Intervista a Sergio Risaliti. Fare il direttore di museo nella città delle polemiche culturali
Il sindaco Nardella, anche assessore alla cultura, sembra allo stremo delle forze. Ormai non può far nulla a Firenze senza che gli saltino alla giugulare un gruppetto di attaccabrighe che strumentalizzano la cultura per far polemica su tutto. Ne abbiamo parlato con Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento
Firenze entra nel 2022 esattamente come è uscita dal 2021: con un visibilio di polemiche. È un po’ la caratteristica della città, per carità, ma alle volte si esagera finendo per sciupare parecchie energie e disorientare i cittadini. Lo stesso sindaco comincia a vacillare, l’altro giorno però ‒ dopo l’ennesimo sgambetto da parte del Soprintendente ‒ ha pubblicato un post: “Continueremo a spingere per una città illuminata e colorata“. Sembra come se si fosse creato un clan di intellettuali pronti a demolire, con refrain grosso modo sempre uguali, qualsiasi novità, qualsiasi trasformazione, qualsiasi progettualità, bollando più o meno tutto come speculazione o mercificazione. Proviamo a capirci qualcosa in più analizzando lo scenario con Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento della città.
INTERVISTA A SERGIO RISALITI
Allora? Cosa diamine sta succedendo? Aria sempre più irrespirabile…
Eh già. Dietro certe polemiche molto esagerate, un po’ stiracchiate e sterili, ci sono dei sommovimenti ideologici che trovano risonanza nei media e che appartengono a una minoranza, una casta di intellettuali. Alcuni di loro usano il loro ruolo per fare del proselitismo culturale e politico. L’obiettivo in una polis come Firenze, dove la credibilità dell’intellettuale è ancora forte, è ovviamente allargare il consenso.
Insomma, intellettuali che fanno politica non necessariamente per il bene della città… Ma chi va avanti solo a colpi di ideologia può essere definito intellettuale?
Alzano la voce per affermare una visione del mondo e della città su basi ideologiche. Hanno necessità di costruirsi alleanze per fare pressione sui centri di potere. Si eccitano le menti dei benpensanti con attacchi alla mercificazione e speculazione come se i privati fossero dei barbari, corrotti dal dio denaro e dalla ricerca del profitto a tutti i costi.
Francamente a leggere certe obiezioni e certe battaglie contro i mulini a vento viene da pensare che vivano fuori dal mondo. Non ci sono molte altre città occidentali dove certe prediche avrebbero legittimazione pubblica…
Molti di loro vivono in una sorta di paradiso esistenziale e si credono missionari dello spirito assoluto e del bello ideale. Non sanno di cosa parlano, usano il passato a loro comodo, distorcendo la storia con la lente di un annacquato storicismo. Oltretutto sembrano già iniziate le danze pre-elettorali. Attaccano a prescindere e se la prendono con ogni intervento contemporaneo, che siano le sculture in Piazza Signoria o le installazioni video sul Ponte Vecchio. Di fatto cercano di intercettare le trame conservatrici di quanti in città campano di rendita di posizione; e non parlo solo di élite, ma a livello generale di quanti sentono il bisogno di staticità e sicurezza culturale e sociale.
Come è abbastanza intuibile, conservatori travestiti da progressisti!
Credono nell’immobilismo contro il cambiamento per conservare e magari aumentare una rendita garantita dalla presunta eternità e intoccabilità del patrimonio storico e artistico. Alcuni di questi intellettuali hanno perfino esultato all’inizio della pandemia quando la città si è svuotata di stranieri e finalmente si poteva godere del ‘bello’ senza essere disturbati dall’orda barbarica del turismo.
Siamo a questi livelli?
Non hanno proprio idea di cosa sia la città, come viva nel tempo, cosa sia stata nel passato e quali mutazioni abbia subito. Ad esempio preferiscono il falso storicizzato e le copie all’originale. Ci sono delle contraddizioni e dei criteri di valutazione che non tornano.
Facciamo qualche esempio su questo…
Le proiezioni sul Ponte Vecchio sono ormai spente, ma in piazza Duomo e sulla schiena di Santa Maria Novella giganteggiano dei manifesti enormi con grandi immagini della Coca Cola o di note aziende di moda. Ebbene tutto questo viene accettato perché si tratta di sostenere una serie di restauri importanti. Ci mancherebbe, ben vengano i privati a sostegno di questi interventi. Invece, quando un piccolo frame con un logo scivola via velocemente sulla facciata degli Innocenti si alza un polverone. In questo caso si è parlato a sproposito di vilipendio e si sono alzate barricate ideologiche nei confronti dei famigerati sponsor che hanno reso possibile il festival F-Light.
Due pesi e due misure su ogni cosa. Chi ne fa le spese?
A farne le spese, adesso, è la produzione contemporanea, il sostegno alla creatività e alla sperimentazione più innovativa. Abbiamo uno scenario diviso in due fazioni. Lo scontro si estende e coinvolge soprintendenze, partiti politici, lobby di intellettuali e certi personaggi che sfruttano la faziosità tipica dei fiorentini. Il braccio di ferro può riguardare le pensiline per la tranvia o una scultura in piazza, le luci sulla facciata di una basilica o il restauro di un’ex caserma abbandonata da decenni. Sovrastrutture ideologiche impediscono di analizzare contesti e dati reali, di mettere a confronto le diverse situazioni, per trarne una regola che soddisfi tutte le parti. Vorrei ritornare a un approccio più aristotelico. C’è chi in questi giorni si è perfino inorridito. Un’esagerazione comprensibile solo se non si conosce il significato e l’uso di certe parole.
FIRENZE E LA CULTURA
Guardando il dibattito della città da fuori sembra che tutto proceda per slogan, slogan “contro”. Contro i turisti, contro i ristoranti, contro i tavolini, contro i privati, contro il contemporaneo, contro le aziende…
Certe parole o frasi fatte sono solo esagerazioni con fini di posizionamento politico e mediatico. C’è chi abusa del suo ruolo di intellettuale o istituzionale per ottenere maggiore visibilità e autorevolezza in modo da accumulare potere politico e culturale. Siamo vittime di una specie di schema comunicativo che ritorna sempre a vantaggio del singolo.
Torniamo al festival F-Light. Questa lobby intellettuale che ben descrivi se l’è pigliata anche con l’evento di luci che hai curato nelle scorse settimane. Come è andata la questione?
Tutto è partito con la grande ruota panoramica allestita alla Fortezza da Basso. Mi viene da ridere. Intanto si è trattato di un mese, un’apparizione anche fantasmagorica in quel giardino assediato dal traffico e da altri problemi di sicurezza e legalità. Poi ritengo che si possa e si debba tutti tornare a essere bambini almeno una volta all’anno, che si possa alzare la testa non solo per ammirare i monumenti del passato, ma qualcosa che magari sarebbe piaciuto inventare anche al grande Leonardo e al Buontalenti, visto che entrambi si sono occupati di feste e scenografie. E la ruota è in fondo una fantasmagoria e una scenografia.
Immagina che tristezza un Natale senza luminarie e presepi, senza ruote panoramiche e proiezioni sulle facciate di qualche palazzo o chiesa. È anche vero che si può fare a meno di tutto. Ma allora dovremmo essere veramente radicali: azzerare ogni godimento e piacere, ogni fantasia e bizzarria, per arrivare al grado zero della civiltà dello spettacolo e all’abbattimento del consumismo con i suoi riti e le sue offerte. Siamo tutti immersi in questo acquario gigantesco che è la nostra società, in cui tutti più o meno siamo compromessi. Non vedo nessuno respirare fuori da questo scenario globale. I duri e puri sono giganti dai piedi di argilla.
Si tratta alla fin fine di uno scenario all’insegna del peggior populismo.
Sì. E faccio appello affinché si faccia attenzione al populismo dilagante. Che cresce guarda caso quando si avvicinano le elezioni. Siamo in presenza di persone che semplicemente stanno esagerando. Vorrei poter dialogare diversamente con certi ‘professori’ o guide spirituali che pontificano e predicano sui giornali o dai pulpiti. Ambirei a un dialogo poetico e umanistico di diverso conio.
LA QUESTIONE DI COSTA SAN GIORGIO
Nell’ultimo periodo uno tra gli argomenti preferiti da questa minoranza rumorosa di benpensanti fiorentini è l’attacco al progetto di rigenerazione della Costa San Giorgio, dove un importante imprenditore punta a realizzare un hotel. Invece di accogliere gli investimenti internazionali e volgerli a vantaggio della città, sembra si punti a far passare la fantasia a chi vuole scommettere su Firenze…
Fa tutto parte della stessa storia. Si incrociano più polemiche che nascono tutte da settori della società e della politica anche di opposte appartenenze, ma con il comune obiettivo di destabilizzare e bloccare processi di trasformazione. Si vuole creare una cortina di fumo, delegittimare le scelte dell’amministrazione con attacchi su questioni di poco valore che possono però fermare gli ingranaggi della rigenerazione. Su Costa San Giorgio si tirano in ballo argomenti di natura diversa che saranno verificati dagli organi preposti e dagli esperti, e mi riferisco alla tenuta del suolo e altri argomenti tecnici. Ci vorrebbero confronti più seri e approfonditi. Lasciamo lavorare le soprintendenze e i tecnici, lasciamo al privato la possibilità di far bene il suo investimento. Detto questo, l’amministrazione ha messo dei vincoli ragionevoli, a vantaggio di tutte le parti. Certi benpensanti dovrebbero candidarsi e passare dalla teoria alla pratica. Allora sì che ne vedremmo delle belle…
Da qualche mese siete riusciti, al Museo Novecento, a rendere vivi e partecipati anche i portici del loggiato grazie al nuovo caffè. Ma qualcuno ha avuto da ridire perfino lì…
Ritorno a dire: azzeriamo tutto! Proviamo a tornare indietro di mille anni, per vedere cosa sia la vita estremizzata, senza i benefici e i privilegi offerti dal progresso sociale e culturale. Se pensi alla purezza incontaminata dei luoghi d’arte, allora per coerenza dovremmo togliere via tutto, riavvolgere il nastro della storia. Ci sono dei musei dove i bookshop sono dei veri e propri supermercati che offrono per giunta un’immagine pittoresca dell’Italia. Ristoranti e caffetterie si trovano in tanti sancta sanctorum. Non credo che il museo debba essere l’isola che non c’è. Dobbiamo fare le cose con una certa ponderazione e con un certo buon gusto, poi continuare nella ricerca della qualità offrendo buoni servizi e belle esperienze agli amanti dell’arte. Inoltre le città come i musei sono corpi vivi e in continua trasformazione, non possono mancare le continuità e discontinuità anche stilistiche, linguistiche, di funzioni e prestazioni. Le contaminazioni e stratificazioni in questi luoghi e contesti sono fisiologiche. In particolare in città come Firenze. Se non vogliamo perseverare in un mito ottocentesco, con il quale si è pensato di riprodurre formalmente un modello di civiltà che di fatto era scomparsa nella vita reale.
Tutto ciò premesso, come vedi la situazione complessiva della città dal punto di vista culturale?
Mi pare che Firenze si stia aprendo sempre di più alla modernizzazione, anche se in ritardo di decenni, così come alla contaminazione e all’inclusione. Mi pare siano venuti meno sospetto e intolleranza nei confronti della contemporaneità. Aprirsi al diverso e all’estraneo significa perdere il controllo e rinunciare a quote di potere e di privilegi, quindi significa perdere in autorità. Una società maschilista, gerarchica, dominata da patti tra lobby, caste, casate, che si riproducono da secoli, decide quando e come aprire al confronto e alla competizione per mantenere il controllo dei flussi di divenire e il cambiamento. Così facendo una civiltà accelera la decadenza per aumento di entropia. La Firenze rinascimentale è diventata la città pittoresca e del neo-rinascimento, del neo-gotico e del neo-eccetera. Oggi mi pare si possa dire che Firenze sia attrattiva non solo come culla del rinascimento.
PROGRAMMA E INTENTI DEL MUSEO NOVECENTO
In questo quadro come si pone un centro come il Museo Novecento per provare a restituire consapevolezza ai cittadini, smontare le superstizioni e le ideologie suggestive e dannose?
L’apertura del Museo Novecento nel 2014 è stata una piccola grande rivoluzione culturale che ha spezzato l’incantesimo post-romantico permettendo alla città di uscire dalla culla del rinascimento e finalmente riconoscersi in una nuova esperienza dell’arte. Gli eventi effimeri, le mostre e iniziative temporanee hanno avuto un contrappeso culturale fondato sulla permanenza e la storicizzazione delle opere e degli artisti moderni e contemporanei. Si è capito quanto fosse necessario tutelare e valorizzare l’arte delle avanguardie. I primi anni si è badato piuttosto a gestire un deposito, per valorizzare l’importante collezione donata da Alberto della Ragione. Un’idea però troppo statica e poco innovativa, con un impianto museale più adatto a una dispensa specialistica che al rapporto con il pubblico. Dal 2018 molto è cambiato e il Museo è diventato anche un centro di produzione artistica e culturale, dove hanno iniziato ad avere un peso importantissimo altre cose, come l’ideazione e organizzazione di mostre, eventi, workshop assieme a progetti espositivi diffusi in città. Oggi il Museo Novecento è l’unico museo in Italia che può vantare una disseminazione di interventi scientifici e artistici fuori dalle mura della casa madre.
Dove siete affacciati in questo momento?
Siamo presenti in Piazza Signoria e in Palazzo Vecchio, e poi a Casa Buonarroti, all’Opera del Duomo, agli Innocenti, al Museo Archeologico e al Museo Bardini. E ci apprestiamo a organizzare altri progetti in collaborazione con importanti istituzioni e musei in città e a giugno saremo protagonisti al Forte di Belvedere. Stiamo però lavorando a progetti di residenze e atelier, a una rivista e alla formazione. Insomma stiamo costruendo un modello di istituzione culturale del ventesimo e ventunesimo secolo in cui museo e centro d’arte sono una delle funzioni peculiari ma non le uniche, perché vi si aggiungono quelle di formazione, mediazione, ricerca e perfezionamento del talento creativo, assieme a una pratica off che rende speciale il nostro modello. Tutto questo ha come obiettivo primario la sensibilizzazione ed educazione dei nostri concittadini ai linguaggi artistici del Novecento. Un lavoro sull’approfondimento e l’allargamento delle conoscenze anche a costo di lavorare su aspetti e tematiche meno noti al pubblico e meno spettacolari.
In concreto quali sono i programmi per il 2022? Cosa farete quest’anno in termini di mostre e non solo di mostre?
Si parte a marzo con un tris di mostre concatenate tra loro: Filippo De Pisis, Giulio Paolini e Luca Vitone. Poi a giugno ci concentreremo sul Forte di Belvedere con una personale di Rä di Martino. Al Museo Bardini dopo Anj Smith porteremo Emiliano Maggi. Per settembre stiamo lavorando a un confronto tra Giacometti e Fontana, alla terza edizione del premio Rinascimento+, e poi allestiremo due grandi sculture di Henry Moore in Piazza Signoria per celebrare i cinquant’anni trascorsi dalla grande mostra realizzata sugli spalti del Forte di Belvedere. Sono queste solo alcune delle iniziative in programma. Non posso ancora annunciare due grandi eventi a febbraio, ma presto ne sentirete parlare.
In termini di posizionamento, come si porrà quest’anno il museo rispetto agli altri spazi della città? Anche per evitare sovrapposizioni e improduttivi pestaggi di piedi?
Credo nella competizione e nel continuo confronto e scambio tra istituzioni e attori culturali. Tutto quello che di bene e buono si potrà fare per Firenze ci vede pronti e disponibili. Il sindaco Nardella ha deciso di riproporre la Settimana del Contemporaneo a settembre che così bene ha funzionato lo scorso anno. Noi faremo la nostra parte, assieme alla Fondazione Strozzi che ha già annunciato la mostra di Olafur Eliasson, al Museo Marino Marini, alle gallerie e a tutte le altre realtà che in quella settimana vorranno aggiungere qualcosa di bello e di speciale. In più quest’anno, sempre a settembre, ci sarà finalmente la Biennale Internazionale dell’Antiquariato che già da sola porterà attenzione sulla città. Insomma Firenze è una delle capitali dell’arte, con una differenza sostanziale però. Qui abbiamo la compresenza di passato e contemporaneità, e la densità e visibilità dei linguaggi contemporanei non è più marginale o relegata all’underground.
IL DISTRETTO DI SANTA MARIA NOVELLA
E infine per quanto riguarda il distretto di Santa Maria Novella? Avete iniziato a parlare col nuovo grande albergo nato alle spalle del museo? E con il nuovo Museo del Trenino? E il cantiere finalmente partito del Museo di Santa Maria Novella?
Tutta l’area di Santa Maria Novella è un distretto culturale senza pari. In quest’area possiamo offrire un percorso di quasi mille anni di storia dell’arte e architettura. Dagli affreschi medievali ai giovani artisti, da Giotto e Masaccio a Saville e Leoncillo. Poi il distretto vede alcuni dei migliori alberghi della città affacciati sulla stessa piazza. Quest’anno ne ha appunto aperto uno nuovo in via Palazzuolo e altri stanno per nascere. Non vorrei però dimenticare la vicinanza del Museo Marino Marini. Nascerà anche il Museo del Trenino, che sicuramente rappresenterà una novità e un traino per rendere il distretto ancora più attrattivo.
E non mancano i più piccoli progetti privati…
Già. Ci sono gallerie d’arte nelle vicinanze come quella di Poggiali e Secci, la bellissima libreria Todo Modo, antiquari e attività commerciali, senza tralasciare ristoranti, bar e una caffetteria come la nostra, assolutamente inedita a Firenze, un pezzo di futuro sostenibile a portata di palato. Guardiamo però ad altri dati che fanno di questo distretto qualcosa di veramente speciale. La tranvia è a pochi passi, i treni ad alta velocità anche e così siamo a un’ora e mezza da Roma e da Milano. Esattamente al centro d’Italia. Ci sono parcheggi in abbondanza. Tra aeroporto e Museo ci sono neppure venti minuti di tram.
L’amministrazione si rende conto di disporre di un compound culturale per certi versi unico?
Posso dire che il sindaco ha bene in mente tutte queste potenzialità, infatti ha puntato molto sulla riqualificazione di Santa Maria Novella allestendo il Museo della Lingua Italiana proprio qui, assieme ai depositi delle collezioni civiche concepiti e visitabili con un allestimento di nuova concezione. E poi sempre in Santa Maria Novella apriremo gli atelier per giovani artisti e un nuovo spazio espositivo da aggiungere alle residenze in via Palazzolo. Ti rendi conto di cosa significa avere un museo nel cuore di un distretto come questo? Un museo che potrà offrire spazi di lavoro e residenze agli artisti provenienti da tutte le parti del mondo. Insomma mi riesce difficile pensare a qualcosa di così eccezionale in Italia.
Sei direttore da diversi anni. Ti senti ancora motivato a proseguire?
A livello personale spero di poter accompagnare la crescita del Museo Novecento per i prossimi anni. E poi toccherà ad altri portare avanti l’azione…
‒ Massimiliano Tonelli
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