Lui che ha portato l’arte contemporanea nel Golfo
Non una retrospettiva ma una ricca monografica. L’omaggio ufficiale di Abu Dhabi a Hassan Sharif, l’artista che ha introdotto l’arte contemporanea nei Paesi del Golfo. La caparbietà di una pratica creativa quotidiana, dispiegata lungo l’arco di oltre quarant’anni. In mostra fino al 17 giugno, a cura di una certa Catherine David.
Ci sono esistenze straordinarie che per decenni rimangono discoste dal flusso della storia e quasi paiono nutrirsi di una certa liminarità; esperienze circoscritte entro confini ridotti e definiti: la strada del porto, il caffè dove si consuma l’esercizio quotidiano della lettura, il cortile inondato di luce e presenze. Potrebbe essere una qualsiasi città di mare, lo strano destino, e comune, delle città di mare. Hassan Sharif (Dubai, 1951) appartiene a questo drappello di “esuli” in terra propria, di esuli intenzionali, saremmo tentati di dire.
Dopo un felice esordio come caricaturista all’inizio degli anni ‘70, nel 1979 – grazie a una borsa di studio – decide di intraprendere studi di belle arti in Gran Bretagna, dove rimarrà fino al 1984 studiando presso la Byam Shaw School of Art a Londra. L’esposizione a correnti sperimentali e concettuali eserciterà un’influenza potente e duratura sulla maturazione del percorso artistico di Hassan Sharif, bilanciandone la vocazione educativa, ma mai pedagogica o accademica, che corre in parallelo alla realizzazione dell’artista.
La ricca e concentrata vena sperimentale di Sharif si snoda principalmente fra il 1979 e il 1986, anni durante i quali un corpus consistente di performance ed esperimenti di natura sistemica e matematica si struttura, costituendo il nucleo della produzione successiva, ampiamente variegata dal punto di vista tecnico e materico eppur sostanziata dalla stessa base concettuale che ne irradia l’opera sin dai primi palesamenti di un linguaggio proprio.
Nel 1984, nonostante l’azzardo d’un tale passo e la contrarietà di insegnanti e colleghi che ne intuiscono le potenzialità e temono che il ritorno entro un ambiente impreparato possano inibirne gli sviluppi, Sharif decide di tornare a Dubai e di intraprendervi la sua carriera d’artista. Lavorando al tempo stesso presso il Ministero della Gioventù e dello Sport (con un incarico di promozione della scena artistica locale), animando atelier artistici prima nell’emirato di Sharjah e successivamente a Dubai, pubblicando sulla stampa locale centinaia di articoli che introducono temi e protagonisti dell’arte moderna e contemporanea a un pubblico periferico e marginale, Sharif non solo si costruisce come artista ma svolge anche un fondamentale ruolo di educatore che gli varrà il merito di formatore delle successive generazioni di artisti emirati (Mohammed Kazem, Abdullah Al Sa’adi, Mohammed Ahmed Ibrahim, Hussain Sharif, Layla Juma) e influirà a lungo termine sulla creazione e la maturazione di un pubblico per l’arte negli Emirati Arabi Uniti.
Durante gli stessi anni e per i tre decenni successivi, Hassan Sharif produce una grandiosa quantità di lavori, principalmente riconducibili alle categorie della pittura, delle accumulazioni e dei sistemi. O “semi-sistemi”, come vengono rivendicati dall’artista, che rifugge ogni costrizione e integra l’errore quale parte essenziale e irrinunciabile dell’ordine.
Membro fondatore di The Flying House (fondazione non profit nata nel 2007 per promuovere artisti contemporanei emirati), da alcuni anni auto-recluso entro una sfera puramente e straordinariamente produttiva, Hassan Sharif viene finalmente celebrato da un’istituzione statale (Abu Dhabu Authority for Culture and Heritage) con un’ampia mostra a cura di Catherine David e Mohammed Kazem, che ne illustra la produzione complessa ma mai inaccessibile.
Suddivisa in due sezioni e seguendo un criterio cronologico, l’esposizione si concentra sulla sezione sperimentale e sulla più nota serie degli “oggetti”, omettendo solamente i dipinti che per ragioni di spazio non sarebbe stato possibile presentare criticamente.
I lavori sperimentali, inclusa la preziosa serie delle performance datate 1982-84, si dispiegano fra il 1979 e il 1986 mostrando una precoce sensibilità nei confronti di una modalità di ricerca artistica che rimarrà totalmente estranea al mondo mediorientale per almeno un altro decennio. Lavori come Counting cars in Al Dhiyafah Road (1982), Kitchen (1985) o Walking in the desert (1982 e 1983) rivelano un elevatissimo grado di maturità e autosufficienza in questo artista, peraltro dotato di un non comune senso dell’ironia.
Segue una bella selezione di “semi-sistemi”, lavori ispirati da matrici matematiche e statistiche declinate in infinite visualizzazioni e sempre prone all’integrazione dell’errore donde il rifiuto di una definizione rigorosamente sistemica.
La sezione forse più coinvolgente per il pubblico, quello locale come quello straniero, ancora poco familiare nei confronti del lavoro di Sharif, rimane quella degli “oggetti” prodotti fra il 1982 e il 2011. Quasi completa la sequenza delle scatole e dei libri, prodotti in due ondate successive rispettivamente nel corso della prima metà degli anni ’80 con una ripresa nel 2006-07, affiancata da una rappresentativa selezione di oggetti in cui la modalità di manipolazioni e la varietà di materiali utilizzati introducono al mondo creativo e privato di questo artista misconosciuto in Occidente e negletto in Medio Oriente.
In attesa del lancio veneziano della monografia Hassan Sharif. Works 1973-2011 curata dalla stessa David per i tipi di Hatje Cantz, pubblicazione che si preannuncia come un importante tassello nella ridefinizione della prospettiva sul panorama dell’arte contemporanea – e non solo – mediorientale.
Cristiana de Marchi
dal 17 marzo al 17 giugno 2011
Hassan Sharif – Experiments & Objects 1979-2011
a cura di Catherine David
Qasr Al Hosn – Abu Dhabi
Orario: tutti i giorni 10-22
Info: tel. +971 26576001; [email protected]
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