Intervista a Daniel Eatock, l’eretico del graphic design
In mostra al CorrainiMAMbo artbookshop di Bologna, Daniel Eatock mette in scena il suo inte-resse decennale per la variabilità, andando alle radici della grafica
Dopo aver fatto tappa a Milano alla libreria 121+, la mostra Super Spectrum di Daniel Eatock (Londra, 1975) approda a Bologna al CorrainiMAMbo artbookshop. Eatock appartiene non solo anagraficamente a quella generazione di artisti inglesi le cui pratiche ruotano attorno a un’idea di neo o post concettuale, da Martin Creed a Jonathan Monk fino a Ryan Gander.
Il suo percorso fin dalla formazione è legato indissolubilmente al graphic design, il suo approccio però è quello di un eretico, di un avido sperimentatore che usa le sue profonde basi nei codici della disciplina per sovvertirla. Le sue opere infatti, già dalla seconda metà degli Anni Novanta, si dividono tra la citazione più o meno dichiarata di “classici” dell’avanguardia e il tentativo di giungere alla radice della prassi grafica. Dai disegni ottenuti tramite istruzioni di vago sapore Fluxus (Drink Drawing, 1997) alla discussione sull’idea di riproduzione e di riproducibilità (The world’s largest signed and numbered limited edition artwork, 2002), fino alle innumerevoli prove tecniche dedicate al colore. Con un’attenzione maniacale al procedimento, attraverso soluzioni che sembrano integrare calcolo e casualità, Eatock produce affascinanti composizioni astratte che portano le tracce della variabilità di assorbimento delle tinte sui supporti come nei Pen Prints, Pen Paintings o nei Felt-Tip Prints. Proprio alcune di queste serie sono presentate nella piccola e preziosa mostra di cui abbiamo voluto parlare direttamente con l’autore.
INTERVISTA A DANIEL EATOCK
Nella mostra Super Spectrum al CorrainiMAMbo artbookshop, il colore, oltre ad avere un ruolo centrale, è utilizzato nella sua materialità: si potrebbe dire che il colore viene esperito come sostanza. Da dove arriva questo percorso?
Mi piace lavorare con l’intero spettro dei colori. Nel caso dei pigmenti, se i colori vengono mescolati tutti insieme si ottiene il nero, nel caso della luce tramite sovrapposizione si può ottenere il bianco – se si uniscono invece pigmento e luce è possibile ottenere il grigio – un bellissimo paradosso “extra medium”.
C’è un’immagine che mi ha colpito molto, quella in cui si vede un grande foglio di carta appoggiato su file di pennarelli aperti e in equilibrio. Questo scatto esprime al meglio l’idea di processualità che sta alla base della mostra, non trovi?
I pennarelli in questa posizione assomigliano a delle candele. I pennini si comportano come stoppini. La carta aspira l’inchiostro dall’interno e i colori brillano come fiammelle.
LA GRAFICA SECONDO DANIEL EATOCK
Nei lavori presentati in mostra si nota un’alternanza di geometria e spontaneità, di rigide griglie e di sinuose espansioni. In che modo il pensiero teorico sulla grafica influenza la tua maniera di lavorare?
Il colore si materializza in tre modi diversi: gocciolatura, strisciatura, compressione, ciascuno in relazione al supporto che lo accoglie. Il posizionamento nel punto di contatto iniziale avviene nel momento in cui è impossibile prevedere l’esito finale, senza qualsiasi forma di pregiudizio.
Nel tuo Manifesto si legge anche “Trust the process / Allow concepts to determine form”. Queste righe rimandano a pensieri dadaisti e a sperimentazioni pittoriche (e non solo) d’avanguardia. Qual è il tuo rapporto con la storia dell’arte?
Tendo a collocare la mia pratica all’interno della tradizione dell’arte concettuale. Un tentativo di smaterializzare la ‘grafica’ – per me il punto focale non risiede nel risultato, l’attenzione si concentra semmai sul viaggio, anche se la destinazione non potrà mai essere raggiunta.
‒ Claudio Musso
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