Obbedienza e terrore nel nuovo spettacolo teatrale di Romeo Castellucci
Alla Triennale di Milano la prima italiana del nuovo spettacolo di Romeo Castellucci, nei prossimi mesi in tournée in Italia. Una problematica riflessione sull’insano bisogno di annullarsi in una volenterosa massa plasmata dall’ennesimo, sinistro, “uomo forte”
Non c’è nulla di umanamente fraterno nei “bros” in nera uniforme da poliziotti statunitensi che si muovono e agiscono compatti sul palcoscenico della Triennale di Milano – coproduttore dello spettacolo insieme a Emilia Romagna Teatro e a varie istituzioni estere –, avvolto nell’oscurità e nella foschia. Una trentina di uomini, che l’uniforme, i baffi e il cappello rendono indistinti e intercambiabili: un plotone coeso formato da performer ingaggiati fra “uomini dalla strada” non per interpretare una parte, bensì per eseguire i comandi impartiti da Castellucci stesso. Realtà di cui gli spettatori sono pienamente consapevoli: all’ingresso in sala, infatti, ci viene dato l’Indice comportamentale consegnato a ignari partecipanti, in cui si legge, fra l’altro, “sono disposto a credere di essere un vero poliziotto”, oppure “eseguirò tutti gli ordini anche se non li capisco, anche se non capisco questa frase”; per finire con “l’esecuzione degli ordini sarà la mia oblazione, sarà il mio teatro”.
BROS. LO SPETTACOLO DI ROMEO CASTELLUCCI
Alla milizia di poliziotti si oppone una figura di vecchio, interpretato dall’attore romeno Valer Dellakeza che, con capelli e lunga barba bianchi, una tunica anch’essa candida, compare in scena pronunciando nella sua lingua madre, che nell’atemporale universo creato dal regista risuona arcana e sconosciuta, versetti tratti dal libro di Geremia, per essere in seguito violentemente vessato. Destino condiviso con gli altri due attori professionisti in scena ‒ Luca Nava e Sergio Scarlatella ‒, che prestano i propri corpi a incarnare quegli agenti, isolate mosche bianche, che paiono sottrarsi all’uniformazione e, dunque, denudati e torturati, con aspersione di liquido rosso sangue e bianchi sudari. Gli argini alla deriva totalitaria e omologatrice sono eloquenti eppure fragili: un babbuino pensoso, Samuel Beckett, un dolce viso di donna compaiono su grandi cartelloni rettangolari a tratti portati in scena e immediatamente tramutati in antitetici correlativi oggettivi della violenza in atto. Ci sono, ancora, a suggerire la deriva autoritaria e a commentarla sinteticamente e in maniera solo apparentemente ermetica, i “motti” coniati da Claudia Castellucci e tradotti da Stefano Bartolini in latino – lingua morta e dunque portatrice di esiziale ufficialità. E, nell’agghiacciante finale, prima l’adorazione del nuovo “profeta” ‒ una perturbante figura, un pupazzo vestito di bianco issato su un’asta – poi la comparsa del suo piccolo erede designato, un bambino rivestito con quella tunica nivea che più non simboleggia purezza, anzi, e sulla quale campeggia sinistramente comico il distintivo da poliziotto…
DOMINIO E TERRORE SECONDO CASTELLUCCI
Uomini, immagini, parole, suoni – la musica, invasiva e potente, conturbante e allucinatoria è come sempre di Scott Gibbons – concorrono a edificare un universo claustrofobico e terrorizzante: un brivido pervade il pubblico allorché i “poliziotti” scendono in platea schierandosi ai lati della sala mentre due cani lupo abbaiano rabbiosamente. Un’inquietante scomodità che, nondimeno, non rimane a livello dell’epidermide ma scava nell’interiorità di ciascuno. Romeo Castellucci sviluppa e approfondisce con incisiva, vigorosa e tuttavia concreta visionarietà quel discorso su dominio e parola, annullamento consapevole della volontà e abdicazione alle responsabilità personali introdotto con il suo precedente spettacolo (ancora in tournée) Terzo Reich. Se lì il focus era incentrato sul linguaggio e sulla sua spesso sottovalutata capacità di sgretolare, goccia dopo goccia, lemma dopo lemma, l’individuale autonomia di pensiero e di scelta, qui la lucida e mai accondiscendente riflessione del regista si sofferma sulla troppo spensierata facilità con la quale si acconsente a “obbedire”, divenendo volenterosi e volontariamente inconsapevoli carnefici. Fratelli, non di sangue, bensì macchiati di sangue. Romeo Castellucci, con Bros, offre una nuova prova del suo ineguagliabile talento artistico combinato a uno sguardo non indulgente sulla realtà.
‒ Laura Bevione
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