Repetita

Informazioni Evento

Luogo
GASPARELLI ARTE CONTEMPORANEA
Via Arco D'augusto 74, Fano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

apertura domenica 13 febbraio ore 17.30 con introduzione critica di Massimo Pulini
da martedì a domenica ore 11.00 / 13.00 e 17.00 / 20.00

Vernissage
13/02/2022
Curatori
Massimo Pulini
Generi
arte contemporanea, collettiva

Mostra collettiva.

Comunicato stampa

Tre pezzi di carta

a Cipriano Ridolfi

Generato, non creato, della stessa sostanza del padre…

Che sia un dipinto o una scultura, uno scritto o una musica, ogni opera nasce per concepimento, gestazione e travaglio. E nella stesura della materia con la quale è composta, vengono trattenuti pensieri, umori e qualità dell’autore. In virtù di questo processo generativo e trasmittente, che semina elementi di somiglianza, insieme alla placenta del tempo e del luogo, è possibile riconoscere, anche dopo secoli, la mano che ha impastato i propri affetti nel modellare quella sostanza sensibile.
Le opere sono individui, unici e irripetibili, ma è sempre possibile riscontrare parentele, strette o vaghe, con altre opere d’arte, con individui generati dal medesimo autore, oppure tra quelle uscite da una comune epoca o da una prossimità geografica.
Allora la ricerca storica e quella artistica vanno indirizzate verso unicità somiglianti. Imbattersi in un quadro, mai visto prima, può sollecitare reparti di memoria che hanno già archiviato immagini affini e talvolta nella moltitudine dei ricordi che abbiamo in noi, affiora il miracolo di un nome, quasi fosse una mano levatrice a spingerlo alla luce.
Un miracolo diffuso, che tutti provano quando incrociano un amico d’infanzia o nell’ascoltare una voce alla radio. Sono poco interessato a comprendere quel che succede a livello neuronale, al traffico notturno della metropoli mentale, mentre mi affascinano le dinamiche sentimentali ed estetiche che accompagnano il percorso del riconoscimento, dopo aver preservato e tenuto vivo per anni un ricordo che diverrà scatenante.
Quella di cui parlo è una pinacoteca elettiva e personale, che può anche essere di proporzioni enormi nel nostro cervello, con milioni e milioni di opere, che in ogni caso sono frutto di un vaglio, forse istintivo e chirurgico insieme, che ne accredita o respinge la conservazione.
Ma le immagini archiviate e rispolverate dai recessi della mente per sottoporle al confronto con la nuova visione, non bastano a risolvere nessun caso. A quelle icone mnemoniche, a quel baluginare di forme e fosfeni, devono essere abbinati nomi, epoche e luoghi. Dunque una ramificazione di parole e ragionamenti che si intrecciano alle immagini e viceversa. Una treccia di concetti e percetti.
Spesso sono queste fasce periferiche di senso a indicarci il percorso del ricordo. La sequenza di identificazione può anche essere fulminea, ma talvolta si avverte che un dipinto possa appartenere, come dire, alla scuola bolognese del Settecento e magari solo in un momento successivo si fa largo il nome di Aureliano Milani.
Evoco questo artista perché tra gli infiniti casi possibili è quello di cui intendo parlare, ci fu un’occasione nella quale, al piccolo miracolo del suo riconoscimento, se ne sono sommati altri, molto meno frequenti di quello e molto meno spiegabili.

Nell’apprestarmi a narrarlo sono anzi certo di non avere adeguate proprietà di scrittura per garantire credibilità sufficiente alla successione di fatti.
Assieme a un gruppo molto ristretto di amici, nei primi mesi del 2014, stavamo preparando la prima edizione della Biennale Disegno e malgrado la mole di impegni necessari a organizzare le venticinque esposizioni previste, non mancavamo mai di divertirci con le opere e le parole che erano oggetto dei nostri studi.
Qualche mese prima il mio amico fraterno Franco Pozzi aveva acquistato, per la sua collezione, un raffinato disegno che presentava, ritto in piedi e con la bandiera crociata, uno strano Cristo risorto circondato da mostriciattoli volanti.Sopra all’Eterno si scorgeva una lunetta serrata da una robusta grata e il repertorio di bestie urlanti che gli faceva da coro diabolico, innestava gufi a serpenti, capri a leoni, draghi a scimmie, in una sequenza degna di Hieronymus Bosch.
Me ne stava parlando in seguito a un episodio che lo aveva molto colpito: dopo l’acquisto era tornato a rovistare nelle cartelle dello stesso antiquario e si era poi imbattuto in un secondo frammento del medesimo foglio disegnato a grafite. Portandolo a casa trovò conferma, le figure in ginocchio che vi erano attentamente descritte andavano a combaciare con un lembo dell’immagine precedente. Chiedendo ragione di quella crudele decurtazione, il mercante si era discolpato, sostenendo di non essersi mai accorto che quel disegno fosse stato tagliato in due. “In tre”,lo corresse Franco, nel colloquio che lui stesso mi raccontava.
Quella parte aggiunta, ricostruiva infatti l’iconografia di un Cristo al limbo, ma non permetteva di completare l’immagine originale, anzi la coppia di rettangoli andava a evidenziare ancora di più la mancanza di una terza parte. La zona inferiore sinistra della scena mostrava dunque un riquadro vuoto dai contorni netti, simili ai confini di uno stato africano.
L’antiquario mise sottosopra la bottega, ma il terzo frammento non saltò fuori. Franco, in qualche misura si mise il cuore in pace, immaginando che chi aveva sforbiciato brutalmente quella preziosa opera fosse stato spinto da motivi di conservazione, amputando la parte più danneggiata di un foglio che in effetti mostrava evidenti gore, causate da una remota umidità. Forse quella mancante era la zona più malandata, irrecuperabile.
A quel punto entro in gioco io stesso nella vicenda, perché le parti sopravvissute mi fecero pensare proprio a Bologna e al primo Settecento, spingendo il mio ricordo verso lo stile grafico di Aureliano Milani.
Una rapida verifica mi permise di rintracciare al Metropolitan Museum di New York un disegno ancora più folle e moderno di quello, nel quale diversi mostri, del tutto simili agli incubi del Cristo, stavano al capezzale di un moribondo.
Altre indagini offrirono ancora più stringenti conferme all’idea attributiva e al contesto nel quale aveva avuto origine l’opera.
Nella veneziana Fondazione Cini è conservata una seconda e più normalizzata versione che Aureliano Milani condusse sul tema delRiscatto dei giusti dal Limbo, una terza si trova a Brera e infine una quarta in collezione privata.
Ma per comprendere a che punto siamo capaci di spingere i nostri giochi con la storia, va detto che, io e Franco ci mettemmo reciprocamente alla prova assegnandoci il compito di immaginare il pezzo mancante, la parte muta del disegno. In una gara senza premi, così, dato che non avevamo nulla da fare.
Nella settimana successiva ricevetti il materiale fotografico di una bellissima collezione bolognese di disegni antichi, quella del compianto Cipriano Ridolfi, intorno alla quale intendevamo allestire una delle mostre della Biennale, presso il Museo della Città di Rimini.
L’elegante raccolta era stata messa insieme a partire da cambi e acquisti che risalivano a trent’anni prima e il foglio che mi fece sobbalzare sulla sedia era stato proprio uno dei primi entrati nella collezione del dottor Ridolfi.
Non avevo ancora avuto tempo di inventare un mio ‘completamento scherzoso’ al disegno di Aureliano Milani che l’originale rettangolo mancante si trovava tra le mie mani.

Decisi allora di inviare una foto a Franco senza aggiungere nulla di scritto nella email. Attesi solo un paio di minuti e ricevetti la sua telefonata. Il mio amico, quasi esterrefatto, mi chiese come fossi riuscito a immaginare così bene i corpi delle figure che stavano in primo piano. L’idea che fossi stato io a disegnare quel foglio, per quanto incredibile, sembrava comunque la spiegazione più logica. Invece era accaduto che un disegno fatto a pezzi più di trent’anni prima trovasse ricomposizione proprio in coincidenza di quella festa del Disegno che stavamo inaugurando.
Il dottor Ridolfi accettò infine con slancio la cessione della sua parte in cambio di un altro disegno.
Qualcuno potrà anche riuscire a dimostrare attraverso quali sinapsi un ricordo si trasformi in riconoscimento, in attribuzione, ma sono contento che non esistano spiegazioni per altri accadimenti.

Massimo Pulini
Ottobre 2020