A Catania la mostra di Michael Christopher Brown, il fotoreporter con l’iPhone
Le Ciminiere di Catania ospitano la prima retrospettiva europea di Michael Christopher Brown, fotografo dell’agenzia Magnum diventato celebre grazie a reportage di guerra realizzati con uno smartphone
Nella più celebre agenzia fotogiornalistica del mondo hai solo due possibilità per presentare il tuo portfolio. Michael Christopher Brown (Skagit Valley, 1978) ci prova una prima volta nel 2013 e viene bocciato da tutti i componenti della commissione esaminatrice. Tutti tranne uno. Ma quell’uno alla Magnum Photos basta a darti la seconda chance e Brown ci riprova nel 2015.
Entra così nel novero dei super professionisti del reportage internazionale, ma non è questo quello che più conta: perché è il modo in cui lavora a provocare un importante cambiamento nel comparto del fotogiornalismo mondiale. Era accaduto che durante la rivoluzione in Libia la sua macchina fotografica si fosse rotta, ma lui avesse deciso di continuare a scattare utilizzando l’iPhone, strumento che nessun fotoreporter professionista avrebbe mai pensato di impiegare per immortalare un conflitto.
LE FOTOGRAFIE DI BROWN
Armato del solo iPhone, Brown entra in luoghi a cui altri non riescono ad accedere, fotografa persino il viso di Gheddafi pestato a morte. I suoi scatti diverranno uno dei primi reportage pubblicati su testate internazionali realizzato interamente con smartphone. L’iPhone lo usa anche quando su una barella viene trasportato d’urgenza, lui “fortunato” rispetto a due suoi compagni di avventura ammazzati dai tanti armigeri in conflitto.
Da quel momento la fotocamera del telefonino diviene il suo strumento d’elezione. Anche per i reportage eseguiti a Cuba durante i funerali di Fidel Castro, in Congo, in Afghanistan, in Messico, nelle metropolitane di Pechino o nella remota isola russa di Sakhalin: queste foto hanno poi raggiunto le copertine del New York Times Review, di National Geographic, Fortune.
LA MOSTRA DI BROWN A CATANIA
Tutto questo è documentato nella prima retrospettiva europea prodotta da Fondazione OELLE a Le Ciminiere di Catania. Oltre duecento fotografie e un filmato ripercorrono i racconti visivi di Brown e gli aspetti tecnici legati al mezzo di ripresa.
Nelle note introduttive alla mostra il curatore Ezio Costanzo specifica: “Scatti espliciti, brutali, inclementi… Brown racconta l’attualità di un mondo cruento, ma anche la speranza che la narrazione di un mondo migliore possa ancora essere scritta”. Impossibile dargli torto. Impossibile pure non soffermarsi sulla poesia di alcune delle immagini presenti sugli ampi pannelli soprannominati con i luoghi in cui queste immagini sono state scattate.
Quello dedicato alla Palestina in eterna guerra, o all’America dei diseredati, o appunto alla Libia, dove sul telo di una barella vuota è “dipinta” con il sangue la sagoma di un combattente: una scioccante sindone contemporanea.
DON MCCULLIN E BROWN A CONFRONTO
Mi permetto un ricordo. Ho avuto l’immeritata fortuna di incontrare a metà degli Anni Novanta Don McCullin, unanimemente considerato nel secolo scorso l’erede di Robert Capa. Le immagini da lui scattate in Vietnam durante la battaglia di Hue o in Biafra nel 1968 restano un indelebile documento storico. McCullin era nato in un quartiere periferico di Londra e nella sua autobiografia sintomaticamente intitolata Un comportamento irragionevole confessava di essere stato da sempre un predestinato: a diventare un delinquente comune (il fratello si arruolò nella legione straniera dove rimase per 23 anni). Un potenziale delinquente per puro caso arrivato al fotoreportage di guerra che lo renderà celebre.
Quando l’ho incontrato io, McCullin aveva già “deposto le armi”. Con mia sorpresa mi mostrò dei magnifici stili life stampati in bianco e nero in grande formato: erano composti da elementi raccolti casualmente nei boschi, e formavano sempre e comunque degli altari: era forse un modo per esorcizzare la morte che aveva tanto frequentato.
Brown è figlio di un fisico, non proviene da una famiglia disagiata, ha l’aria del giovanotto ben educato, ma pure a lui l’istinto del “cane da guerra” certo non manca: evidentemente l’attrazione per il campo di battaglia e la vena poetica possono convivere in un unico individuo senza alcuna frizione.
‒ Aldo Premoli
https://michaelchristopherbrown.com/
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