Conoscere Michelangelo Buonarroti in 10 opere
L’artista, nato a Caprese il 6 marzo 1475, ha realizzato i più importanti capolavori della scultura, pittura e architettura del Rinascimento italiano. Eccone 10, spiegate
Scultore, pittore, architetto e poeta: Michelangelo Buonarroti fu uno degli “uomini totali” del Rinascimento. Nato a Caprese (Arezzo) il 6 marzo 1475 e morto a Roma il 18 febbraio 1564, Michelangelo ha realizzato alcune delle opere più famose e amate dell’arte occidentale, sia come scultore sia come pittore e architetto, diventando in giovanissima età un nome conteso e incensato in Italia e all’estero. Questa piccola selezione di opere sono alcune di quelle che hanno reso immortale l’artista simbolo della Firenze rinascimentale.
– Giulia Giaume
LA MADONNA DELLA SCALA
Questo è il primo lavoro pervenutoci di Michelangelo, donato dall’artista a Cosimo I de’ Medici. Databile circa al 1491 e menzionato nelle Vite di Vasari, la Madonna della Scala è un omaggio alla tecnica scultorea ideata da Donatello, lo “stiacciato”: questo garantisce la percezione della profondità con con variazioni millimetriche di spessore. Il motivo della scala è arricchito da un corrimano che garantisce una fuga prospettiva.
LA PIETÀ VATICANA
Eseguita tra il 1497 ed il 1499 da un giovanissimo Buonarroti, la più famosa delle molte Pietà michelangiolesche è conservata nella basilica di san Pietro in Vaticano a Roma. L’artista la realizzò per il cardinale francese Jean de Bilhères, ambasciatore di Carlo VIII presso papa Alessandro VI, e inizialmente era destinata alla cappella di Santa Petronilla dove il cardinale trovò sepoltura. Considerato un capolavoro dell’arte occidentale, è l’unica opera che reca la firma del genio dell’aretino. Nel 1972 la statua venne presa a martellate da un turista australiano, che inferse quindici colpi prima di essere fermato e spezzò il braccio marmoreo della Vergine. Restaurata fedelmente, anche grazie ai numerosi calchi già realizzati, l’opera è da allora protetta da una teca antiproiettile.
IL DAVID
Databile tra il 1501 e l’inizio del 1504 il David di Michelangelo è uno degli emblemi del Rinascimento e simbolo di Firenze. La monumentale opera (ben 500 centimetri di altezza) – realizzata a partire da un blocco di marmo stretto e fragile, da cui un 25enne Michelangelo non si fece intimidire – ritrae l’eroe biblico e futuro re d’Israele nel momento mentre si prepara ad affrontare Golia. Inizialmente previsto per i contrafforti del Duomo, fu ritenuto troppo bello per essere posto così lontano dagli occhi, e venne collocato in Piazza della Signoria come simbolo della Repubblica fiorentina. La scultura è stata spostata nella Galleria dell’Accademia dopo molte peripezie, incluse un’aggressione anti-repubblicana, un fulmine e i tumulti del 1527. Anche questa statua fu martellata nel 1991, ma con danni molto più limitati.
LA MADONNA DI BRUGES
Databile tra il 1503 e il 1505, la Madonna di Bruges è l’unico lavoro del maestro rinascimentale uscito dall’Italia mentre questi era ancora in vita. Ha molte caratteristiche in comune con la Pietà Vaticana, da cui differisce però per la vitalità da cui è caratterizzato il bambino, che sembra voler uscire dal complesso marmoreo. Commissionato dalla famiglia di mercanti fiamminghi Mouscron, clienti del banchiere Galli (protettore di Michelangelo), fu spedita segretamente nei Paesi Bassi perché realizzata in un momento di grandi commesse, durante e subito dopo la conclusione del celebratissimo David. Oggi la scultura si trova nella Chiesa di Nostra Signora a Bruges, dopo essere stata spostata a Parigi, trafugata dai nazisti e ritrovata in Austria dai cosiddetti Monuments Men.
IL TONDO DONI
Il Tondo Doni è un dipinto a tempera su tavola tonda dal diametro 120 centimetri databile intorno al 1503-1504, il cui soggetto centrale è la Sacra Famiglia, realizzata come se fosse un gruppo scultoreo. L’ipotesi più attendibile sulla sua commissione è connessa all’omonimo banchiere, che l’avrebbe richiesto in occasione delle nozze con Maddalena Strozzi. Conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze nella cornice originale, probabilmente disegnata da Michelangelo, è l’unica opera su supporto mobile finita attribuibile con certezza all’artista. Il dipinto, tra i più emblematici del Cinquecento italiano, supera l’unità prospettica quattrocentesca falsdo le dimensioni dei protagonisti del dipinto, ritraendoli come più grandi rispetto agli elementi di contorno: è con quest’opera che Michelangelo pone le basi per quello che sarà il manierismo cinquecentesco.
LA TOMBA DI GIULIO II
Dopo la fama raggiunta da Michelangelo con il suo David, l’artista fu contattato da papa a GiulioII per la realizzazione della propria tomba da collocare nella Basilica di san Pietro. Il primo progetto prevedeva una piramide formata da una base rettangolare, sormontata da tre basi della stessa forma sempre più ristrette, con circa 40 statue inclusa quella del papa, da porre sulla sommità. Nonostante apparentemente il progetto piacesse al della Rovere, gli altri artisti presenti nella cerchia papale non presero di buon occhio la commessa esterna e cominciarono a distogliere l’attenzione del Papa dal progetto del Buonarroti mentre questi andava a reperire il marmo. Deluso dall’interesse scemato, Michelangelo tornò a Roma solo nel 1512, dopo aver chiarito l’equivoco con il Papa, che gli offrì la possibilità di decorare la volta della Cappella Sistina e di continuare il progetto per la tomba. Dopo la morte del pontefice nel 1513, le spese furono tagliate drasticamente e il progetto venne modificato più e più volte, fino alla stipula nel 1942 di un contratto avallato da Paolo III dopo il completamento del Giudizio Universale: questo comprendeva un bellissimo Mosè adirato al centro del complesso – rappresentato nel momento in cui il suo popolo inizia a venerare il Vitello d’Oro – e la presenza delle statue di Lia e Rachele.
LA CAPPELLA SISTINA, TRA VOLTA E GIUDIZIO UNIVERSALE
Il ciclo di affreschi realizzati per la volta della Cappella Sistina fu commissionato a Michelangelo da papa Giulio II, che richiese la rappresentazione degli eventi biblici dalla creazione dell’uomo alla consegna delle tavole della legge a Mosè (andando a completare le storie di Gesù e Mosè già realizzate da Botticelli, Perugino, Ghirlandaio e altri). Michelangelo vi si dedicò tra il 1508 e il 1512 superando le difficoltà del dover dipingere appoggiato sulla schiena riempiendo circa 500 metri quadri di superficie, realizzando uno degli affreschi più belli della storia dell’arte e imprimendo nell’immaginario cattolico la propria visione, soprattutto per la rappresentazione divina nella Creazione di Adamo. Molti anni dopo aver completata la volta, a Michelangelo fu commissionato da Paolo III un affresco per la parete dietro l’altare della cappella che rappresentasse il ritorno di Cristo e l’inizio del Regno di Dio, lavoro che completò tra il 1535 e il 1541. Considerata una delle rappresentazioni migliori della parusia, l’ultima venuta alla fine dei tempi del Cristo, il Giudizio Universale di Michelangelo costituì un vero e proprio spartiacque della storia dell’arte e del pensiero umano: all’homo faber umanistico e rinascimentale, esaltato nella stessa volta qualche anno prima, subentra una visione angosciata e priva di ordine determinato scaturita dall’evolversi delle tensioni del XVI secolo.
LA CROCIFISSIONE DI SAN PIETRO
Paolo III doveva essere soddisfatto del Giudizio Universale perché appena concluso propose a Michelangelo un nuovo incarico, legato alla Cappella Palatina “parva” fatta costruire nel palazzo Apostolico. Qui l’artista realizzò due affreschi, la Conversione di Saulo e la Crocifissione di San Pietro. Terminata nel 1550 dopo enne peripezie – tra cui una salute cagionevole di Michelangelo (che non realizzerà più affreschi) e un incendio, oltre alla morte del committente – la Crocifissione raffigura il momento subito precedente al martirio del santo, già inchiodato a testa in giù sulla croce, come riportato nella Leggenda Aurea. L’ultimo commovente gesto di vita rivolto allo spettatore avviene in totale assenza del divino.
PIAZZA CAMPIDOGLIO
Michelangelo riprogettò piazza Campidoglio a Roma tra il 1534 e il 1538, facendo sì che guardasse verso il nuovo centro politico della città, la Basilica di san Pietro. La commissione, sempre di papa Paolo III, sembrava fosse dovuta alle condizioni di degrado del colle – già in epoca medievale caduto e rovina e rinominato “caprino” – giunto all’attenzione pubblica per il trionfo organizzato per le vie della città in onore di Carlo V. Michelangelo creò uno spazio aperto a pianta trapezoidale pavimentato su cui allineò le facciate dei palazzi – espandendo la prospettiva verso Palazzo Senatorio e facendo costruire Palazzo Nuovo – e ridisegnò Palazzo dei Conservatori per creare equilibrio con Palazzo Senatorio, a cui aggiunse una doppia scalinata.
LA CUPOLA DI SAN PIETRO
La mastodontica Cupola di san Pietro, alta 133 metri e dal peso di 14 tonnellate, si erge sulla città di Roma e sul Vaticano anche grazie al genio michelangiolesco, che ne ereditò a partire dalla fine del 1546 l’immane progetto (commissionato all’inizio del secolo) e i relativi vincoli costruttivi. L’incarico, arrivato durante il pontificato di Paolo III Farnese, trovò l’artista già settantenne, che però non si tirò indietro e ci lavorò fino alla morte. Alla sua morte nel 1564 la cupola era però incompleta – i lavori erano arrivati all’altezza del tamburo – e fu affidata a Giacomo Della Porta e Domenico Fontana, a cavallo tra i secoli XVI e XVII. Questo ulteriore passaggio creò una discontinuità artistica che ben esemplifica la transizione dall’architettura rinascimentale a quella barocca.
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