La Fondazione Merz di Torino sbarca con una mostra allo ZAC di Palermo
Fondazione Merz inaugura la sua prima mostra – a cura di Beatrice Merz e Agata Polizzi – nello spazio dedicato all’arte contemporanea dei Cantieri Culturali alla Zisa. Con una esposizione che ripercorre artisti, opere e temi della propria storia
Trae ispirazione dal titolo di una raccolta di poesie di Jorge Luis Borges L’altro, lo stesso, la mostra in corso a Palermo negli spazi dello ZAC – Zisa Arti Contemporanee, ex hangar industriale ai Cantieri Culturali alla Zisa oggi diventato “casa” della Fondazione Merz. Un’esposizione che racchiude l’essenza dell’istituzione torinese, da anni attiva in territorio siciliano e per i prossimi tre impegnata nel progetto ZACentrale, nell’ambito del quale Fondazione Merz curerà e organizzerà mostre ed eventi culturali. L’altro, lo stesso inaugura quindi la nuova avventura di Fondazione Merz a Palermo e apre il nuovo corso dello ZAC, rimasto orfano, dopo il ruggente 2018 di Capitale della Cultura e Manifesta e dopo il blackout imposto dalla pandemia, di progetti di artisti di spessore e di richiamo internazionale.
LE OPERE DI MARIO MERZ A PALERMO
Fondazione Merz propone così, come primo progetto espositivo di ZACentrale, una mostra di artisti e opere rappresentativi della Fondazione stessa, una sorta di biglietto da visita in cui sono dichiarati temi, visione e intenti che andranno a plasmare e dare forma al programma dei prossimi tre anni. L’esistenza, il passato e il futuro, la ciclicità della natura, l’ambiente, il rapporto tra esseri umani e il mondo in cui essi vivono sono i pilastri concettuali di L’altro, lo stesso, trovando una fisiologica trasposizione in mostra in due grandi lavori di Mario Merz, Doppia Spirale (1990) e Pietra serena sedimentata depositata e schiacciata dal proprio peso, così che tutto quello che è in basso va in alto e tutto quello che è in alto va in basso, soprelevazione e opera incerta di pietra serena (2003). Quest’ultima installazione, in particolare, occupa la parte centrale dello ZAC, spazio non semplicissimo da gestire – il rischio di cadere nell’horror vacui o nel suo contrario è dietro l’angolo –, eppure in questo caso a governare la fruizione sono le sensazioni tra loro contrastanti di pienezza e leggerezza: Pietra serena ispira e disegna movimenti sinuosi, richiama alla natura, all’alchimia (“è vero senza menzogna, certo e verissimo, che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare il miracolo della cosa unica”, si legge sulla Tabula Smaragdina attribuita a Ermete Trismegisto), alla logica purezza insita nelle dinamiche della natura e del cosmo. Doppia Spirale è la quintessenza di questo sentire, tavolo in vetro su cui poggia un’altra opera di Mario Merz, l’installazione al neon Se la forma scompare la sua radice è eterna (1982).
LE OPERE DI MARISA MERZ ALLO ZAC DI PALERMO
Doppia Spirale è inoltre abitata, sulla sua superficie, da piccole sculture che sembrano richiamare una dimensione più intima, o forse altra, presenze che ritornano per tutto lo spazio e che, nonostante le loro dimensioni, non sembrano temerlo. Le sculture, così come i piccoli disegni collocati su parete dando vita a una sorta di quadreria, sono di Marisa Merz, la maggior parte di loro inediti e probabilmente i lavori più potenti della mostra: nel loro naturale voto al silenzio, nella grazia e nella gentilezza della loro aura, queste opere quasi da Wunderkammer non si disperdono all’interno dello ZAC, anzi lo impreziosiscono, come se detenessero il segreto o la formula magica che governa e determina le dinamiche dell’esposizione.
FONDAZIONE MERZ-ZAC: GLI ARTISTI IN MOSTRA A PALERMO
Di fronte ai ritratti di Marisa Merz, è un’altra quadreria, questa volta di fotografie che raffigurano donne, uomini e bambini afghani: è Time, Love and Workings of Anti-Love, potente lavoro dell’artista afghana Lida Abdul che racconta la tragedia del suo popolo. L’essere umano è così al centro, della Natura o della Storia, e il racconto di questo rapporto è declinato nei lavori degli altri artisti in mostra, Rosa Barba, Emily Jacir, Joan Jonas, Silvia Maglioni e Gramae Thomson, Lawrence Weiner (a cui si aggiungono video storici di Gino De Dominicis e Gilbert&George). All’esterno dello ZAC, c’è l’installazione al neon di Alfredo Jaar che cita una frase di Antonio Gramsci, “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”: una considerazione, una consapevolezza, un monito che ancora oggi nessuno può ignorare.
– Desirée Maida
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