La revoca dell’incarico a Cristiana Perrella: non solo una questione manageriale
Il direttore del Museo Novecento di Firenze, Sergio Risaliti, dice la sua sulla revoca dell’incarico a Cristiana Perrella, fino a pochi giorni fa direttrice del Museo Pecci di Prato. Focalizzando le riflessioni sull’importanza o meno degli aspetti manageriali nella gestione museale.
Lo scontro tra Cristiana Perrella, direttrice del Museo Pecci, e il suo presidente Lorenzo Bini Smaghi, con l’esito che tutti oramai conosciamo, ha lasciato perplessi. Un fulmine a ciel sereno, soprattutto perché tutto si è svolto repentinamente all’indomani di un’operazione di rilancio internazionale del museo mercé l’alleanza strategica che ha messo in asse Prato e Firenze.
Anche Bini Smaghi non può che ammettere il successo della mostra di Francesco Vezzoli in Piazza Signoria e in Palazzo Vecchio. E tutto questo dopo un anno e mezzo di enorme sofferenza dei musei. In più va ricordato che la separazione “non consensuale” è accaduta in una “settimana di arte contemporanea” che ha portato alla ribalta il capoluogo toscano assieme al distretto del contemporaneo, decretando il definitivo superamento di una cultura sospettosa nei confronti dell’arte d’avanguardia.
PERRELLA E IL MUSEO PECCI
Conosco Perrella da tempo e dispiace quanto le è accaduto per almeno tre ragioni, oltre la stima personale immutata negli anni. La direttrice è il “risultato” di una formazione professionale iniziata proprio al Museo Pecci nel 1991. Quello stesso anno frequentava infatti il corso per curatori nella città laniera. La sua elezione alla direzione venne accolta all’inizio come una riprova della bontà di quella scuola di formazione. Secondo punto da non tralasciare è il fatto di aver portato una sensibilità femminile all’interno di una struttura e di una società ancora troppo paternalistica e tutta al maschile. Prova ne è adesso la giuria tutta al maschile che dovrà giudicare il successore. Terzo, dato da non sottovalutare, Cristiana ha virato la programmazione verso il territorio e la comunità, pensando di strutturare una nuova sensibilità estetica aperta alle più urgenti problematiche del presente con scelte artistiche che si posizionano alla larga da quelle dei grandi numeri e degli “artistar”. Non tralascerei poi il fatto che ha lasciato in eredità al museo un team curatoriale di grande spessore e capacità operativa.
“Un direttore di museo deve saper ottimizzare gli investimenti a beneficio della comunità locale, aumentare la visibilità e credibilità internazionale con una linea editoriale fluida ma singolare, lavorando alla sensibilizzazione estetica, colmando deficit di conoscenza, senza necessariamente ricorrere ai cosiddetti modelli blockbuster”.
Dispiace che il protagonista dello scontro sia Bini Smaghi, già presidente di indubbia esperienza manageriale a Strozzi, dove ha tessuto una rete di relazioni internazionali di cui tuttora si avvantaggia quella Fondazione. Tra la direttrice e il presidente forse poteva nascere un accordo strategico più virtuoso.
Ritengo che Bini Smaghi sia la persona giusta e necessaria al Pecci per uscire dalle secche dei suoi annosi problemi. Se non lui, mi domando, chi potrà fare da pontiere e traghettatore in questa situazione, mirando prestigiosi risultati? Tuttavia avrebbe potuto mettere a disposizione la sua esperienza per rafforzare il programma della ex direttrice, aumentando le risorse del museo e concertando alcune scelte senza necessariamente ricorrere a modelli commerciali che possono funzionare meglio in città di forte concentrazione turistica.
Bini Smaghi chiede altresì più managerialità ai curatori del museo, assegnando al direttore l’obbligo di intercettare risorse. Questa richiesta, fatta da chi ha un portafoglio di relazioni straordinario e una notevole autorevolezza in campo economico, lascia un po’ perplessi. Il presidente del Pecci sa bene che in molti casi gli investimenti più copiosi arrivano grazie alla moral suasion dei presidenti e della parte politica in carica.
MUSEI E MANAGERIALITÀ
Va poi capito cosa si intenda per managerialità. Per mio conto preferisco di gran lunga parlare di imprenditorialità ben più aderente alla complessa e articolata vita di un museo dove il manager dovrebbe essere a servizio del direttore e non viceversa. C’è poi da capire dove stia il punto di equilibrio tra obiettivi manageriali e visioni scientifiche o creative.
Detto questo, un direttore di museo deve saper ottimizzare gli investimenti a beneficio della comunità locale, aumentare la visibilità e credibilità internazionale con una linea editoriale fluida ma singolare, lavorando alla sensibilizzazione estetica, colmando deficit di conoscenza, senza necessariamente ricorrere ai cosiddetti modelli blockbuster.
Quindi, chiedere alla direzione artistica un percorso manageriale puro che tenga conto dei numeri, notoriamente senza anima, ha qualcosa di storto a mio avviso. Ciò non significa fare di un museo il trampolino di lancio della propria carriera con un programma autoreferenziale e fin troppo specialistico. Ma questo, francamente, non era l’obiettivo di Cristiana Perrella.
– Sergio Risaliti
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