Il dipinto di Pissarro requisito dai nazisti. Una complessa vicenda legale
L’avvocato Luigi M. Macioce fa il punto sulla storia dell’opera di Pissarro requisita dai nazisti alla famiglia ebrea che la possedeva e oggi custodita dalla Fondazione Thyssen-Bornemisza. In attesa che la Corte Suprema degli Stati Uniti si pronunci in merito
Sono di fronte a 49 pagine di Legal Brief e non sono né stanco né annoiato. Sono attirato dal testo, come se fossi davanti a una delle serie TV da cui non ci si riesce a staccare.
L’argomento è avvincente per un avvocato, ma lo è anche per chi semplicemente si appassiona alle vicende ricche di storia, guerra, oppressione, sofferenze ma anche arte, passione, rivalsa e ricerca della giustizia con la G maiuscola. Si tratta della richiesta di restituzione di un’opera sottratta ai legittimi proprietari dalle requisizioni naziste. L’opera è di quelle che restano nella memoria. Rue Saint-Honoré, dans l’après-midi. Effet de pluie. L’autore è Camille Pissarro, uno dei grandi impressionisti. La data è il 1897.
Una vicenda che corre lungo tre generazioni di una famiglia: i Cassirer. Ebrei tedeschi che tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX erano una delle famiglie più importanti nel commercio, nella cultura e nell’accademia del tempo in Europa. I capostipiti Paul e Bruno Cassirer furono tra i primi e più attivi promotori del movimento impressionista sia attraverso la loro prestigiosa galleria d’arte a Berlino sia con le pubblicazioni della loro casa editrice. Paul Cassirer comprò il dipinto in questione nel 1900 direttamente dall’agente esclusivo di Pissarro, Paul Durand-Ruel.
LA STORIA DEL DIPINTO DI PISSARRO
L’opera entrò quindi in famiglia e fu trasferita agli eredi fino a quando nel 1939 i nazisti forzarono una delle giovani eredi Lilly a “venderla” per circa 300 dollari. Un meccanismo adottato dai nazisti all’epoca per simulare una parvenza di trasferimento legittimo con la duplice beffa e crudeltà che tali importi erano “pagati” su conti correnti cui gli ebrei non potevano più avere accesso (in quanto destituiti di ogni diritto sociale, economico e proprietario) e che venivano nazionalizzati in seguito alla loro deportazione.
Lilly insieme a pochi altri membri della famiglia riuscì a fuggire negli Stati Uniti. Dal ‘39 l’opera scompare dalle scene. Si scoprirà solo successivamente che già negli Anni Cinquanta venne venduta a più riprese in gallerie americane per poi riapparire di nuovo in Europa nella collezione di una delle più grandi famiglie dell’acciaio: i Thyssen-Bornemisza, i cui fasti economici – ironia della sorte – derivano proprio dalla produzione stellare del secondo conflitto mondiale. Con il matrimonio del barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza con una donna spagnola, la sua collezione, e con essa il dipinto di Pissarro, venne trasferita in un palazzo madrileno dono del governo spagnolo e nel luglio del 1993 l’intera collezione del barone fu acquistata dal Governo spagnolo per diverse centinaia di milioni di dollari attraverso una fondazione museale pubblica, che prese il nome di Fondazione Thyssen-Bornemisza.
LA BATTAGLIA LEGALE DELL’EREDE CASSIRER
David, erede della famiglia Cassirer, ha iniziato la sua battaglia legale per la restituzione dell’opera di Pissarro alla famiglia nei primissimi Anni Duemila. Sotto il profilo del diritto la questione è davvero complessa e sofisticata. Si intrecciano norme di diritto statale ‒ California, il Paese di residenza dei Cassirer, e Spagna, il Paese di residenza della fondazione museale spagnola con norme federali statunitensi ‒ il FSIA ‒ Foreign Sovereign Immunity Act, centinaia di precedenti giurisprudenziali, regole di Common Law, regole di Civil Law, termini di prescrizione diversi per ciascuno dei diritti (e dei reati) che la storia sottende, le convenzioni internazionali stipulate esclusivamente per la protezione del patrimonio culturale in tempo di guerra, come le Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 e il Patto di Washington del 15 aprile 1935, la Convenzione dell’Aja del 1954, e le convenzioni internazionali che includono tra i diritti insopprimibili il diritto alla cultura, all’arte e alla protezione del patrimonio artistico e culturale come la Convenzione Europea sui diritti dell’uomo e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
“Ci sono diritti che non si possono affievolire con il passare del tempo e il trascorrere dei decenni?”
La lunghissima battaglia legale è ora giunta alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che si deve pronunciare su quale sia la legge applicabile a una controversia che dura da più di vent’anni. In realtà la pronuncia determinerà se l’opera verrà restituita ai Cassirer o rimarrà in Spagna. Se la Suprema Corte dovesse ritenere applicabili le regole di diritto federale che rimandano al diritto del Paese dove si trova l’opera, ciò determinerebbe la prevalenza del diritto spagnolo, applicando il quale le corti di prime cure hanno già decretato che l’operato della Fondazione nell’acquisire la collezione Thyssen-Bornemisza, seppure questionabile, non è assimilabile a un acquisto consapevole di opere rubate. Pertanto la proprietà si sarebbe correttamente trasferita alla Fondazione. Se la Suprema Corte non dovesse ritenere applicabili alla Fondazione le previsioni federali statunitensi relative a Stati o enti “sovrani” e ritenesse, invece, applicabili all’acquisto della Fondazione spagnola le medesime regole applicabili all’acquisto internazionale di beni tra privati, la preferenza sul diritto applicabile cadrebbe sul diritto californiano. Questo diritto vedrebbe prevalere – probabilmente ‒ le ragioni dei Cassirer, dato che pone sull’acquirente sofisticato o professionale (come un museo) una particolare diligenza nella verifica della legittima provenienza dei propri acquisti in mancanza della quale la proprietà non si trasferisce.
“La restituzione delle opere trafugate nei conflitti fa parte della difesa dei valori umani più profondi”.
Ma il dibattito giuridico fa da sfondo a un tema ancor più avvincente, e non è certo un tema che si pone solo nelle aule di un tribunale. La domanda che si cela dietro alla sofferta storia dei Cassirer è, in fondo, se i principi morali più alti, quelli sanciti nelle convezioni e dichiarazioni universali dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite prevalgano sui codici nazionali e sulle regole intese a favorire gli scambi commerciali tra privati. La domanda è ancora più complessa se la si pone diversamente. Può un sopruso, frutto di uno dei momenti più bui della storia dell’uomo, essere “dimenticato” e i suoi effetti “protetti” dalle norme di diritto? Oppure ci sono diritti che non si possono affievolire con il passare del tempo e il trascorrere dei decenni?
È una domanda che trova le sue radici nella storia della cultura occidentale. È la stessa di Antigone nella tragedia messa in scena da Sofocle nel 440 a.C. nella quale le ἄγραπτα νόμιμα (àgrapta nòmima), le leggi morali (quelle che non hanno bisogno di essere scritte secondo Sofocle), forzano la protagonista della tragedia greca a disobbedire alle leggi del re Creonte e ad accettare la morte per averle disobbedite.
Per questo credo che la battaglia legale dei Cassirer e la questione posta alla Corte Suprema Federale statunitense affascini chiunque, non solo l’esperto d’arte o di diritto. L’arte è un terreno fertile per dibattiti di altissimo profilo come questo. La restituzione delle opere trafugate nei conflitti fa parte della difesa dei valori umani più profondi. La protezione del patrimonio culturale è uno dei valori fondanti di ogni Paese e lo è, ancora di più, quando il mondo perde i confini e diventa globale. Per questo sono ansioso di conoscere il verdetto della Corte Suprema Federale degli Stati Uniti sulla richiesta di David Cassirer.
‒ Luigi M. Macioce
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati