Pietro Consagra a Lugano: una mostra che non ti aspetti
Alla Collezione Olgiati di Lugano una monografica rilegge 20 anni di lavoro dello scultore Pietro Consagra, con rarità che gettano nuova luce sulle sue opere più conosciute. Un viaggio tra concretezza e utopia, per una riscrittura della realtà in senso antiformalista
La monografica alla Collezione Olgiati restituisce a Pietro Consagra (Mazara del Vallo, 1920 – Milano, 2005) la posizione di avanguardista che non sempre gli viene attribuita. Già il titolo della mostra curata da Alberto Salvadori è significativo: La materia poteva non esserci, frase che colloca immediatamente le opere nel campo del concetto, dell’ideazione e del processo, anziché in un semplice “duello” dello scultore con il materiale prescelto.
L’ampiezza dell’analisi che la mostra mette in atto è degna di una retrospettiva, ma si tratta di un focus su vent’anni decisivi, dai Cinquanta ai primi Settanta. Il percorso è cronologicamente inverso, come a voler rileggere le opere più (relativamente) classiche e conosciute di Consagra alla luce della sperimentazione accentuata che avviene dalla seconda metà degli Anni Sessanta.
TELI DIPINTI E UNA “SELVA” DI SCULTURE
Apre il percorso La città frontale del 1968, opera aperta e felicemente frastagliata dove la scultura diventa assieme installazione, riflessione sull’idea di antimonumentalità, utopia architettonica. Un altro esempio dello spirito anticonformista e antiformalista di Consagra sono poi i sorprendenti pseudo-ready made che trasportano elementi dell’arredo urbano all’interno del museo, mentre addentrandosi fra tre dei lenzuoli dipinti tra fine Anni Sessanta e inizio Settanta si scopre un’applicazione pittorica (ma sempre di stampo spaziale) dell’alfabeto creato dall’artista.
Il passaggio tra i teli è anche l’accesso alla parte più spettacolare della mostra, la “selva” di ferri dipinti: al di là della modernità della tecnica e del colore, qui la struttura scultorea si trasforma definitivamente in qualcosa di non catalogabile, saldo eppure aereo, sensoriale eppure puramente concettuale.
L’ARTE DI PIETRO CONSAGRA
Si può tornare così, dopo questo percorso all’inverso, alle opere più conosciute dell’artista, via via fino al Colloquio del 1952. Bronzo, acciaio, legno vengono affrontati sfidandone le caratteristiche e le convenzioni a essi legate (il legno bruciato dà in particolare risultati che stupiscono per la loro natura definitiva e insieme aleatoria). Non siamo nel campo delle variazioni sul tema dell’Informale, ma in un gioco dove il materiale viene valorizzato e reso moderno perché smentito, sfidato fino al limite delle possibilità.
Opera, spazio pubblico e persino domestico convivono nel progetto di riscrittura totale della realtà ideato da Consagra; l’idea di frontalità coinvolge direttamente chi osserva le opere (tratti antropomorfi o biologici sono d’altronde un sottinteso costante) e trasporta nell’arte italiana l’aria di rinnovamento che soffiava oltreoceano, distillandone le componenti più progressiste.
– Stefano Castelli
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