Il cinema italiano è in stato di grazia

Dopo tanti anni di pur riuscita commedia borghese, il rinascimento del nostro cinema avviene all’insegna del dramma e del fantastico. Non sono soltanto i registi da Oscar, è l’intero sistema che si dimostra finalmente maturo, giocando a memoria sui diversi campi del grande schermo, della tv e dello streaming. Nuovi linguaggi e il fattore tempo dietro l’ennesimo miracolo italiano

In un anno per l’Italia così pieno di successi sportivi, anche il nostro cinema può finalmente dirsi un’eccellenza mondiale. Forse ci manca ancora una medaglia d’oro internazionale (anche se a Venezia ci siamo arrivati vicinissimi con Leone d’argento e Premio della Giuria), ma la vera novità di questi due o tre anni è l’elevatissima qualità non di qualche titolo isolato, qualche piccola o grande bellezza, ma di un intero sistema di film e di artisti, di registi, produttori e attori, insomma di un’industria.
Fino a uno o due lustri fa sarebbe stato difficile immaginare un rinascimento cinematografico così vasto e organico; al di là del trio delle meraviglie Sorrentino-Garrone-Guadagnino, l’Italia sembrava intrappolata negli schemi di una commedia borghese eternamente uguale a se stessa, figlia, più che della stagione d’oro del secolo scorso, di un meccanismo inceppato di rappresentazione o meglio proiezione sociale. Beninteso, una commedia che poteva risultare godibilissima allo spettatore, in qualche caso esportabile e campione d’incassi, però espressione di una povertà di idee e soprattutto di coraggio narrativo. Fuori dall’attico, o dallo studio dello psicanalista, c’era un mondo inesplorato, appannaggio soltanto del cinema d’autore e delle opere prime. Il lato positivo sotto traccia è che se questa divisione da un lato ha costituito una debolezza commerciale, dall’altro ha rappresentato la palestra di una nuova generazione di cineasti.

Leonardo Di Costanzo, Ariaferma (2021)

Leonardo Di Costanzo, Ariaferma (2021)

NUOVI FILM DA VEDERE

Anche il cinema, infatti, è questione di cicli. Il nuovo ciclo del cinema italiano avviene fuori dal confortevole genere della commedia, e affianca le nuove leve, gli autori meno mainstream ai mostri già consacrati, allargando la rosa di una squadra vincente. Questa volta, accanto al Sorrentino de È stata la mano di Dio, ci sono Leonardo di Costanzo con Ariaferma ‒ magnifica rappresentazione dell’umanità davanti e dietro le sbarre di un carcere ‒ e Gabriele Mainetti di Freaks out – racconto dei racconti che ricorda il miglior Spielberg. Come attori, accanto all’ormai ubiquo Toni Servillo, sempre più a suo agio anche in ruoli asciutti, e Silvio Orlando, protagonista pure de Il bambino nascosto di Roberto Andò, la giovanissima Aurora Giovinazzo, elettrica super-eroina, e Filippo Scotti, alter-ego adolescente di un divin regista: tra conferme e new entry, lo stato di grazia è merito anche di sceneggiature che si attagliano agli interpreti a mo’ di perfetti abiti su misura.

Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio (2021)

Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio (2021)

IL RUOLO DI AMAZON E NETFLIX

Due o tre anni, di cui uno purtroppo perso per il Covid, sono in fondo ancora pochi per parlare di un miracolo del cinema italiano, si potrebbe obiettare. Eppure bisogna davvero non frequentare sale e piattaforme da assai più tempo per non respirare il vento pulito e fresco di una produzione cinematografica e televisiva – i due settori sono sempre più interconnessi – pienamente contemporanea tanto nell’estetica quanto nelle storie raccontate. Netflix, Amazon, i giganti dello streaming hanno cambiato molte regole del gioco, costringendo l’industria italiana a parlare linguaggi meno compiaciuti e più immediati, a uscire dalle zone di comfort della commedia del Duemila e dello sceneggiato melò, per (ri)esplorare in chiave innovativa vecchie glorie come ad esempio il noir. E a beneficiarne forse in proporzione maggiore è stata proprio la spesso snobbata tv generalista, in particolare la fiction Rai, la cui qualità media negli ultimi anni è visibilmente migliorata anche grazie alle co-produzioni ma soprattutto alla nuova cultura cine-letteraria e a uno scenario competitivo a dir poco stimolante.

Roberto Andò, Il bambino nascosto (2021)

Roberto Andò, Il bambino nascosto (2021)

INDUSTRIA, ECONOMIA E PERSONE

Vi è certamente anche un aspetto economico, per nulla secondario, che consiste nella capacità delle case di produzione di creare tra loro sinergie (internazionali) e di aprire i cassetti delle risorse con più “incoscienza” rispetto a una decina d’anni fa. Freaks out, prodotto da Lucky Red di Andrea Occhipinti, è solo la dimostrazione più eclatante che i migliori effetti visivi e speciali non sono di casa soltanto a Hollywood, basta volerli (e spendere bene).
Le questioni industriali raccontano una parte importante del cambiamento in atto; l’altra parte sono le persone. Quella generazione di sceneggiatori, registi, attori, montatori, compositori, tutti coloro che cinque o dieci anni fa si dedicavano a film spesso etichettati come d’essai (distinzione che ha sempre meno ragione di esistere nell’attuale ecosistema fluido) oggi sono cresciuti e hanno iniettato nel circuito competenze (digitali) e visioni nuove, pienamente al passo con la società; altri invece, ancora ragazzi, esordiscono come figli o allievi dei Servillo e degli Orlando, simbolica investitura di chi ben promette. Sempre più attori e attrici fanno la spola tra serialità televisiva, cinema tradizionale, piattaforme online senza soluzione di continuità, arricchendo il bagaglio sia delle esperienze che dei follower nell’epoca di Instagram. Gli stessi protagonisti della commedia borghese degli Anni Dieci sono diventati in alcuni casi brillanti interpreti drammatici, o registi, superando quella che poteva essere una sindrome di Peter Pan anche fuori da un film di Muccino.

BUONE PROSPETTIVE PER IL CINEMA ITALIANO

Insomma, uno o due lustri fa non si poteva immaginare, ma oggi si può dire che anche l’Italia ha una città dei sogni, che si trovi a Cinecittà o a Napoli – davvero un boom di set il suo ‒ poco importa. Il nostro cinema sembra proprio aver raggiunto una maturità espressiva e una consapevolezza dei propri mezzi che lo pongono ai vertici del panorama sicuramente europeo, forse anche mondiale. Non si tratta di una gara tra capolavori, Paesi come gli Stati Uniti sono “too big to fail” anche sullo schermo, tuttavia la coesione e la capacità di fare sistema italiane degli ultimi due o tre anni sono invidiabili anche all’estero. E chissà che nel 2022 (per quest’anno è tardi) non riusciamo a portare a casa l’ennesima coppa, o statuetta, da affiancare ai successi sportivi di un periodo di eccezionale orgoglio italiano.

Marco D’Egidio

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Marco D'Egidio

Marco D'Egidio

Ingegnere civile con la passione dell'arte e del cinema, scrive recensioni per Artribune da quando la rivista è stata fondata. Nel frattempo, ha recensito anche per Giudizio Universale e pubblicato qualche editoriale sul sito T-Mag. Sempre a tempo perso, tiene…

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