Okkay, i tagli alla cultura in Italia. Ma l’Europa davvero sta meglio?
Dei tagli del governo italiano alla cultura abbiamo parlato a lungo. Ma cosa sta accadendo nel resto dell'Europa? Una panoramica un poco desolante, che fa guardare al resto del continente con qualche invidia. Ma mica sempre, anzi.
Per iniziare, un piccolo ripasso su ciò che sta accadendo in Italia. Il settore teatrale è quello più duramente colpito, a causa dei tagli indiscriminati che stanno aumentando il rischio di chiusura per bancarotta delle più importanti istituzioni. Mentre l’Arena di Verona è ancora speranzosa, Bologna ha già detto addio al Duse. Il Carlo Felice di Genova è stato riaperto grazie ai dipendenti, che si sono ridotti lo stipendio; sia il Piccolo che la Scala di Milano si sono ritrovati 17 milioni di euro in meno nel 2011. Solo nella città di Roma ci sono 31 teatri che rischiano di essere cancellati, causa mancanza di fondi. Nel resto d’Italia la situazione è la medesima.
Il Fus, fondo unico per lo spettacolo, quest’anno ha toccato il suo minimo storico: 231 milioni di euro, la metà del 2010. Bisogna poi aggiungere la riduzione dei trasferimenti statali per il 2011 alle Regioni, Province e Comuni. E c’è di più: sul fronte normativo viene impedito a questi enti di spendere risorse dei loro bilanci (è la limitazione al 20% di quanto speso nel 2009 per mostre e “promozione”).
Al Governo vengono avanzate le seguenti otto richieste: 1. affermare la centralità della cultura nelle politiche economiche e sociali nazionali; 2. assicurare livelli certi e adeguati di finanziamento del settore e reintegro del Fondo Unico dello Spettacolo; 3. introdurre forme di incentivazioni fiscali per le donazioni a favore della cultura; 4. garantire il tax-credit e il tax-shelter al cinema; 5. sostenere l’occupazione e lo sviluppo delle professionalità del settore; 6. investire su una efficace valorizzazione e tutela del nostro patrimonio culturale e ambientale, coinvolgendo anche gli enti locali; 7. sostenere la modernizzazione e la creatività giovanile; 8. attuare politiche culturali di livello europeo.
Nel settore cinematografico, la battaglia è in mano all’associazione 100autori, che riflette su come svincolarsi dalla politica e conquistare risorse stabili. Come modello assumono quello francese, che prevede un Centro Nazionale del Cinema (Cnc) indipendente e un autofinanziamento basato su tasse di scopo su tutta la filiera. Il Centre National de la Cinématographie gestisce ogni anno circa un miliardo di euro per l’intero settore audiovisivo, che provengono da tre tasse: quella sui biglietti del cinema (120 milioni all’anno), il prelievo di scopo dalle tv e dagli internet provider (523 milioni nel 2010) e il prelievo dall’homevideo.
In Francia, infatti, si protesta per i tagli alle pensioni, ma il governo non ha minimamente toccato la cultura. Il bilancio del 2011 prevede un incremento di 154 milioni, per un totale di 7.5 miliardi di euro. Il ministro della cultura, Frédéric Mitterrand, ha ben chiare le sue priorità, ovvero valorizzare il patrimonio con 868 milioni in più per musei e collezioni, preservare lo spettacolo dal vivo mantenendo il budget del 2010 pari a 663 milioni, restaurare il Museo Picasso e il quadrilatero Richelieu e sostenere il Palais de Tokyo nell’arte contemporanea. Infine, costituire a Marsiglia il Museo delle Civiltà d’Europa e del Mediterraneo. Lo stato francese ha aumentato i fondi per le scuole d’arte e di architettura, e sono stati stanziati nuovi fondi per ampliare l’acculturazione dei cittadini. E non c’entra il gioco delle parti politiche, perché quello di Parigi è un governo di destra. Eccome se è di destra, eppure…
Berlino spende 350 milioni di euro all’anno per le attività culturali e il bilancio federale è aumentato nel 2010. Anche la Germania è stata colpita dalla crisi economica, ma, diversamente da altri Paesi come l’Italia, resta ferma la convinzione che la cultura vada salvaguardata e che proprio in questi momenti di difficoltà si debba lottare per tutelarla. In Germania, il governo centrale stanzia fondi soprattutto per eventi eccezionali o per istituzioni particolari, mentre delle istituzioni culturali si occupano i singoli stati federali. Ecco perché lo stanziamento sembra esiguo, ma non lo è affatto.
Nel Regno Unito i tempi d’oro per la cultura sono finiti, o per lo meno in stand-by. Il carburante dell’arte? La generosità dell’unico grande patron inglese, il governo. Ma in una situazione in cui l’intera Europa si trova a corto di denaro, sia conservatori che liberaldemocratici sono d’accordo nella drastica riduzione dei finanziamenti alle istituzioni culturali, dal National Theatre al British Museum. I tagli però potrebbero non essere solamente temporanei. Si vorrebbe arrivare al modello statunitense della filantropia privata come principale entrata per le arti, mettendo fine al tradizionale sostegno governativo. A partire dal 2015 verrà tagliato il budget destinato al Dipartimento per la Cultura di 1.7 miliardi di dollari. Come risultato, le sovvenzioni per i musei nazionali scenderanno del 15% dal 2015 e quelle per l’Arts Council del 29%.
L’Arts Council England, l’agenzia governativa che dà sostentamento alle performing art e ad alcune gallerie si è ritrovato con 189 milioni di dollari in meno, costretto quindi a tagliare i fondi ad alcune istituzioni come la Royal Opera House e il National Theatre, che han visto una diminuzione del 6%, Almeida Theatre un terzo in meno, The Institute of Contemporary Arts (ICA), peraltro piuttosto malconcio e bisognoso di restauri, meno 36.8%. L’Arts Council ha poi dichiarato che risparmierà su alcuni costi di 19 milioni di dollari per il 2015, eliminando gradualmente le sovvenzioni per Arts & Business, un’organizzazione non profit che promuove la filantropia nel settore culturale.
Non solo tagli ma anche incrementi: Whitechapel Gallery +25.3%, Serpentine Gallery +31%, che quest’anno ha ricevuto 1.4 milioni di dollari e che nel 2015 si vedrà arrivare 2 milioni.
Art Fund, società inglese che raccoglie fondi per musei e gallerie, ha annunciato che aumenterà il budget per l’arte a 11.3 milioni di dollari dal 2014, un incremento del 50%. Altri 4 milioni di dollari arriveranno da una nuova campagna di raccolta fondi, dal risparmio su alcuni costi di Art Fund e dalla vendita delle membership card, che con una spesa di 35 sterline (56 dollari) annuali garantisce il libero accesso a più di 200 musei e sconti sulle più importanti mostre.
Anche il Portogallo ha dovuto ricorrere a un piano di austerity per il 2011, tagliando del 9% i fondi per la cultura.
In alcune aree della Spagna i finanziamenti sono già diminuiti di un terzo e lo stesso sta accadendo nei Paesi Bassi, dove Wilders ha tagliato pesantemente i sussidi statali al mondo del teatro, dello spettacolo e al sottobosco artistico, che ha portato alle manifestazioni dello scorso novembre.
La Grecia, il Paese più colpito dalla crisi del debito, dovrà rivolgersi all’Unione Europea per chiedere i 540 milioni di euro necessari a restaurare siti e monumenti archeologici e per rinnovare i musei, molti dei quali ultimamente sono stati costretti a chiudere i battenti.
Concludiamo citando alcune frasi dalla Lettera che Umberto Eco ha scritto al Ministro Tremonti: “In termini economici il Louvre, il Metropolitan Museum of Art, la Harvard University (e tra poco quella di Pechino) sono imprese che fanno un sacco di soldi. Credo che, bene amministrati come sono, facciano un sacco di soldi anche i Musei Vaticani. Un sacco di soldi potrebbero fare anche gli Uffizi o Pompei, e sempre mi domando come mai l’Italia, di cui si dice che abbia circa il 50% delle opere d’arte esistenti al mondo (per non dire del paesaggio, che non è male), abbia meno indotto turistico della Francia o della Spagna, e naturalmente di New York. C’è qualcosa che non funziona, qualcuno che non sa come far soldi (e mangiare) con la cultura nazionale”. E conclude: “Non si mangia con l’anoressia culturale“.
Martina Gambillara
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