2014). Nel 2015 ha partecipato alla mostra collettiva New Photography al MoMA di New York. Nel 2017 la Örebro Konsthall (Svezia) gli ha dedicato un’ampia retrospettiva dal titolo Counter-Intelligence.
TAKASHI HOMMA
M + TRAILS
Padiglione dell'Esprit Nouveau
Piazza della Costituzione 11
Dall’inizio della sua carriera, Takashi Homma si concentra sul rapporto tra uomo e natura, documentandone sia gli esiti più felici e gloriosi, sia quelli più deleteri. Appositamente pensata per gli spazi del Padiglione dell’Esprit Nouveau, originariamente progettato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret, questa mostra combina tra loro due lavori realizzati dal fotografo giapponese in un ampio periodo di tempo compreso tra il 2000 e il 2018.
La serie M raccoglie e mette a confronto le facciate di una serie di negozi di McDonald’s in diverse parti del mondo, soffermandosi sia sulle loro differenze, sia sulle innumerevoli somiglianze che rimandano alla standardizzazione del cibo stesso. Il progetto Trails mostra invece le tracce di sangue lasciate da alcuni cacciatori di cervi tra le montagne di Hokkaido, la cui crudele eleganza ricorda la calligrafia tradizionale. La rapidità del consumo si oppone alla lentezza della ricerca, tenendo al centro il sacrificio dell’animale.
Dopo avere studiato fotografia al Nihon University College of Art di Tokyo, nel 1991 Takashi Homma (Giappone, 1962) si trasferisce a Londra dove lavora per la rivista i-D. Il suo libro Tokyo Suburbia (1998), peculiare applicazione dei principi della nuova topografia al territorio nipponico, viene insignito del prestigioso Kimura Ihei Commemorative Photography Award. Nel 2010 il 21st Century Museum of Contemporary Art di Kanzawa gli dedica un’ampia retrospettiva (New Documentary) che ripercorre alcuni passaggi chiave della sua carriera artistica. Nel 2021 espone al CCA di Montreal una mostra interamente dedicata allo studio delle finestre nelle architetture di Le Corbusier, affiancata da una pubblicazione edita da Walther König con il titolo Looking Through Le Corbusier Windows. Da sempre interessato all’ambito editoriale, ha realizzato oltre trenta pubblicazioni monografiche.
HERBERT LIST
FAVIGNANA
Palazzo Fava
Sala di Giasone e Medea
Via Manzoni, 2
Herbert List è il campione della “fotografia metafisica”. È lui stesso a coniare questo termine per descrivere il suo lavoro, in omaggio al celebre movimento artistico cui si ispira. Affonda le radici delle sue composizioni tipicamente classiche e austere nell’arte antica greca e italiana. Visita frequentemente questi luoghi, ed è proprio durante un viaggio al Sud del 1951, anno in cui entra a far parte della celebre agenzia Magnum, che realizza il progetto presentato in questa mostra. Si tratta di una serie di 41 fotografie riprese sull’isola siciliana di Favignana, insieme fondamentale documento della storia locale e testimonianza della maturità artistica dell’autore tedesco. Al centro del lavoro ci sono il tipico processo di lavorazione del tonno e, soprattutto, la mattanza, tradizione tanto viva nella popolazione locale quanto destinata a scomparire. In una sequenza rara e calibrata, List celebra la vita e la morte, trattando gli animali alla stregua di figure mitiche e osservando i lavoratori isolani come gli ultimi custodi di un sapere arcaico.
Herbert List (Germania, 1903), inizia a fotografare nei primi anni Trenta, mentre è ancora impiegato nell’azienda del padre, commerciante di caffè. Il Surrealismo e la Metafisica costituiscono le principali influenze sul suo lavoro. Nel 1936 inizia a viaggiare tra Londra e Parigi. Collabora tra le altre con le riviste Vogue, Harper’s Bazaar e Life. Nel 1937 visita la Grecia per la prima volta ed espone le sue fotografie alla Galerie du Chasseur d’Images di Parigi, conquistando l’attenzione di pubblico e critica. Nel 1951 entra a far parte dell’agenzia Magnum Photos. Espone nelle celebri mostre Subjektive Fotografie (1951) e The Family of Man (1955). Muore a Monaco nel 1975. Il suo lavoro è esposto nei maggiori musei di tutto il mondo ed è parte delle loro collezioni.
MAURIZIO MONTAGNA
FISHEYE
Collezione di Zoologia
Sistema Museale di ateneo
Via Francesco Selmi, 3
Fotografo interessato alle intersezioni tra spazio naturale e costruito, Maurizio Montagna esplora nei suoi progetti il rapporto tra il passato e il presente di un luogo, utilizzando la fotografia per documentare tanto ciò che permane quanto, paradossalmente, il mutamento. Appositamente realizzato per Foto/Industria, il progetto Fisheye indaga il territorio della Valsesia, selezionata come campione per lo studio della trasformazione di un paesaggio fluviale a partire dalla sua relazione con la pesca, che qui si è sviluppata nel corso dei secoli a partire da una tradizione tra le più antiche al mondo. Attraverso il filtro di questa attività, Montagna svela il modo in cui questo territorio è cambiato nel tempo, sia per cause naturali, sia per l’intervento dell’uomo, il quale ha inciso massicciamente sull’ambiente con interventi più o meno visibili (dalla costruzione di una diga all’emissione di gas serra) alterando il corso dei fiumi, la vita delle specie autoctone che li abitano e quella delle persone che le introducono, seppure sempre meno, nella propria dieta.
Maurizio Montagna (Italia, 1964) è un fotografo specializzato nell’investigazione del territorio, dell’architettura e del rapporto tra uomo e ambiente. I suoi lavori costituiscono un’indagine dello stesso linguaggio fotografico, mettendo alla prova il potenziale documentario di questo mezzo. Nel 2008 il libro Billboards costituisce un ampio studio sulla relazione tra comunicazione e spazio urbano. Il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati, tra cui: Triennale di Milano; Hunter College, New York (2012); XXIV Biennale di Architettura di Venezia (2014); Palazzo Te, Mantova (2015); Centro Pecci, Prato (2019).
BERNARD PLOSSU
FACTORY OF ORIGINAL DESIRES
Palazzo Fava
Sala Carracci
Via Manzoni, 2
Tra i maggiori protagonisti della fotografia francese degli ultimi cinquant’anni, Bernard Plossu ha fotografato tutto il mondo con il medesimo sguardo curioso e tagliente, concentrandosi sui dettagli minimi della vita quotidiana. L’alimentazione è dunque inevitabilmente uno dei soggetti su cui si è ripetutamente soffermato: viene investigato in questa mostra attraverso una inedita selezione di immagini che mescola chiare tendenze topografiche all’incanto per la figura umana. Alle grandi insegne dei diner del West americano, dove l’autore ha trascorso molti anni della sua vita, si affiancano paesaggi più o meno antropizzati, nature morte di oggetti trovati e ritratti spontanei che evidenziano la complessità del rapporto tra persone e cibo, sempre in bilico tra attrazione e bisogno, desiderio e necessità, piacere ed eccesso.
Bernard Plossu (Francia, 1945) si avvicina alla fotografia nel 1958 durante un viaggio con il padre nel deserto del Sahara. Studia filosofia a Parigi e completa gli studi in Messico, dove nel 1966 partecipa a una spedizione etnografica inglese nella giungla del Chiapas e realizza le fotografie per il celebre libro Les voyages Mexicanes (1979). Vive a Parigi, poi in California e New Mexico, dove incontra Joan Baez, Allen Ginsberg, Henry Miller e altri protagonisti della cultura alternativa americana. Nel 1988 il Centre Pompidou gli dedica una grande mostra retrospettiva e viene insignito del prestigioso Grand Prix National de la Photographie. Nel 1989 si trasferisce in Andalusia e infine fa ritorno in Francia nel 1992, dove vive a La Ciotat.
VIVIEN SANSOUR
PALESTINE HEIRLOOM SEED LIBRARY
Palazzo Boncompagni
Via del Monte, 8
Vivien Sansour è un’artista e ambientalista palestinese. Palestine Heirloom Seed Library è un progetto artistico, sociale e di ricerca nato nel 2014 con l’obiettivo di promuovere la salvaguardia di antiche varietà di semi, intese come vere e proprie unità viventi di storia e cultura, attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle istituzioni. Progettata come un vero e proprio ambiente, questa mostra integra diversi media, tra cui la fotografia, il video e la scrittura, per accompagnare gli spettatori in un percorso multisensoriale alla scoperta dei progetti promossi e intercettati dalla Palestine Heirloom Seed Library dalla sua nascita fino ad oggi. Appositamente realizzati per questa occasione, una mappa, un video e un libro d’artista costituiscono gli snodi cruciali della ricognizione di un lavoro che tocca questioni di straordinaria rilevanza economica e geopolitica, configurandosi allo stesso tempo come un fondamentale strumento di consapevolezza (per la gente del posto) e informazione (per il resto del mondo).
Palestine Heirloom Seed Library è un progetto di Vivien Sansour in collaborazione con Linda Quiquivix, Dalen Saah, Samar Hazboun e Charin Singh.
Vivien Sansour (Palestina) è la fondatrice della Palestine Heirloom Seed Library. Antropologa di formazione, combina pratica artistica, ricerca scientifica e ambientalismo. Ha lavorato con agricoltori di tutto il mondo producendo testi, fotografie e altri materiali con l’obiettivo di rigenerare le tradizioni locali e sostenere la protezione della biodiversità come atto culturale e politico. Nel 2020-21 è Religion and Peace Initiative Fellow alla Harvard University di Cambridge, dove lavora a un libro autobiografico che documenta la sua ricerca sui semi palestinesi e di tutto il mondo.
LORENZO VITTURI
MONEY MUST BE MADE
Palazzo Pepoli Campogrande
Via Castiglione, 7
Da sempre interessato all’incontro tra differenti culture, Lorenzo Vitturi ha maturato il progetto Money Must Be Made nell’ambito di una residenza a Lagos su invito della African Artists Foundation. Scenario del lavoro è Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo, dove Vitturi ha ripreso alcune fotografie e raccolto i materiali, in parte alimenti, che sono in seguito diventati ingredienti di sculture e nature morte realizzate presso il suo studio. Il risultato è una mostra che investiga un autentico ecosistema fragile e sconfinato, dove la tradizione si confronta con l’economia globale (la gran parte degli oggetti venduti al mercato sono ‘Made in China’ e il quartiere in cui si trova è dominato dalla torre decadente della Financial Trust House) e gli individui, spesso rappresentati come equilibristi forti ed eleganti, costituiscono ancora un fattore fondamentale.
Lorenzo Vitturi (Italia-Perù, 1980) combina la fotografia con altri linguaggi espressivi, tra cui scultura, pittura, installazione e performance. Nel 2013 la sua prima mostra personale, Dalston Anatomy, organizzata dal Foam Museum di Amsterdam, ha ricevuto il premio Best Show of the Year, 3H Foam and Gieskes Strujbis Fonds. Interessato alle economie informali, alla fusione di culture diverse e all’incontro con le comunità locali, ha lavorato al progetto della serie Money Must Be Made a partire da una residenza presso la African Artists Foundation di Lagos, Nigeria. Il suo lavoro è stato incluso in mostre collettive in istituzioni di tutto il mondo, tra cui: MAXXI, Roma; Centre Georges Pompidou, Parigi; Triennale, Milano; BOZAR, Bruxelles; K11 Art Museum, Shanghai; Barbican Centre, Londra.
HENK WILDSCHUT
FOOD
Fondazione del Monte
Palazzo Paltroni
Via delle Donzelle, 2
Henk Wildschut combina in tutti i suoi lavori fotografia e attivismo, concentrandosi in particolare sul tema della comunità, le sue regole e i suoi riti, tra passato, presente e futuro. Tra i suoi progetti più estesi, Food, commissionato dal Rijksmuseum di Amsterdam e realizzato in tre anni di lavoro tra il 2011 e il 2013, è il risultato di una vasta ricerca sul tema dell’industria alimentare, centrata in particolare sulle più avanzate tecnologie del settore, generalmente sviluppate per aumentare il volume della produzione e adeguarsi alle norme sempre più stringenti in merito a igiene e sicurezza. Dagli allevamenti con decine di migliaia di animali (polli, suini, bovini...) alle sterminate serre in cui vengono riprodotte le condizioni ideali per accelerare la crescita delle piante, fino ai laboratori delle Università in cui si studiano gli organismi più nutrienti e resistenti, il lavoro di Wildschut è un viaggio nel backstage di quello che mangiamo ogni giorno.
Henk Wildschut (Paesi Bassi, 1967) ha studiato alla Royal Academy of Art di The Hague. Tra il 2005 e il 2017 ha realizzato una trilogia fotografica sul tema dei campi profughi, iniziata con la serie Shelter, sulle architetture provvisorie, proseguita con Ville de Calais, sulla cosiddetta “jungle” sorta nei pressi della Manica e abitata da circa 1.500 persone, e conclusa con Rooted, dedicata alle piante seminate e accudite dagli esuli. Nel 2017 la monografia Ville de Calais ha vinto il Prix du Livre dei Rencontres de la photographie di Arles ed è stato selezionato tra i finalisti dell’Aperture PhotoBook Award. Nel 2011 il Rijksmuseum di Amsterdam gli ha commissionato un’ampia ricerca sul tema della nuova industria del cibo, culminata in un libro e una mostra dal titolo Food. L’ultimo lavoro di Wildschut, un vasto documentario sul Covid-19, è esposto al Rijksmuseum di Amsterdam tra il 2021-22.