Storia di una fotografia mai scattata. Il libro del fotoreporter Valerio Bispuri
Pubblichiamo in esclusiva il primo capitolo di “Dentro una storia”, il libro di Valerio Bispuri che racconta la sua attività di fotoreporter. Il volume prende avvio con la storia di una fotografia non scattata: è sempre giusto puntare l'obiettivo e fare clic?
Da oltre vent’anni Valerio Bispuri (Roma, 1971) gira il mondo con la sua macchina fotografica appesa al collo. Ad attrarlo sono soprattutto regioni e Paesi del globo dove le disparità sociali scavano solchi ed erigono barriere. Così è stato ad esempio in America Latina (dove il fotografo ha trascorso diversi anni della sua vita, puntando l’obiettivo verso gli abitanti dei barrios argentini), Mali, Africa e Italia (tra i lavori più apprezzati ricordiamo la serie di scatti all’interno delle carceri di Rebibbia, Poggioreale e Regina Coeli).
A raccontare la sua attività di fotoreporter, conducendoci tra le immagini più iconiche realizzate nell’arco della sua carriera, è ora lo stesso Bispuri, da pochi giorni in libreria con il volume Dentro una storia: un libro che è in parte autobiografia, resoconto esistenziale di un fotografo che “pasolinianamente getta il proprio corpo nella lotta” (come si legge nella prefazione di Marco Damilano); e in parte compendio tecnico, cassetta degli attrezzi messa a disposizione di ogni persona che voglia intraprendere questo mestiere.
IL REPORTAGE FOTOGRAFICO SECONDO VALERIO BISPURI
Come nasce una storia? Come si conduce un reportage fotografico? Quale distanza deve mantenere un fotografo rispetto a ciò che sta documentando? Sono solo alcune delle domande presenti nel volume, in libreria per Mimesis Edizioni.
Scorrendo le pagine del libro, l’autore ci conduce nel mondo degli ultimi, dei dimenticati. Si passa dall’inchiesta sulla situazione carceraria in Sudamerica, confluita poi nel pluripremiato progetto Encerrados, alla documentazione della malattia mentale e del suo trattamento nei Paesi africani; dalle storie provenienti dalla periferia argentina alle vite bruciate dal paco, “una droga micidiale che in pochi mesi distrugge il sistema nervoso e porta alla morte”.
Il testo che segue è il primo capitolo del libro di Valerio Bispuri, e narra la storia di una fotografia mai nata. (- Alex Urso)
DENTRO UNA STORIA, IL LIBRO DI VALERIO BISPURI
Ci sono fotografie che non ho scattato, immagini che hanno sospeso la mia emotività e il mio contatto con la realtà.
Era il 2008 quando ho conosciuto Juan, un bambino di 8 anni dai grandi occhi neri. Ero a Buenos Aires per lavorare a un progetto sulla diffusione di una droga terribile, chiamata “paco”, nelle periferie devastate al limite della città, dove gli animali si mischiano alla polvere delle strade di terra e fango che un po’ di pioggia basta a inondare.
A Lomas de Zamora il tempo è relativo e la notte diventa rabbia, bisogno di nascondersi, di rubare, di drogarsi, di perdersi senza essere visti. Le strade sono nere e silenziose. A trecento metri dalla baracca di Juan, due volte a settimana, alle otto della sera, apre il più grande mercato illegale del Sudamerica, la Salada, una serie di capannoni che si estende su una superficie pari a venti campi da calcio dove lavorano oltre seimila persone, con un fatturato di nove milioni di dollari. Qui, al tramonto del mercoledì e della domenica (i giorni cambiano periodicamente), arrivano decine di camion provenienti da tutta l’Argentina, ma anche dal Cile, dal Paraguay, dall’Uruguay, e allora inizia l’inferno della Salada: tra le bancarelle e i cani randagi, i ragazzini fumano il paco o tirano la cocaina, gli adolescenti si prostituiscono per quattro spicci e in bar nascosti allo sguardo si beve, si urla e si controlla la Salada con le pistole. Si spara tra bande e spacciatori e spesso qualcuno muore tra vestiti contraffatti e silenzio.
Quando, una notte, sono entrato alla Salada con la macchina fotografica, ero accompagnato da due specie di gorilla alti quasi due metri, ma non ero comunque tranquillo: gli occhi addosso, strani rumori, la pioggerellina senza sosta sui teloni del mercato, i colori velati dalle luci dei neon… La macchina fotografica era nascosta dentro a una borsa di stoffa tra alcuni vestiti appallottolati e la tiravo fuori con gesti rapidi. Lo scatto era veloce, non potevo mai guardare nell’obiettivo, pochi secondi per cogliere una scena: una bambina che corre con le lacrime agli occhi, due peruviani che litigano per lo spazio della loro bancarella, i cani sporchi affannati a cercare qualcosa da mangiare…
La Salada termina alle prime luci dell’alba, quando il sole inizia a illuminare e i camion ripartono pieni di merce, i bar chiudono e il caos di sporcizia e terra accumulata resta lì a marcire per giorni.
Juan aveva vissuto la sua infanzia tra baracche, angoli bui e il rumore della notte. Gli piaceva correre e giocare a pallone. Della droga sapeva ancora poco. La madre invece era una spacciatrice di paco, una droga micidiale che in pochi mesi distrugge il sistema nervoso e porta alla morte. Il paco viene fatto con i residui della cocaina, si fuma e il suo effetto dura solamente pochi secondi: è rovinoso, venti volte più forte di una sniffata di coca. La sua forza sta nel costare molto poco; una dose ancora oggi si paga pochi pesos (poco meno di due euro) e questo lo rende accessibile a chiunque.
Appena si fuma il paco, il volto si deforma come schiacciato da una valanga di pietre, le braccia diventano meccaniche. Con il tempo si perdono i denti e i muscoli si atrofizzano, non si dorme per notti, non si mangia più nulla, si diventa lupi famelici sempre a caccia di una dose. E presto si perde il senso della realtà, il controllo di cosa succede, di quello che esiste. Qualcuno muore cadendo da un ponte pensando di scendere i gradini di una scala. La giornata inizia a essere scandita dai tempi della droga, che decide e interrompe la comunicazione con il mondo esterno.
Juan, però, tutto questo non lo sapeva; la madre invece sì; preparava le dosi di paco in bustine nere e le lasciava sul tavolo da pranzo come se fossero state delle caramelle. Questo è stato fatale. Un pomeriggio d’estate Juan ha pensato che quelle bustine fossero davvero caramelle e ne ha ingerite tre dosi. Il suo corpo si è sbriciolato, il sistema nervoso non ha retto e lui è rimasto paralizzato. Quando l’ho incontrato era pelle e ossa, veniva nutrito con una cannuccia, i suoi grandi occhi neri si muovevano all’impazzata: era l’unico modo che aveva per comunicare.
Intorno al suo lettino di legno e stoffa lacerata c’erano le foto di quando giocava a calcio. Le ho guardate, mi sono girato verso Juan, e non ho scattato. Non riuscivo a bilanciare quello che sentivo in quel momento con quello che vedevo nel mirino della macchina. Le emozioni mi sovrastavano e non lasciavano spazio alla concentrazione, all’elemento fondamentale che è l’inquadratura di quel che sentivo dentro e non solo di ciò che vedevo fuori. Poi quell’immagine, forse forte esteticamente, non aggiungeva nulla a quel che stavo raccontando; anzi, spostava la storia su un fronte completamente diverso.
‒ Valerio Bispuri
Valerio Bispuri – Dentro una storia. Appunti sulla fotografia
Mimesis, Milano 2022
Pagg. 150, € 14
ISBN 9788857586793
www.mimesisedizioni.it
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