Voce, storia e attualità al festival Short Theatre di Roma
Reportage dal festival “Short Theatre”, che ha portato sul palcoscenico della Capitale alcuni protagonisti della scena performativa contemporanea. Da OHT a Nadia Beugré a Nora Chipuamire.
È un’isola risonante in un arcipelago di suoni quella che ha riverberato tra le onde di Short Theatre, nell’anno di direzione condivisa tra Piersandra Di Matteo e Francesca Corona, in una fluttuazione di mondi concettuali e poetici innestati sulle politiche del suono e dell’ascolto.
Voci, prima di tutto, e lingue, da diversi angoli del mondo, con microtonalità in estinzione, parole di rivolta, canti meticci e creolizzati, echi polifonici, sussurri a lenire ferite, profezie e preghiere. Voci inaudite.
Così uno dei festival più amati e innovatori della capitale apre offrendosi laicamente al canto, alla materia vibrazionale del suono, con un titolo potente, The Voice This Time, che equilibra la singolarità di ogni voce all’universalità del divenire suono di tutti i corpi, restituendo insieme coralità e intimità come paradigmi dell’ascolto, in quello spazio acustico inteso come questione politica, disposizione alla voce dell’altro e dell’altrove, atto che sposta, direziona, dispone all’ingresso nelle fessure dell’udire.
È così che, come si legge nello statement delle direttrici artistiche, “la performatività acustica diviene l’arena per interferenze espressive, tangenze affettive, collisioni cognitive per la coabitazione di corpi”.
LA PERFORMANCE DI OHT
Tra le soglie risonanti prendono voce i diversi registri di canti tirolesi intonati in Rompere il ghiaccio, il recente lavoro di OHT, di Filippo Andreatta con la performer Magdalena Mitterhofer, che attraverso i giochi timbrici dello jodel, alternando i picchi del falsetto alla potenza vocalica della voce di petto, narra della relazione tra ghiaccio, corpi e confini.
In un set di cartografie, memorie, corrispondenze romantiche, si situa il racconto reale e allo stesso tempo immaginifico della relazione d’amore transfrontaliera tra i nonni del regista, a creare una breccia nella stessa idea di confino e confine, lasciando affiorare il tragico tracciato segnato dai poteri e dalle politiche, ma messo in crisi dalle valli, durante il secondo conflitto mondiale.
L’apparato visivo di OHT spazializza la narrazione, offrendosi a conclusione della performance al visitatore come un archivio esposto di riferimenti e rimandi alla storia, esponendo per esempio il Libro bullonato di Fernando Depero e insieme il ricordo intimo dei nonni separati dai ghiacciai. In questo la grande maestria di Andreatta, che nella precisione della drammaturgia gioca in modo esemplare con set di oggetti, appunti, racconti e immaginari.
NADIA BEUGRÉ
Il canto libero dell’ivoriana Nadia Beugré ricolloca nel contesto degli spazi della Galleria della Pelanda Quartiers Libres, assolo del 2012, concepito in forma site specific per Short Theatre con la partecipazione di alcuni danzatori locali nella scena finale. Beugré danza il grido di protesta e di rivolta di un corpo canonizzato, razzializzato, che riflette e restituisce, con tutta la violenza che ha saputo comprimere, le stereotipizzazioni di genere, i codici con cui la figura femminile viene assorbita, smembrata e disossata dallo sguardo coloniale.
Li lascia emergere, come in un rituale di esorcizzazione, li trasforma in armi, in strumenti di lotta e riappropriazione con cui gioca con ironia e scherno, fronteggiando con il suo sguardo tribale gli occhi del pubblico. È così che in un atto di trasfigurazione la coreografa costella la performance con l’ambivalenza semantica di codici che assumono una componente politica a partire da un set di rituali dal sapore sadomasochista. L’artista si soffoca con la plastica, avvolge il corpo con un cavo elettrico, inciampa sui suoi stessi tacchi, in un’esposizione che incorpora nello spazio scenico lo stupro umano e ambientale del continente africano.
Il corpo collassa e risorge in territori proibiti, negati allo sguardo, incarnando una lotta contro un mondo che cerca di seppellirli, assorbendo e attraversando come in un canto d’amore il rifiuto del mondo.
NORA CHIPUAMIRE
Di canto e di rivolta dai Sud del mondo parla anche Nehanda di Nora Chipuamire, artista nata in Rodhesia, ora Zimbabwe, di base a New York, in scena al Teatro Argentina.
Il lavoro è dedicato all’omonima figura mitica che abita solo le donne, venerata dal popolo Shona, una comunità religiosa e culturale nativa del Zimbabwe e del Mozambico centrale. Nehanda è insieme un’opera live e radio che mutua il più canonico dei codici spettacolari europei in un concerto concepito come un re-enactment contemporaneo, rielaborazione di un libretto basato sul famigerato caso giudiziario The Queen vs. Nehanda nell’epoca del colonialismo britannico del XIX secolo.
Accompagnano la performance, come un mantra di rivolta, le note di War di Bob Marley, No Justice No Peace, che tessono e cuciono visioni e parole di lotta, in un palco costellato di lumini accesi come preghiere, scandito dal suono di megafoni, impossessati da vocalist, danzatori e performer. Mentre sullo sfondo del palco campeggiano le bandiere dell’Union Jack e il battere delle percussioni accelera in una crescita esponenziale, la luce si spegne. Non esce nessuno e il silenzio riecheggia, lasciando sospeso il suono sordo delle ombre della storia.
‒ Maria Paola Zedda
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