Francesco Simeti – Terrestre
La mostra rappresenta la quarta personale dell’artista in galleria.
Comunicato stampa
La serie di collage cartacei Terrestre è stata costruita da Francesco Simeti assemblando riproduzioni fotografiche di cieli tratti da articoli del New York Times. Attingendo da ritagli tratti dalle pagine del quotidiano newyorchese raccolti e conservati per anni nei propri archivi, l’artista ribalta in questi lavori la modalità più consueta dei suoi wall paper precedenti, realizzati scontornando le sagome di soggetti fotografici ed escludendo sempre la presenza del cielo come un fuori campo irrilevante e marginale. In Terrestre prevale invece un’inversione linguistica, in cui i collage annullano un’immediata leggibilità narrativa per privilegiare lo spazio dei cieli e i segmenti minimi dei regesti urbani che ne affiorano, quali sommità di grattacieli, tralicci, frammenti architettonici e lampioni. Gli undici collage in mostra, ciascuno organizzato in verticale sacrificando per sempre i ritagli fotografici originali dell’artista, sono organizzati secondo una classificazione cromatica, come dei color fields variabili, dall’azzurro al viola, dal blu notte al rosso fuoco. Le porzioni dei cieli, prive di datazione, provengono dalle sezioni più disparate del New York Times, come International News, in cui le immagini sono parte di una connotazione politica, Travel and Leisure, dove predominano scenari più leggeri e mondani, o Real Estate, con articoli e pubblicità su condomini di lusso accompagnati da cieli tersi e radiosi. La sintassi visiva di Simeti trattiene lo schema a griglia di un quotidiano ma azzerandone ogni ancoraggio contestuale e affidando solo allo spettatore la possibilità di interrogare le foto per intuirne una possibile rivelazione.
Similmente Corpi è una doppia proiezione di ottanta diapositive, tutte variazioni fotografiche sul tema dell’acqua, in una varietà di cromie e increspature, anch’esse originate da dettagli di ritagli fotografici del New York Times. Tratte come i cieli di Terrestre da scenari molto diversi - dall’atmosfera di eterna vacanza dei Mar dei Caraibi, al dramma dei barconi di migranti nel Mediterraneo, sino alle devastazioni delle alluvioni nordamericane - le diapositive non tradiscono tuttavia alcun riferimento storico-geografico, restituendo in forma astratta e smaterializzata un elemento chiave nel ciclo della vita come l’acqua.
Terrestre è un’elegia espositiva minimale di arie e acque, elementi fondamentali per la generazione della vita e la sopravvivenza organica del pianeta - e come tali disputati sin dalla tradizione filosofica presocratica - ma crescentemente in riduzione per quantità e qualità. Se per gli economisti classici del XVIII secolo progenitori del liberismo contemporaneo, come Adam Smith e David Ricardo, l’acqua e l’aria non avevano un valore monetario perché ritenute di quantità illimitate, Simeti allestisce in mostra una riflessione inquieta sulla precarietà dei due elementi. Traspare nei suoi collage un senso di spleen, generato da un’osservazione solo indiretta di cieli e acque, mediata da fragili ritagli fotografici di giornali, immagine forse di uno sguardo collettivo divenuto troppo miope per cogliere la nitida urgenza di arrestare la dispersione e l’impoverimento della vita.
Nel corso delle sue esperienze di resistenza civile negli anni cinquanta in Sicilia, Danilo Dolci aveva scritto che il rapporto con beni primari come l’acqua debba escludere ogni forma di dominio, per favorire invece un adattamento creativo tra l’esigenza di mantenimento di quei beni stessi e il potere del fare umano. La dicotomia rimarcata da Dolci tra il potere come esperienza democratica del fare insieme e il dominio come abuso che dà ad alcuni possibilità che nega ad altri, è un tema che sembra offrire un’interpretazione possibile dei lavori in mostra di Simeti. Ostacola l’accesso a una parte della galleria un complesso scultoreo, Muro, costituito da elementi in pasta di vetro turchese, artefatti prodotti dall’artista ispirati alle composizioni materiali dei reperti di antiche civiltà. Da una forma prossima ad elementi architettonici classici, o aggregati biologici duri, come le conchiglie, questi elementi si avvicinano per foggia, linee e colore agli scudi e armamenti delle forze di polizia, evocando in Simeti l’apprensione vissuta in prima persona per l’apparizione nelle strade delle città statunitensi del movimento Blue Lives Matter, che ostentando il colore sociale delle divise delle forze dell’ordine rivendica un dominio politico di matrice bianca, violenta e militare. È l’insinuarsi sempre più ravvicinato di un’immagine indefinita ma allarmante, quasi un odradek kafkiano, chiosa finale di un percorso in cui l’artista si appella agli spettatori con la forza muta di materiali tutti terrestri, analogici e friabili, carta, terrecotte e ritagli di giornali.
Luigi Fassi