Quattro Fuochi
In questa mostra viene presentato il lavoro di quattro autori legati generazionalmente dalla reciproca conoscenza e dal medesimo clima.
Comunicato stampa
In questa mostra viene presentato il lavoro di quattro autori legati generazionalmente dalla reciproca conoscenza e dal medesimo clima, due di loro, Raffaello Ferrazzi e Bruno Zanichelli, precocemente scomparsi a meno di trent’anni, mentre Pierluigi Pusole e Maurizio Vetrugno sono tuttora attivi e si sono dimostrati in grado di rinnovare il loro lavoro alla luce dei tempi in rapido divenire.
Il tutto ospitato negli spazi espositivi di due galleristi colti e sensibili, testimoni diretti di quella fase, come Elena Pron e Paolo Tonin, con una successiva importante appendice internazionale presso la parigina Galerie Italienne.
La mostra si configura come un esemplare spaccato di una stagione artistica, quella degli anni Ottanta a Torino, densa di creatività ed originalità, ma in parte da inquadrare storicamente e criticamente.
Un lavoro figlio della svolta post ideologica degli anni Ottanta e dell’esaurirsi della carica propulsiva dell’avanguardia novecentesca, di cui si conserva ben salda la memoria, ma la si aggiorna in sintonia con una dimensione sociale dove ritorna in auge l’individualismo, e dove la tecnologia e l’immagine diventano elementi sempre più invasivi.
Questi autori rinnovano il linguaggio della pittura non più ricorrendo alla lezione novecentesca, ma contaminandolo con ambiti quali il fumetto, la pubblicità, la moda.
Il titolo “Quattro Fuochi” si ispira alla carica di energia e di novità espressiva che gli artisti seppero dimostrare al loro esordio, e che mantennero anche in seguito : Pusole e Vetrugno tramite una incessante ricerca, Ferrazzi e Zanichelli con l’esemplarità di un progetto visivo sempre attuale, da studiare e rivalutare.
Si potranno ammirare, per quanto riguarda Ferrazzi e Zanichelli, selezionati lavori ovviamente degli anni Ottanta, mentre Pusole e Vetrugno proporranno lavori storici affiancati da produzione recente.
Raffaello Ferrazzi è stato uno dei migliori talenti della giovane arte torinese ed italiana degli anni ’80, precocemente scomparso a soli 29 anni. La generazione del ’77, quella di cui anche Ferrazzi faceva parte, si sottrae dal peso di ideologie ormai chiuse e vincolanti cercando con forza di non rinnegare il meglio delle esperienze passate, riportando la vena creativa ed anarcoide delle rivolte giovanili in un contesto nuovo, fatto sempre di solidarietà, ma ancor più di valorizzazione del proprio individualismo. Musica, cinema, video, fumetto, performance, fotografia, pittura ed installazioni si fondono in una multidisciplinarietà fatta di un reciproco interscambio dove vengono travolti vincoli e barriere. Le opere esposte sono significative dell’iconografia di Ferrazzi, con l’andare degli anni fattasi sempre più matura e raffinata. L’artista sintetizza i principali aspetti della fenomenologia artistica degli anni Ottanta, ad oggi estremamente attuale d’arte, l’intelligente citazione rivolta verso le forme al tempo stesso immanenti e metafisiche della migliore tradizione del Novecento. Nei lavori trapela, anche se in maniera meno evidente rispetto al quasi coetaneo torinese Bruno Zanichelli, l’attenzione alla composizione sequenziale tipica del fumetto. Di rilievo la serie ultima di opere, prodotte in un lungo soggiorno newyorchese, dove le tonalità si fanno più umbratili e la composizione sfocia verso un intenso espressionismo metropolitano.
Pierluigi Pusole ha iniziato ad esporre nel 1985 è si è imposto sin dall’inizio come una delle voci più originali e mature della nuova pittura italiana, sempre impegnata in un confronto dialettico con i nuovi mezzi di produzione di immagini. Nella prima parte della sua attività la pittura da lui prodotta dal punto di vista del contenuto esprimeva la volontà di cogliere i fermenti della realtà giovanile. In quella fase Pusole, insieme a Raffaello Ferrazzi e Bruno Zanichelli, rappresentava la punta più avanzata di un panorama artistico torinese che intendeva prendere le distanze sia dalle ricerche concettuali che dalla Transavanguardia. Pusole opera una scelta netta e mai rinnegata a favore della pittura, riappropriandosi di un mezzo linguistico caratterizzato dagli elementi sintattici del colore, della luce e del segno, e lo declina con coscienza e coerenza in immagini ripetute eppure sempre nuove e diverse. Pur iniziando la sua attività in un periodo storico in cui nuove tecniche si espandevano sulla scena artistica, come fotografia, video, televisione, internet, Pusole non si è lasciato distrarre dai nuovi supporti tecnologici. La sua ricerca in quegli anni muove dall’analisi della realtà mediale per indagare l’interferenza nella vita sociale e nella sfera percettiva della trasmissione di immagini e di informazioni televisive, come nei celebri cicli “Rai 4” e “Televisori”. Se la realtà filtrata dallo schermo, nel fermo immagine televisivo, è una dimensione ormai artificiale, finta, costruita, la pittura di Pusole utilizza colori acidi per rappresentare la luce zenitale e le onde magnetiche, per inventare una nuova realtà, un diverso paesaggio, una differente dimensione naturale.
Maurizio Vetrugno è stato sin dai suoi esordi nei primi anni ’80 con la corrente bolognese degli “Enfatisti”, teorizzata ed organizzata dalla tragicamente e precocemente scomparsa critica bolognese Francesca Alinovi, a cui si deve la conoscenza, in Italia, del fenomeno del Graffitismo americano, uno dei protagonisti di una giovane arte italiana vogliosa di protendersi verso un passionale abbraccio con lo scenario metropolitano, dando vita ad un inquieto nomadismo che fece della multidisciplinarietà e dello scambio di esperienze la sua ragion d’essere. Tra le altre cose, proprio insieme alla Alinovi ed a Gino Gianuizzi Vetrugno fonderà, a Bologna, la storica galleria di ricerca Neon. Vetrugno è stato fatalmente attratto, come altri della sua generazione, dal mito della cultura pop, specie quella di matrice americana, con il corollario dell’immaginario dei divi del cinema, della moda e del glamour e, soprattutto della musica rock e new wave. Una generazione vogliosa di immagini e di sensazioni, desiderosa di liberarsi dall’eccessivo rigore della stagione concettuale e dalla cappa soffocante dell’ ideologia, esorcizzate dando libero sfogo alle proprie pulsioni narcisiste. Nelle opere del primo periodo Vetrugno si concentra in particolare sulla pittura, creando tele dove viene esaltata la valenza degli stereotipi della cultura popolare. Nella seconda parte della carriera, memore anche della lezione di alcuni dei più raffinati interpreti del concettualismo italiano come Aldo Mondino e, soprattutto, Alighiero Boetti, con la tecnica del ricamo fatto a mano.
Bruno Zanichelli è stato negli anni Ottanta, ma con una forza ed un impatto visivo dell’immagine attualissimo ancora ai giorni nostri, una delle figure di maggior spicco della pratica artistica consistente nell’azzerare, all’apparenza, ogni differenza tra elementi culturali “alti”, la tradizione pittorica dell’avanguardia in primo luogo, e “bassi”, dal fumetto, all’illustrazione, alla pubblicità. Dopo un esordio caratterizzato da un’attività multidisciplinare frenetica, pittoricamente ancora incapace di sfuggire ad un retaggio fumettistico fin troppo evidente, in particolare nei confronti di un maestro come Andrea Pazienza, a partire dal 1986 Zanichelli dà corpo ad una svolta stilistica repentina, caratterizzata da una sopraggiunta e sorprendente maturità. Nulla è rinnegato dell’impostazione precedente, ma le immagini assumono un rilievo a tutto tondo ; la vivacità coloristica, la capacità di cogliere il dettaglio, si mutano d’incanto in una dimensione poetica. Come se le immagini della comunicazione di massa si calassero su scenari senza tempo, pregni di un’atmosfera magica. Non la semplice de-contestualizzazione tipica dei procedimenti pop ma qualcosa di diverso, il senso profondo del retaggio culturale, del disagio, delle aspirazioni di una generazione che coglieva nel futuro speranza ma anche una sottile inquietudine. L’artista, conscio di una fine prematura causa una malattia incurabile, negli ultimi della sua vita si dedica febbrilmente all’attività produttiva, come a volere lasciare una traccia di sé il più significativa possibile. Illuminanti le sue parole : “ Conscio, o comunque sospettoso del fatto di non avere sessant’anni di carriera innanzi dovuti al castigo del mio male, decido di comprimere questi anni ipotetici di lavoro nel minor tempo a disposizione…”.
Edoardo Di Mauro, novembre 2021