Reggio Emilia: danza, arte e corpo nella mostra al Palazzo da Mosto
Dodici artisti e cinque coreografi si confrontano a suon di passi di danza e di opere d’arte contemporanea: il dialogo diventa coinvolgente, addirittura immersivo, grazie ai visori per la realtà virtuale a disposizione del pubblico. A Reggio Emilia si osservano così gli “orizzonti del corpo” nella mostra allestita a Palazzo da Mosto
Epoca pre-Covid: Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto produce una serie di sei microdanze: “un ambizioso progetto di performance ‘danzate’ inizialmente pensato per una fruizione espositiva”, come le definisce il direttore Gigi Cristoforetti. Durante il confinamento pandemico attorno a queste coreografie si è costruito il progetto di una mostra di arte contemporanea che si sposa appunto con la danza e con l’innovazione tecnologica. E finalmente, qualche settimana fa, nelle sale di Palazzo da Mosto di Reggio Emilia, si è inaugurata l’esposizione, con la curatela affidata a Marina Dacci. Questa, in estrema sintesi, la timeline di Orizzonti del corpo, a cui partecipano i dodici artisti invitati che dialogano alla pari con la danza attraverso modalità nuove, e in particolare con quella realtà virtuale capace di dar vita a performance immersive fruibili dai visitatori grazie agli “oculos”, dei visori da indossare per entrare in una dimensione altra, che ormai è sempre più nostra.
DANZA E ARTE A REGGIO EMILIA
Il corpo è l’evidente protagonista della prima sala, che non a caso raccoglie soprattutto sculture, mentre sullo schermo al centro dell’ambiente scorrono le immagini di Shelter, del coreografo Saul Daniele Ardillo. Se le opere di Antonio Fiorentino paiono emergere da profondi fondali marini e i due piedi – entrambi destri – di Namsal Sedlecki rilucono con la loro superficie sfaldata in zinco, l’uomo nuovo di Mustafa Sabbagh emerge da un parallelepipedo nero – o vi sprofonda? –, mentre lo stesso artista partecipa alla riflessione sul corpo femminile con una di quelle sue fotografie che tolgono il respiro: a conferma di un grande talento finalmente riconosciuto.
GLI ARTISTI E LA DANZA
Una guida cartacea sostituisce le didascalie alle pareti e accompagna i visitatori nella seconda sala dedicata all’infinito e al sublime – le opere sono di Matteo Montani e la microdanza di Angelin Preljocaj – per giungere poi alle suggestioni alchemiche di Fabrizio Cotognini, con i suoi uccelli fusi in bronzo, il cigno che subisce una metamorfosi in volto e la microdanza Meridiana. La riflessione sullo spazio si svolge sotto la protezione di Kepler, mentre dalla finestra si intravedono i leggeri, colorati, corpi celesti di Gianluca Malgeri; quella sul senso di abbandono e sulla ricerca di una protezione è invece affidata alle opere struggenti di Leonardo Anker Vandal; e poi la ricerca dell’essenziale che si nasconde sotto i tanti strati di stucchi sulla superficie dei dipinti di Vincenzo Schillaci. Infine a Bianco-Valente spetta il compito di “rammendare relazioni, connettere energie, abbattendo barriere territoriali e culturali. Andare incontro al mondo con una diversa attitudine”, spiega la curatrice di fronte al video che riprende la “ricucitura” dei confini geografici.
LA REALTÀ DELLA DANZA IN MOSTRA
Ma la danza può essere fruita solo in modalità digitale? No, ovviamente, e per questo, dopo le giornate inaugurali, nei giorni conclusivi della mostra, tra il 14 e il 16 gennaio, i ballerini popoleranno le sale del palazzo quattrocentesco e le animeranno con i loro corpi in movimento, rendendo allo stesso tempo vivo e profondo il legame tra le discipline artistiche.
‒ Marta Santacatterina
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