Biennale dell’immagine in movimento. Grande mostra a Ginevra
Ultimi giorni per andare a vedere un'edizione straordinaria della Biennale de l'Image en Mouvement 2021. A curarla sono il direttore del CAC, Andrea Bellini, e il collettivo di artisti DIS. Una dozzina di opere per una rassegna che non annoia affatto (lo avevate pensato!) e che gioca con intelligenza su un allestimento ad hoc per ogni video
È una storia lunga e stratificata quella della BIM – Biennale de l’Image en Mouvement di Ginevra. La sua fondazione risale al 1985 mentre l’attuale forma – una rassegna che si svolge al Centre pour l’Art Contemporain, il quale produce nuovi lavori per l’occasione – inizia il proprio corso nel 2014, quando Andrea Bellini ne assume la direzione artistica.
Quell’anno la curatela è affidata a Hans Ulrich Obrist e Yann Chateigné, che propongono un’edizione inaugurale e muscolare. Due anni dopo al comando c’è un trio femminile, con Cecilia Alemani – che fra poche settimane aprirà la “sua” Biennale di Venezia – affiancata da Caroline Bourgeois ed Elvira Dyangani Ose a offrire ai visitatori una rassegna malinconica e politicamente impegnata. Nel 2018 è lo stesso Bellini ad assumere il ruolo di curatore al fianco di Andrea Lissoni: l’immagine in movimento esce – anche letteralmente – dagli schermi e trasforma il CAC in un enorme ambiente immersivo.
Dopo un lasso di tempo più ampio causa pandemia, l’edizione 2021 vede ancora Bellini nelle vesti di curatore, stavolta in combo con il collettivo newyorchese DIS, attivo dal 2010 e composto da Lauren Boyle, Solomon Chase, Marco Roso e David Toro – qualcuno li ricorderà in quanto direttori della nona Biennale di Berlino nel 2016.
LA BIENNALE DI ANDREA BELLINI E DIS
La BIM immaginata dal duo o quintetto che dir si voglia è un ribaltamento concettuale dell’edizione precedente: non perché manchino gli spazi immersivi, tutt’altro, bensì perché la prospettiva è inversa, con lo schermo che non esplode ma resta in sé, intessendo un profondo legame con la scrittura. Quanto alla tematica, Bellini sottolinea come la sfida generale “non sia imporre un tema ma far collaborare gli artisti affinché si crei uno specifico Zeitgeist“. E questo è possibile quando l’ampia disponibilità economica permette di produrre opere ad hoc, senza dover scegliere qui e là fra ciò che già è disponibile sul mercato dei prestiti museali. Per capirci: su quindici opere esposte, tredici sono prodotte dal CAC, mentre a livello di luoghi espositivi, oltre alle sale del Centro, c’è anche uno spazio web e, in due stazioni ferroviarie, le megaproiezioni di Riccardo Benassi (presente al CAC anche in una toilette… al via la caccia al tesoro) e Giulia Essyad (il cui film, di un eclettismo notevole, fra Nathalie Djurberg e Sammy Baloji, è visibile anche al Cinema Dinamo al quarto piano del museo).
L’ALLESTIMENTO DELLA BIENNALE DE L’IMAGE EN MOUVEMENT 2021
Non c’è un tema ma c’è un titolo: A Goodbye Letter, A Love Call, A Wake-Up Song. “Tre tonalità emotive intrecciate fra loro“, commenta Bellini.
Un intreccio che si traduce in un allestimento che miscela in maniera misteriosa e lynchiana l’atmosfera di un albergo a più piani e più stanze con quella di un transatlantico benthamiano, dove gli oblò servono per guardare dentro e non fuori. (L’aura di mistero è potenziata, e non ridotta come potrebbe sembrare, dalle sculture di luce di GRAU disseminate lungo tutto il percorso.)
Ma cosa si vede in queste sale, in queste stanze che si dipanano nella penombra di tre piani del CAC? Innanzitutto ognuna di esse ha un allestimento differente, in sintonia o risonanza con l’opera proiettata. E si fa presto a dire proiezione! Ogni volta, infatti, il mezzo espressivo dell’immagine in movimento si declina in forme e formati diversi. Ci sono ad esempio i confortevoli divani del secolo scorso dai quali assistere alla puntata pilota della serie TV Byron & Shelley: Illuminati Detectives di Emily Allan & Leah Hennessey, in cui i generi si confondono, fluiscono le droghe, montano le cospirazioni e le ossessioni. Un’allucinata detective story e poi, a poche porte di distanza, si viene catapultati in una sala dotata di sedie con incorporato sostegno per poter prendere appunti, luci accese, tre monitor e un seminario di quattro ore che ci istruisce su come utilizzare le body-camera in dotazione ai poliziotti di Baltimora – anzi, Neutral Witness di Theo Anthony è il filmato del seminario che viene tenuto agli stessi poliziotti, di cui Anthony è un “testimone neutrale“, e noi di rimando, o forse, invece…
AULE STUDIO E SERIE TV
Prevedono un’aula anche il set e il plot del video Couture Critiques di Mandy Harris Williams. L’operazione è fra le più memorabili della BIM 21: prendere una celebre lecture di Edward Said (Representations of the Intellectual) e riscriverla seguendo l’impostazione sociopolitica dello show House of Style, che andava in onda negli Anni Novanta su MTV.
Torna invece il format delle serie TV (le troverete su Netflix? Improbabile) con i primi due episodi di The Restaurant, Season 2 firmate da Will Benedict & Steffen Jergensen. Stavolta niente sedute e la proiezione avviene sul muro nel quale è ricavata la porta, con annesso oblò, da cui si entra. Il plot gioca pesante sui tasti dell’assurdo, sviluppandosi in due location alternativamente: un ristorante nel quale prima di ordinare si viene interrogati e una giungla nella quale si registra un programma radiofonico che discute temi para-scientifici. Ah, dimenticavamo: siamo in un universo popolato da decine di specie differenti, tipo Star Trek o Star Wars.
ARTISTAR A GINEVRA: FUJIWARA E HENROT
Sui toni dell’assurdo plana anche Simon Fujiwara in Who is Who: protagonista è il personaggio cartoonesco (come l’allestimento) Who the Baer, tipico esempio di perturbante che titilla il senso di domesticità dell’osservatore per poi turbarlo, appena appena, e reinnescare la dinamica dall’inizio. Da notare la tecnica che miscela collage, stop motion e memestetica – citando il fortunato libro di Valentina Tanni –, alla ricerca dell’identità (perduta per sempre) del mezzo e del personaggio.
Saturday di Camille Henrot si insinua anch’esso nei territori dell’Unheimlich: lo fa utilizzando la tecnica del video in 3D (l’unico nella rassegna ginevrina) per sciorinare immagini modulate sul tema dell’acqua, tra clima, corpo e spiritualità, con un succedersi e un sovrapporsi di immagini che è ormai una sua cifra distintiva – e che rischia di diventare, in un futuro non troppo lontano, un manierismo autoriale?
ANIMALI A PROCESSO E STANZE DOVE SI GELA (LETTERALMENTE)
A proposito di video interspecie: Penumbra di Hannah Black, Juliana Huxtable e And Or Forever, nato come performance e qui presentato in forma di videoanimazione, vede protagonista un pangolino (eh sì, proprio lui, l’indiziato nell’affaire Covid-19) a rappresentanza degli animali. È sul banco degli imputati ma non parla, non può farlo, anche quando è chiamato a rispondere da accusa e difesa. La domanda che aleggia, anche alla fine dell’opera, è: la violenza è una invenzione umana?
Non l’avevamo specificato: il collettivo DIS è composto da artisti, e dunque qui sono presenti non solo in veste di curatori ma anche, appunto, di artisti. E lo sono con due video: Everything But The World è frutto di un lavoro semestrale con un pool di scrittori al fine di dar vita a questa storia naturale performativa, nel senso di opposta alla constatazione – insomma, una storia intesa come “strategia per cambiare la storia“. Si obietterà: come si cambia il mondo stando seduti a guardare un video? E infatti non ci si sta, perché l’allestimento prevede calde coperte riscaldate, sopra le quali tuttavia spira un vento gelido proveniente dal soffitto: impossibile resistere per più di qualche minuto! Il secondo video dei DIS è intitolato Circle Time e racconta un progetto iniziato nel 2018 nel quale si invitavano intellettuali, artisti e attivisti a sottoporre le proprie idee al più terribile degli stress test: spiegarle ai bambini.
DENTRO LE IMMAGINI
Si diceva all’inizio come questa Biennale sia giocata dentro le immagini, dentro il mezzo video, e di come gli allestimenti, paradossalmente, non facciano altro che sottolineare questa scelta. Il discorso vale anche quando gli artisti optano per il multicanale, poiché si tratta di una espansione prettamente filmica, che non si muove – o almeno, non prioritariamente – verso la praticabilità della scultura-video, quella che si osserva passeggiando e girandole intorno.
Così, restano avvinghiati alle immagini i tre schermi di Social Cohesiveness di Akeem Smith, con il supporto centrale che reca, su legno, la croce della bandiera giamaicana e che lavora egregiamente con il found footage (in particolare, i nastri che provengono dal dance club di famiglia a Kingston). Così, ancora più incredibilmente, riesce a restare adeso all’immagine in movimento il livestream di Telfar, TelfarTV; anche se gli schermi sono tanti, anche se sono di dimensioni diverse, anche se si passa da uno all’altro, da una cuffia all’altra, non è una installazione. Piacerebbe a Rosalind Krauss.
SANTA SANGRE: L’OPERA E LA VITA
A chiudere, Santa Sangre di Sabrina Röthlisberger Belkacem, “ritratto di una donna distrutta in otto canzoni“. In mezzo a tanto professionalismo propinatoci dal sistema dell’arte contemporanea, una buona dose di espressività che sgorga dalla pelle e dal sangue di chi la propone è un gran beneficio. Un beneficio che si chiama realtà – anche se il video è un fairytale.
– Marco Enrico Giacomelli
Ginevra // fino al 20 febbraio 2022
BIM’21 – Biennale de l’Image en Mouvement 2021
A Goodbye Letter, A Love Call, A Wake-Up Song
CAC – CENTRE POUR L’ART CONTEMPORAIN
Rue des Vieux-Grenadiers 10
https://bim21.ch/
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