Bob Wilson a Napoli. Per aprire un festival di successo
Primo highlight del Napoli Teatro Festival, “The Makropulos Case” di Robert Wilson ha ottenuto un successo non inaspettato. Ed è lo specchio di una rassegna che riesce a interessare un ampio pubblico. Da giugno a settembre.
Biglietti esauriti con grande anticipo, code ai botteghini, repliche aggiunte in cartellone e subito stravendute. Tutto questo accade al Napoli Teatro Festival, giunto alla quinta edizione, e viene da riflettere sui motivi di tale successo. Sarà sicuramente perché si tratta di un teatro inteso non in maniera rigida e rigorosa, un teatro privo di confini definiti, che si mescola e si fonde con la danza, la musica, la pittura e la scultura; sarà per il coinvolgimento di tanti artisti e compagnie straniere, sarà per una programmazione ricca di eventi. Ma probabilmente la sua fortuna è legata al fatto che, a differenza dei tanti altri festival di teatro che invadono la nostra penisola, questo è un evento che si fonde in maniera indissolubile e indistinta con la città che lo ospita, di cui rivela pregi e contraddizioni.
Fra i primi spettacoli in programma, spicca The Makropulos Case ideato e diretto da Robert Wilson, tratto da una commedia boema. L’azione scenica è ridotta all’osso, gli attori sono come marionette che si muovono su musiche da carillon, e i loro volti e le loro pose da burattini fortemente ricordano gli intensi videoritratti di Wilson che pochi anni fa animavano le navate della Chiesa di Donna Regina Vecchia, ora non più destinata alle mostre del Madre e, chissà per quanto tempo, non più visitabile.
Ma la musica e i volteggi riprendono, e il pensiero triste scompare. E si è colpiti sensibilmente dalla scenografia, che nella sua nuda essenzialità, sorprende per i suoi effetti inaspettati e per le avanzate scelte tecnologiche: tra mensole di carta che come fisarmoniche leggere si alzano in vari punti, e personaggi che emergono dal fondo o scompaiono come risucchiati, il genio di Wilson prende forma e rende più tollerabili anche le asprezze della lingua ceca.
È uno spettacolo che incanta per semplicità, per il cast di attori talentuosi, per il disvelamento della trama per rarefazione di un portato emotivo delicato e potente. Tutta la vicenda ruota attorno a un segreto documento in cui è racchiusa la ricetta dell’elisir della longevità, che permetterebbe di vivere per 300 anni. È questa la pozione che ha bevuto Emily Marty, cantante di eccelso talento e di algida e misteriosa bellezza, di cui tutti gli uomini in scena s’innamorano perdutamente. È lei che vorrebbe impossessarsi del documento e bere di nuovo la pozione, non per il desiderio di vivere ancora (la sua anima, lo dichiara lei stessa, “è morta da tempo”), ma unicamente perché terrorizzata dall’idea della morte. È la domanda che si ripete più volte sulla scena: “Gli uomini sarebbero più felici se vivessero più a lungo?”.
È un dilemma che rimane nelle orecchie e nella mente, anche dopo l’intervento della giovane cantante Cristina, inesperta e fragile, ma determinata e coraggiosa nel prendere in mano la situazione e segnare la svolta della vicenda. Si abbandona con questo interrogativo la sontuosità del teatro Mercadante, ma fuori c’è Napoli, e il dilemma sembra sciogliersi.
Isabella Santangelo
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