Arti&mestieri hanno bisogno di musei di tipo nuovo
Non mancano, in Italia, ottimi esempi di grandi musei autonomi. Ma perché non esistono musei altrettanto virtuosi nel campo dell’artigianato?
I grandi musei autonomi e i loro “super direttori” hanno ottenuto bei risultati nell’ultimo lustro. Ne abbiamo dato atto più volte, sottolineando i limiti e i margini di miglioramento, ma senza mai negare la portata dell’evoluzione.
La lista di questi importanti enti culturali – i più recenti sono stati aggiunti a fine giugno – dà però evidenza di una lacuna. Nel novero dei più significativi musei italiani non ci sono spazi dedicati al saper fare, all’artigianato. Fatto salvo il design, non siamo dotati ad esempio di un museo della moda che possa competere a livello internazionale e possa ambire al ruolo di grande “museo autonomo”. Un paradosso, vista l’importanza da noi dell’industria del fashion; e l’impegno dei privati (il Museo Gucci, il Museo Ferragamo ecc.) non può compensare la latitanza dello Stato.
Ma almeno della mancanza di un museo nazionale della moda ogni tanto si dibatte, cosa che non avviene per tutte le altre arti che costituiscono l’identità industriale del made in Italy. Queste competenze diffuse o non possono disporre di una infrastruttura culturale che le racconti, oppure hanno a disposizione infrastrutture inadeguate, vecchie, superate. E quindi dannose. Largamente controproducenti.
MESTIERI ARTIGIANALI E MUSEI
Musei della calzatura, della pelletteria, del merletto, della seta, del cappello, della lana e di mille altre specialità esistono in gran numero in Italia, ma solo raramente si tratta di istituzioni all’altezza dell’importanza del contenuto. Un contenuto assai importante per motivi storici, sociali, culturali e non ultimo economici. Un contenuto strategico per il futuro: il ritorno ai mestieri artigianali dovrà essere una delle chiavi di sviluppo per i prossimi anni, uno degli elementi di attrazione soprattutto per i giovani, che individueranno in questo ambito una chance di carriera e di soddisfazione. Si tratta, è indubbio, di una caratteristica che l’intero pianeta guarda con ammirazione. Le risorse del PNRR, fortemente modulate sulle aree interne, dove l’artigianalità è ancora presente in maniera profonda, sembrano perfette per dare boost a questo comparto. Ma affinché questo avvenga, affinché la percezione diffusa cresca e acquisisca ulteriore prestigio e capacità magnetica per investitori e lavoratori, occorre un racconto ben sceneggiato.
“Musei della calzatura, della pelletteria, del merletto, della seta, del cappello, della lana e di mille altre specialità esistono in gran numero in Italia, ma solo raramente si tratta di istituzioni all’altezza dell’importanza del contenuto”.
E come si fa a strutturare un racconto su un argomento senza avere a disposizione enti culturali che diano una mano? I musei sulle arti e sui mestieri dovrebbero essere finanziati, dovrebbero trovare spazio in edifici contemporanei di nuova architettura, dovrebbero beneficiare di allestimenti coinvolgenti con impiego di tecnologie. La maggior parte di loro sono invece luoghi polverosi e pieni di cimeli, con impianti museografici incapaci di entrare realmente in empatia col pubblico. Non solo rendono un pessimo servizio ai contenuti di cui parlano, ma ne danneggiano l’immagine. Una delle sfide dell’Italia è quella di rendere attrattivi i mestieri artigianali e convincere giovani e giovanissimi che un percorso professionale di quel tipo può essere un’opzione credibile.
Ogni museo che non contribuisce in questo senso, ogni museo che rischia di far passar la voglia a un ragazzo dovrebbe essere chiuso in attesa di essere riallestito, ripensato, trasferito in spazi più idonei. L’obiettivo, oltre che raccontare una storia e tutelare un patrimonio unico, deve essere quello di convincere i visitatori che l’artigianato italiano è una delle cose più strabilianti del mondo. Altro che vecchi merletti.
‒ Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #61
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