L’istituto archeologico germanico di Roma. Quasi ultimato il restauro
Gli architetti italiani di INSULA - in cordata con i tedeschi Wenzel+Wenzel, Bollinger+Grohmann e lGP - firmano il progetto di riqualificazione per un tempio tempio degli studiosi di archeologia. 6000 mq pronti per l’estate
Ultimi mesi per il cantiere della sede originaria dell’Istituto archeologico germanico di Roma, primo edificio costruito al di fuori dei confini nazionali dalla neonata Repubblica Federale di Germania dopo la II Guerra Mondiale. Il Deutsches Archaeologisches Institut (D.A.I.), una delle più grandi biblioteche archeologiche del mondo, si appresta infatti a ritornare nella sua storica sede di via Sardegna: un significativo traguardo anche per la città di Roma, unica Capitale al mondo in cui risiedono oltre 70 istituti di cultura e accademie straniere (come ha sottolineato oggi in cantiere Miguel Gotor, assessore alla cultura di Roma Capitale). Tutto ha avuto inizio nel 2013 quando la Repubblica federale tedesca, rappresentata dal Ministero federale per i Trasporti, l’Edilizia e lo Sviluppo Urbanistico, ha bandito una gara europea di progettazione, aggiudicata nel 2014 alla compagine capeggiata da Insula architettura e ingegneria in associazione con Wenzel+Wenzel, Bollinger+Grohmann e lGP. Committenza internazionale e design italiano per un luogo della formazione e della cultura che valorizzi la storia dell’edificio esistente e il suo prezioso contenuto: un compito da 26 milioni di euro che il team italo-tedesco coordinato dai romani (che a maggio 2022 compiranno vent’anni di attività professionale) porterà a segno entro l’estate. “Grazie al progetto di Insula” affermaAnnette Landgraf, project manager della BBR “è stato ripreso lo spirito di questo edificio progettato secondo i principi dell’architettura tedesca del dopoguerra, ma sottolineando un aspetto divenuto ora fondamentale: conferire all’edificio la massima sostenibilità, attraverso l’ottimizzazione di risorse e materiali”.
STORIA DELL’ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO DI ROMA
Quella di Roma, considerata ancora oggi la capitale mondiale dell’archeologia, è la sede più̀ antica tra i vari D.A.I. (in totale sono 21) e ospita una delle biblioteche archeologiche più importanti al mondo con riviste, periodici correnti e circa 240.000 volumi, incluse copie originali di Giambattista Piranesi, edizioni del Sei e Settecento, sino al fondo Platneriano con 6.000 volumi di storia delle città italiane. Un unicum nel contesto culturale mondiale, punto di riferimento per tutti gli studiosi della disciplina. Il prestigioso Istituto, nato dall’Istituto di Corrispondenza Archeologica, venne fondato a Roma nel 1829. Con un’idea: “quella di creare una comunità archeologica europea”, precisa Ortwin Dally, direttore dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma. “Un concetto che ha preceduto di molto il principio costituente dell’Unione. [..] Si voleva, modernamente, collegare tutte le informazioni sui nuovi scavi. Si tenga presente che l’archeologia nella prima metà dell’Ottocento non era una disciplina ben definita; quindi, l’Istituto ha un’enorme importanza anche per la storia della disciplina stessa”.
ARCHITETTURA + ARCHEOLOGIA, OGGI
L’architettura contemporanea a fianco dell’archeologia. Un dialogo talvolta difficile, sicuramente complicato, fatto di compromessi filologici, in cui la vera sfida è combinare le mutate esigenze funzionali con le caratteristiche proprie di un intervento contemporaneo, nella difficile scelta tra il lasciare inalterato il sapore storico e restituire alla città uno spazio rinnovato in tutto e per tutto. Il processo di adeguamento sulla sede di via Sardegna è iniziato nel lontano 2006, a seguito delle criticità rilevate dopo verifiche antisismiche. L’edificio, progetto dell’architetto Karl Georg Siegler e dell’ingegnere Enzo Giannini, e con la consulenza dell’architetto Annibale Vitellozzi – coautore di importanti opere romane quali, ad esempio, la Stazione Termini e il Palazzetto dello Sport – fu realizzato nel 1962 dall’impresa Pasqualucci, la stessa che oggi si è aggiudicata l’appalto per portare a termine il nuovo intervento. Si caratterizza per una pianta rettangolare, 5 piani fuori terra più un attico e due piani interrati per 6.000 metri quadri complessivi di superficie. Al suo interno, accoglie numerose e complesse funzioni: un ingresso foyer pensato come spazio multifunzionale, dove si svolgeranno mostre sulle attività di ricerca e scavo; una biblioteca a libera consultazione articolata su quattro livelli; tre sale lettura; un deposito libri; una fototeca con 300.000 immagini e 200.000 negativi; una sala conferenze a doppia altezza da 150 posti (con arredi rigorosamente mobili in modo da permettere la massima flessibilità di usi e configurazioni). Ma anche la biblioteca Platneriana con 6.000 volumi, uno spazio espositivo; 35 uffici per una cinquantina di addetti; una foresteria per 8 borsisti; un alloggio per il custode; un garage interrato; un piccolo giardino e una terrazza.
IL PROGETTO DELL’ISTITUTO GERMANICO DI ROMA
“Il nuovo progetto ha salvaguardato l’identità̀ e lo spirito dell’epoca del fabbricato, rendendola contemporanea e coniugandovi le esigenze di adeguamento strutturale, impiantistico e normativo», spiega l’architetto Eugenio Cipollone, partner dello studio Insula. “Gli ambienti che da sempre ne caratterizzano spazialità̀ e funzionalità̀, come la grande sala conferenze a doppia altezza, la biblioteca Platneriana e la sala lettura su due livelli con il grande ballatoio centrale sono stati oggetto di un’accurata progettazione. I pregiati materiali di pavimentazione e rivestimento sono stati recuperati e reimpiegati quando possibile. I frammenti inutilizzabili sono stati riciclati: macinati e trasformati sia in graniglia per le pavimentazioni alla veneziana, sia in grandi tessere di mosaico impiegate nella stessa sala Platneriana. L’adeguamento strutturale e normativo ha richiesto la demolizione e la ricostruzione di intere parti della struttura in calcestruzzo armato, quali ad esempio i due corpi scala esistenti e la nuova scala elicoidale per la sala conferenze”.
-Giulia Mura
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