Mauro Baio – No man’s land
Mostra personale.
Comunicato stampa
In un periodo in cui l’arte contemporanea appare sempre più indirizzata verso una deriva tecnologica, con la crypto art che arriva nelle aste e con le “mostre immersive” in cui spesso non è presente nemmeno un’opera d’arte, la Galleria Luigi Solito – come sempre in controtendenza e anche velatamente opposta ai circuiti di massa e in questa occasione al sistema degli NFT – ha invitato l’artista Mauro Baio a realizzare la sua prima personale a Napoli in contrapposizione ai trend attuali. Stimolato anche dal curatore Domenico de Chirico, Baio si è cimentato nella sfida di realizzare, oltre alle tele inedite, anche un grande lavoro site-specific che può considerarsi “immersivo” ma non virtuale: un’installazione che invade tutta un’area della galleria (più di ottanta metri quadri) con un’opera in cui lo spettatore può immergersi senza l’ausilio della tecnologia, senza l’utilizzo di un visore né tantomeno di uno smartphone, ma solo con la propria presenza fisica e in modalità analogica per “entrare” nell’opera interamente realizzata in situ dal giovane artista. L’esperienza è totale e invade tutti e cinque i sensi, come del resto è la semplice realtà.
INTRODUZIONE
No man’s land, ovvero “terra di nessuno”, anche detta dead zone: “zona morta”. È la parte del campo da tennis compresa fra le aree di servizio e la linea di fondocampo. Viene chiamata così perché chi si trova in quella zona del campo è in svantaggio tatticamente e facilmente attaccabile dall’avversario; in quell’area risulta complicato giocare sia un colpo di tipo difensivo che d’attacco.
Ci sembrava appropriato questo titolo, anche se può essere in parte fuorviante, sia per la filmografia esistente che soprattutto per il significato geopolitico cosi tanto attuale. Ma superati i primi riferimenti – che possono affiorare in chi legge – ci si imbatte nella figura di Mauro Baio: giovane artista che presenta la sua prima personale in assoluto nella nostra Galleria.
Ed è il suo primo intento farci mettere “piede” in quella sua zona di “gioco”.
La sua storia personale è tanto vera ed esplicita da non aver bisogno di essere letta, così come la sua ricerca sulla luce che si traduce in una rassegnazione luminosa.
Ciò che ci mette davanti agli occhi è un ex novo iniziatico, fermo. Una tabula rasa così tanto pronta all’uso che preferiamo abbandonarla prima di averla, per amarla intatta. La sua solitudine positiva ci proietta in una serenità illusoria che attraversa e supera anche la noia. Le sue rigide strutture formali, le campiture di colore e le linee architettoniche tradiscono una percezione cromatica in cui il colore cambia a seconda dell’ambiente, fornendo qualcosa di singolare ma dal duplice valore che ci permette di osservare attraverso questo contrasto la complessità del modo di vedere il mondo. Nelle sue “finestre” che si affacciano su scenari perfetti e irraggiungibili, delimitati e isolati, fanno eccezione le precise aperture nelle sezioni che innescano un dialogo tra interno ed esterno.
La luce che leggiamo dalle ombre ci dona un senso di tranquillità, un silenzio dominante figlio anche della totale assenza di figure umane. Un’utopia naturalistica in un universo metodologico, fatto di una meditazione paziente e profonda, attraverso il ritmo dei contorni e dei riflessi che disegnano uno scenario banale, quel banale che appare interessante, proprio come spesso è la vita vera. (L.S.)
TESTO CRITICO
Ma sognare è un fiume profondo,
che precipita a una lontana sorgiva,
ripùllula nel mattino di verità
CARLO EMILIO GADDA, La cognizione del dolore, 1963
Una prosa elegante, essenziale ed elaborata, le cui tematiche trattate sono il frutto di esperienze personali, in cui Mauro Baio racconta, attraverso processi trasfigurativi, la sua esperienza di vita, fraseggiata nella forma di un perimetro che contorna e circoscrive spazi corredati da innumerevoli possibilità, prima ancora che di un oggetto o di un corpo, in cui, al tempo stesso, la tensione verso un’apertura ulteriore sembra essere una costante instancabilmente insonne.
Gli spazi rappresentati sono spazi liminali ed è la loro stessa delineazione, il possedere un confine specifico che li rende aperti, sublimandoli a spazi assoluti. Tale vortice e andirivieni di silenti rimandi estetici costituisce la matrice inconfutabile di questa prima mostra personale dal titolo “No man’s land” del giovane artista lecchese Mauro Baio, classe 1991. Baio è nato in un piccolo paese situato tra Milano e il confine svizzero, perfettamente incastonato tra il lago e le montagne, contraddistinto da panorami fantastici e paesaggi mozzafiato: tale ambiente, unico nel suo genere, conduce l’artista stesso a un naturale invasamento per la dicotomia che intercorre tra luci e ombre, che derivano a loro volta, in quanto a morfologia, dalle forme caratterizzanti del luogo natio. Questo è il proscenio in cui la propensione per il disegno è diventata una passione e che ha portato Baio a intraprendere la carriera artistica, subito dopo aver terminato il corso di Arti Visive, specializzandosi in pittura, presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ha potuto accrescere la sua ricerca sulla luce attraverso l’utilizzo dei colori. Spinto da una necessità creatrice impellente, attualmente usa la pittura a olio stesa a campiture piatte creando immagini pressoché semplici ed essenziali. L’esecuzione, intesa come lasso di tempo pro-creativo, è essenzialmente un momento di astrazione dalla realtà, che si fa sempre più limata, dove le uniche cose che davvero contano sono la superficie, i colori puri esibiti in tutto il loro potenziale tra tonalità e abbinamenti, i soggetti, laddove presenti, frutto sia delle influenze subite nella vita di tutti i giorni sia delle passioni vocative e la luce che, come già asserito, colpendo qualsiasi oggetto coinvolto, definisce le forme proiettandone le loro ombre. In “No man’s land”, meiosi di perfezione geometrica, si assiste al dipanarsi di un’ottica estetica selettiva arricchita da una certa capacità di sintesi, scevra da ogni tipo di orpello, in cui le opere d’arte vengono inconfutabilmente intese come frutto di un equilibrio estetico eterno e armonico che tiene conto della potenza delle immagini, della perfezione delle forme e dell’efficacia dei colori. Tutto ciò consente a Baio di illuminare persino le cosiddette “zone d’ombra”; difatti tutti i dipinti presenti in mostra sono metaforicamente un’ostensione dell’enigma, in cui la “tenebra luminosa” svela paradossalmente il nulla, da non intendersi erroneamente con tono nichilista, con l’auspicio di inoltrarvisi al fine di assorbirne tutta l’energia produttiva qui presente. D’altronde, per dirla con Kazimir Malevič, l’arte è un modello di comportamento e un progetto di esistenza, volta alla definizione di un grado zero dell’arte e della società in cui in un “nuovo modo di sentire il mondo”, fortemente connotato da una sensibilità pura, per quanto ontologico, criptico e probabilmente utopico, il silenzio regna sovrano e diviene maestosa e tellurica forza creatrice sempre pronta a stimolare la sfera emotiva, cognitiva e mentale dell’astante a cui, volutamente, viene qui affidata l’ultima parola. (D.d.C.)
NOTE E BIO DELL’ARTISTA
Mauro Baio (Lecco, 1991). Dopo aver passato un’infanzia coltivando le sue passioni per lo sport e per l’arte, e in particolare per il disegno, nel 2012 gli viene diagnostica una malattia invalidante come l’artrite. Nonostante la difficoltà nel compiere i più piccoli gesti, l’artista non perde positività e intraprendenza e, decidendo di fare del suo amore per l’arte la propria strada, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 2015. Dopo essersi diplomato con lode, si ritrasferisce nella sua città natale e inizia a lavorare a tempo pieno nel suo studio, passando intere giornate a stretto contatto con la natura per ampliare le sue prospettive e farsi inspirare nel suo lavoro.
“Non mi interessa esprimere davvero quello che sono e ciò che penso, dipingo perché sento il bisogno di farlo altrimenti non ce ne sarebbe motivo. Uso la pittura a olio stesa a campiture piatte creando immagini pressoché semplici ed essenziali. L’esecuzione è un momento di astrazione dalla realtà dove l’unica cosa che davvero conta è la superficie e il colore: il supporto deve essere in quella condizione, il colore deve essere steso in quel modo, altrimenti impazzisco. Non sempre il lavoro produce i risultati che voglio, ma alla fine sarà l’opera a esprimersi e non le mie parole”. (M.B.)
INFO E RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano per il supporto l’Associazione di categoria ANGAMC, a cui anche la Galleria Solito ha aderito, Effetto Virginia nella persona di Virginia Cuccaro, lo Spazio NEA e la iemme edizioni.
La vendita delle opere sarà disponibile anche sulla piattaforma Artsy.
No man’s land partecipa alla XVII Giornata del Contemporaneo (sabato 11 dicembre) promossa da AMACI - Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani.