In occasione dell’uscita per i tipi di Silvana Editoriale del volume Il libro di Padova con le foto di Vincenzo Castella (Napoli, 1952) e i testi di Salvatore Lacagnina, abbiamo chiesto all’artista napoletano che da molti anni vive a Milano di parlarci della struttura del libro, delle diverse carte utilizzate, del viaggio che, chi guarda, è chiamato a fare.
Raccontaci quale struttura hai dato al libro.
Ho dato vita a una sorta di struttura circolare. Ho scelto di partire e di tornare nell’orto botanico: questo è fondamentale per comprendere l’andamento del libro. L’andata e ritorno mi hanno obbligato a seguire la linea principale, che era vedere tutto in funzione di quello che avevo precedentemente visto. Ho eseguito le riprese in modo intenzionalmente frammentato lavorando contemporaneamente sull’inizio e sulla fine del libro.
Da lì il tipo di inquadrature, l’insistenza con cui ho cercato di creare questi particolari campi visivi. La struttura suggerisce un itinerario, non cronologico, ma piuttosto l’utilizzo di uno schema metodologico di conoscenza. Le diverse carte hanno la funzione di raffreddare, forse rallentare e comunque suggerire dei tempi di approccio diversi della narrazione anche attraverso la trasparenza.
In tutto il libro mi pare di avvertire il rapporto tra uomo e natura. Uomo come animale “colto”, quello che ha dato vita all’arte, che si è occupato di scienza e di natura, soprattutto nel Giardino dei Semplici. È questa una natura educata, che non prende il sopravvento, che recupera i suoi spazi.
Da più di due anni mi confronto con questo tema. La natura è come una cerniera dentro il nostro vissuto? Probabilmente sì. Da un punto di vista urbanistico è spesso così.
Mi interessa pensare alla natura senza vincoli di convenienza e funzionalità, né come creatore, né come creatura, ma come un testo da interpretare, in questo senso è da leggerne l’assidua presenza nella storia dell’arte.
La natura è un libro. Il potere della testualità qual è? Per me è quello di invitare a guardare ad altro. Sono la parola, l’immagine che suggeriscono un’altra direzione con un potere diverso.
UOMO, NATURA E FOTOGRAFIA
Mi vengono in mente il Seicento e un certo modo di guardare alla natura. In quell’epoca c’erano già gli obiettivi. È molto interessante la lettura che l’uomo dà della natura a seconda del momento storico in cui si trova a operare.
È interessante l’utilizzo degli strumenti come strumento e non in quanto attrezzi. Lo strumento come strumento musicale e non necessariamente solo come un attrezzo tecnologico funzionale ed efficiente. Penso a Giovanni Battista della Porta (inventore delle lenti) che era arrabbiato con Galileo, ma quest’ultimo aveva usato lo “strumento” nel modo e nella direzione giusta.
Nel progetto di Padova il punto non è solo la città, ma uno scenario quasi autonomo, contenitore di innumerevoli meraviglie tra cui il Giardino dei Semplici, che è uno dei più antichi d’Europa. Rappresenta la concezione della collezione della botanica. Finora non ho mai fatto lavori sulla natura libera, ma solo su quello che possiamo definire come natura in cattività, una fissazione tutta occidentale che risale al Settecento. La collezione come evento, come abitudine, come reiterazione. Nei musei c’è l’accumulo che troviamo nel Giardino dei Semplici.
Guardando le tue foto non si ha l’impressione di trovarsi in un orto botanico.
Tutte le fotografie che ho fatto sino a ora sono una specie di fondali. Non hai immediatamente la sensazione di essere in un orto botanico, ci si trova di fronte a un muro in cui lavorano e si intersecano figure vere e proprie. Possono essere piante importanti ma non solo. Il potere infestante della botanica rappresenta una delle sue pulsioni forti.
LA FOTOGRAFIA SECONDO CASTELLA
Mi interessa la scelta del formato panoramico delle fotografie (3:1) che avevi già utilizzato nel libro su Berlino, che trovo vicino a una concezione filmica. Mi sbaglio?
Quello di Berlino è un progetto di trent’anni fa, tutte le riprese sono state realizzate in un mese. È uno dei pochi lavori che ho fatto così. Sono immagini relative a un atteggiamento univoco. Mi interessa rispondere a quanto mi chiedi con le parole di Robert Bresson: “La ripresa è l’angoscia di non lasciare sfuggire nulla che in quel momento si intravede o che si vede appena. Non sono ancora immagini, sono solamente un richiamo, un campanello che ti suona nella testa, però sapendo che forse sono delle cose che intravedo e che non vedo e so che esistono e magari potrò rivedere solo più tardi”. Pensai allora che l’unica cosa sensata da fare trovandomi in un territorio sconosciuto o quasi sconosciuto fosse quella di definire una verticale dell’inquadratura per poi estenderla e osservare quali significati si potevano raggiungere.
Il tuo viaggio nell’arte non è oggetto di uno sguardo al centro, quanto piuttosto sui dettagli, che si tratti di Giotto, di Mantegna di Guariento o di Giusto de’ Menabuoi.
Le mie fotografie non vivono di centro e di dettagli. La vitalità del frame è l’utilizzo di tutto lo spazio, quindi non distinguo tra il corpo principale e i dettagli come accessori, anche i vuoti sono molto importanti. Voglio sottolineare che non trovo così emozionante guardare l’opera d’arte antica isolata e purificata negli spazi. Invece l’inserimento nel quadro di osservazione di elementi reali spuri provoca una reazione e un ribaltamento dello “spazio negativo” e dello “spazio positivo”. Da questo punto di vista, Giotto e Giusto sono molto più entusiasmanti, coinvolgenti e addirittura più divertenti di Disney e di qualsiasi Avenger.
‒ Angela Madesani
Salvatore Lacagnina & Vincenzo Castella – Il libro di Padova
Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2021
Pagg. 172, € 35
ISBN 9788836644704
https://www.silvanaeditoriale.it
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