La linea retta non appartiene a Dio

Informazioni Evento

Luogo
CONTEMPORARY CLUSTER
Via Odoardo Beccari, 8, Roma, RM, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Contemporary Cluster è aperto dal martedì al sabato, dalle 11.00 alle 21.00.

Vernissage
26/11/2021

ore 18

Curatori
Giacomo Guidi
Generi
arte contemporanea, collettiva

Nell’anno delle celebrazioni per i settecento anni dalla morte di Dante, Contemporary Cluster [Collective Intelligence] celebra il sommo poeta con una mostra dedicata e ispirata alla Divina Commedia, immensa opera cardine della lingua e cultura italiana.

Comunicato stampa

La linea retta non appartiene a Dio
con Alessandro Giannì, Luca Grechi e Bianca Millan, a cura di Giacomo Guidi

Nell'anno delle celebrazioni per i settecento anni dalla morte di Dante, Contemporary Cluster [Collective Intelligence] celebra il sommo poeta con una mostra dedicata e ispirata alla Divina Commedia, immensa opera cardine della lingua e cultura italiana.

La linea retta non appartiene a Dio è un progetto espositivo a cura di Giacomo Guidi pensato per le sale della galleria al primo piano di palazzo Brancaccio. Le sale espositive dell'Africano accoglieranno opere e installazioni di tre giovani artisti contemporanei, Alessandro Giannì, Bianca Millan e Luca Grechi, chiamati a interpretare ciascuno una cantica della Commedia. Inferno, Purgatorio e Paradiso rivivranno in chiave ultra contemporanea negli spazi di Contemporary Cluster, promettendo un percorso multisensoriale e una rilettura attuale della più grande opera mai scritta al mondo.

La mostra nasce con l’intenzione di celebrare l’immenso poeta partendo da una visione trasversale e dinamica della spiritualità, decostruita e spogliata dei suoi dogmi iconografici, reinterpretando il pensiero di grandi figure come Antoni Gaudí e Friedensreich Hundertwasser che condividevano una visione architettonica che teorizzava la linea retta come prerogativa degli uomini, mentre quella curva rappresentava la linea perfetta di Dio. Un’architettura dello spirito che spinge l’uomo al movimento, a ricercare nella circolarità una possibile vicinanza alla figura divina, anche se ciò comporta perdere l’equilibrio.

«Oggi viviamo in un caos di linee rette, in una giungla di linee rette. Se non ci credete, prendetevi la briga di contare le linee rette che vi circondano, non finirete mai di contare. Questa giungla di linee rette, che ci sta coinvolgendo sempre più come detenuti in una prigione, deve essere sgomberata. Fino ad ora, l'uomo ha sempre spazzato via le giungle in cui si trovava e si è liberato. Ma per liberare una giungla bisogna prima rendersi conto che di essere uno, perché questa giungla ha preso forma furtivamente, inosservata dall'umanità. E questa volta è una giungla di linee rette». Friedensreich Hundertwasser, Manifesto per il boicottaggio dell'architettura (1968).

L’elogio della curva prende vita e si manifesta nella vita spasmodica e dannata dell’uomo, sempre più orientato allo slancio vitale che solo l’incertezza contraria a un percorso lineare può garantire, distratto dall’ambizione che lo porta a smarrire la dritta via. La rettitudine, nelle parole dantesche, simbolo di un bene superiore, sfugge all’uomo, al suo tempo e al suo spazio, scivola, devia e confonde.

È solo nella cura e nella dedizione nei confronti di un’idea di non staticità che l'uomo può sperare di incontrare Dio, è lì che si forma il desiderio della sua visione. La linea retta conduce alla perdita dell’umanità, allontana l’essere umano da ogni bene, in un percorso fatto di disordine ciclico, di lontananze e del perpetuarsi di perdita di equilibrio. Solo tramite l’allontanarsi il più possibile dall'immagine divina, nel vivere la distanza fisica e avvertire quella sentimentale, quasi carnale, nel perdersi durante questa continua ricerca, il sottrarsi alla linearità, come in una spirale dantesca, l’uomo desidererà ambire a qualcosa di superiore, attraversando il caos di linee rette, in una giungla di immorali linee rette.

Il percorso espositivo parte dalla grande sala centrale con le opere di Alessandro Giannì a introdurci nell’Inferno riletto in chiave contemporanea, tradotto in insidie odierne. Nel suo lavoro, l’artista, raccoglie frammenti estetici dal web con l'intento di dare loro nuova vita, ne risultano opere dove la pratica analogica della pittura si fonde con l'uso dei nuovi media, con internet e la cultura digitale, indagando le connessioni tra l'universo digitale, gli universi paralleli, e il mondo onirico e introspettivo degli esseri umani.

Il Purgatorio si manifesta attraverso le opere di Luca Grechi, dove il tempo sospeso tipico dell’atmosfera dantesca si traduce in equilibri e pensieri che si depositano sulla tela restituendo a chi guarda la sensazione di vivere una pausa senza tempo che non definisce ma presenta un’attesa. Infinite possibilità si manifestano nella pittura dell’artista, in relazione al loro stesso divenire, caratterizzate da quel silenzio e rumore in contrasto continuo, nella costante ricerca di una convivenza salvifica.

Infine, la beatitudine del Paradiso rappresentata da Bianca Millan, artista e producer che concentra il suo lavoro su paesaggi digitali ed interiori, lavorando sulle tracce umane ed il loro significato, sulla memoria nell'era digitale e l'intima relazione quotidiana tra gli individui e le piattaforme universali, ispirata dalla dimensione globale e frenetica dei suoi spostamenti e dallo studio del movimento umano. Il percorso nelle sale della galleria si rivela agli occhi del visitatore parallelamente al pellegrinaggio di Dante, donando la possibilità di costruire ogni percorso in modo differente e di ogni percorso perderne la traccia. Il visitatore ha la possibilità di divenire confine di se stesso, movimento sinuoso e curvo, tracciando la propria linea personale, nella geometria concentrica del destino umano.

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova.
Paradiso, canto XXXIII , vv. 135, 138