L’arte sfrangiata e il bisogno di verità
Che cos’è l’arte sfrangiata? E quale rapporto ha con la menzogna? Christian Caliandro approfondisce un tema dai risvolti fortemente attuali
28 febbraio 2022. L’arte sfrangiata non è consolatoria – rifugge anzi dall’idea stessa dell’arte come consolazione.
6 marzo 2022. Questa è un’epoca malata di retorica.
È come se l’arte ufficiale, istituzionale, avesse sempre bisogno di salire in cattedra per esistere e affermarsi, di recitare per così dire la parte dell’arte. Di non essere mai se stessa, in qualche modo, ma soltanto una versione di sé da esibire. E, invece, occorre fare sì che l’arte sia se stessa. (Quale è l’opposto della retorica?)
“Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimità, faccia la propria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna (certo non per inclinazione, ma per sfamare la famiglia, per educare i figli nello spirito della menzogna!), o convincersi che è venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei. (…) Certo, sulle prime sarà duro. Qualcuno si vedrà temporaneamente privato del lavoro. Per i giovani che vorranno vivere secondo la verità, all’inizio l’esistenza si farà alquanto complicata: persino le lezioni che si apprendono a scuola sono infatti zeppe di menzogne, occorre scegliere. Ma per chi voglia essere onesto non c’è scappatoia, neppure in questo caso: mai, neanche nelle più innocue materie tecniche, si può evitare l’uno o l’altro dei passi che si son descritti, dalla parte della verità o dalla parte della menzogna: dalla parte dell’indipendenza spirituale o dalla parte della servitù dell’anima. E chi non avrà avuto neppure il coraggio di difendere la propria anima non ostenti le sue vedute d’avanguardia, non si vanti di essere un accademico o un ‘artista del popolo’ o un generale: si dica invece, semplicemente: sono una bestia da soma e un codardo, mi basta stare al caldo a pancia piena” (Aleksandr Solženicyn, Vivere senza menzogna, Mondadori 1974, pp. 67-69).
LE CARATTERISTICHE DELL’ARTE SFRANGIATA
“Attraversare il muro”, come scriveva van Gogh, “attraversarlo con la lima, lentamente e con pazienza”, vuol dire perciò anche uscire a ogni costo dal solipsismo. Significa uscire dalla rappresentazione, dalla recita, quindi dalla menzogna. E sbucare dall’altra parte.
Essere se stessa, per l’arte sfrangiata, non vuol dire assolutamente annullare se stessa in quanto arte – troppo facile così –, ma vuol dire per esempio non accontentarsi della dimensione dell’opera da ‘esporre’ all’ammirazione incondizionata di un ‘pubblico’, e mettere in discussione un intero modello di sviluppo e di coesistenza. Mettere in discussione la distinzione tra successo e fallimento, il criterio dell’utilità e soprattutto quello del profitto. L’arte sfrangiata è un’arte personale, fatta letteralmente di nulla ‒ ha una storia (necessariamente) sotterranea e a lungo misconosciuta – e come sosteneva Jonas Mekas, è quell’arte “che si fa l’uno per l’altro, tra amici”: “… grossomodo cento anni fa, Dio decise di creare la cinepresa. E fece proprio così. Creò poi un regista, e gli disse: ‘Qui c’è uno strumento chiamato cinepresa. Vai a filmare e a celebrare la bellezza della creazione e i sogni dello spirito umano, e fai tutto divertendoti’. Ma al diavolo ciò non stava bene. Quindi mise un borsone di soldi davanti alla telecamera e disse ai registi: ‘Perché volete celebrare la bellezza e lo spirito del mondo quando potreste guadagnare con questo stesso strumento?’ Credeteci o no, tutti i cineasti si gettarono sul sacco dei soldi. Così il Signore si rese conto di aver fatto un errore. Quindi, circa venticinque anni dopo, per correggere questo suo stesso errore, egli creò i cineasti d’avanguardia, e gli disse: ‘Ecco la cinepresa. Prendetela e andate nel mondo e cantate la bellezza di tutta la creazione, e fate tutto divertendovi. Ma sappiate che farete fatica a farlo, e non guadagnerete mai nulla con questo strumento.’ (…) Nei tempi del gigantismo, degli spettacoli, delle produzioni cinematografiche da cento milioni di dollari, voglio parlare per i più piccoli e invisibili atti dello spirito umano: così sottili e così piccoli che muoiono quando vengono portati fuori sotto i riflettori. Voglio celebrare le piccole forme del cinema: la forma lirica, il poema, l’acquerello, l’tude, lo schizzo, il ritratto, l’arabesco, le bagatelle e le piccole canzoni da 8 mm. Nel tempo in cui tutti vogliono avere successo e avere qualcosa da vendere, voglio celebrare coloro che abbracciano il fallimento sociale e anche quello quotidiano pur di inseguire l’invisibile e le cose personali che non portano né denaro né pane e non fanno la storia contemporanea, ma neppure la storia dell’arte o qualsiasi altra storia. Io voglio sostenere l’arte che si fa l’uno per l’altro, tra amici” (Jonas Mekas, Anti-100 Years of Cinema Manifesto, American Center, Parigi, 11 febbraio 1996).
‒ Christian Caliandro
LE PUNTATE PRECEDENTI
Arte sfrangiata. Che cos’è e perché è importante oggi
L’arte sfrangiata e il suo rapporto con la nostalgia
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