Come sono messi gli artisti italiani all’estero? I numeri in un report
Presentato a Roma il rapporto che racconta quanto è riconosciuta l’arte italiana all’estero. Tra gli anni ’50 e ’60 ci siamo. Ma le ricerche più recenti?
Il tema del riconoscimento degli artisti italiani all’estero è tema del report, presentato a Roma a Palazzo Bonaparte, Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte italiana?, una ricerca condotta da BSS Lombard Art + Culture, con il supporto di Arte Generali e Art Price e firmata da Franco Broccardi e Irene Sanesi per BSS, Silvia Anna Barrilà, Maria Adelaide Marchesoni e Marilena Pirrelli, queste ultime penne del Sole 24 Ore ed esperte di mercato dell’arte e collezionismo. L’oggetto della ricerca è dichiarato fin dal titolo: “la visibilità”, si legge, “dell’arte italiana contemporanea a livello internazionale. Lo scopo non è esaltare un concetto di italianità nel contemporaneo, soprattutto in un mondo globalizzato in cui il concetto di nazionalità è quanto mai sfumato, quanto analizzare il funzionamento del sistema di sostegno alla produzione artistica contemporanea nel nostro paese”. Il report è presentato inoltre come un prodotto non esaustivo, ma come un primo passo per ulteriori approfondimenti.
COME È STRUTTURATO IL REPORT SULL’ARTE ITALIANA
La ricerca si compone di due parti. La prima mette insieme 24 interviste a curatori e direttori di museo (il campione iniziale era più ampio, contando 69 persone coinvolte). Tra i nomi citati troviamo naturalmente Cecilia Alemani, Ilaria Bonacossa, Sara Dolfi Agostini, Fabio Cavallucci, Andrea Lissoni, Milovan Farronato, Giacinto di Pietrantonio, Angela Vettese, ma anche un Cesare Pietroiusti nella doppia veste di artista e presidente uscente di una importante istituzione romana. Nelle interviste si chiede di fare nomi e cognomi, indicando chi sono gli artisti viventi già riconosciuti all’estero, quali quelli sottovalutati, e limiti e potenzialità del sistema dell’arte italiana, con un’atmosfera però tra domande e risposte che fa già presupporre una scarsa riconoscibilità dell’arte italiana sulla piattaforma internazionale, lasciandosi quindi andare ad un tentativo di analisi di quali che sono le motivazioni. Dando ovviamente per scontato che questo riguarda solo gli artisti contemporanei e non il fortunatissimo mercato dell’arte italiana tra gli anni ’50 e ’60. “Ciò che è carente in Italia”, spiega ad esempio Pietroiusti, “è un tessuto di istituzioni formative con prospettive di ricerca avanzate, sperimentali, interdisciplinari e, ovviamente, anche dal respiro internazionale. Qualcosa del genere lo ha rappresentato il corso di arti visive dello Iuav, specie al suo inizio. Ma è necessaria una svolta forte in senso, ripeto, interdisciplinare, che faccia capire che la ricerca artistica è il grimaldello che può aprire tutti gli altri saperi, dare nuovo significato alle tecniche e ai linguaggi più diversi. Cosa che, mi sembra, i giovani più curiosi e meno convenzionali fanno, altrimenti, “da soli””. Mentre per Andrea Lissoni, attualmente alle redini dell’Haus der Kunst di Monaco l’anello debole sta “nell’educazione. La qualità del sistema educativo è purtroppo bassa e pochi che potrebbero diventare artisti hanno i mezzi per permettersi esperienze di formazione rilevanti all’estero in scuole innovative come – restando in Europa – Basilea, Ginevra, Francoforte o Londra”.
REPORT SULL’ARTE ITALIANA: L’ANALISI DEI DATI
La seconda parte della ricerca, invece, pone il focus sull’analisi dei dati, costruendo una mappatura della presenza dell’arte italiana all’estero. Chi sono ad esempio gli artisti italiani più presenti nei musei internazionali (laddove la presenza è indicata dal numero di opere in collezione, le mostre personali e collettive cui si è partecipato?). Naturalmente “il podio” è occupato da Maurizio Cattelan, seguito da una Vanessa Beecroft che pur non può vantare in palmares un solo show abroad e poi l’italo tedesca Rosa Barba, classe 1972, Luisa Lambri (Como, 1969), Monica Bonvicini (Venezia, 1965), residente da anni a Berlino, Tatiana Trouvé, nata a Cosenza nel 1968, ma di fatto parigina, Enrico David (Ancona, 1966), residente a Londra, Diego Perrone (Asti, 1970), Francesco Vezzoli (Brescia, 1971). Un elenco che indica un quadro generazionale molto chiaro e che comunque, fatte alcune eccezioni, premia artisti che hanno scelto di vivere all’estero parzialmente o definitivamente, costruendo da soli, più che grazie ad uno strutturato sistema nazionale a supporto la propria presenza “fuori”. Interessante è anche l’osservatorio su un campione di 18 biennali internazionali con solo 54 artisti del Bel Paese presenti di cui 40 under 1960 e una percentuale dal 2,6 all’11,9 % di presenza degli artisti italiani alla Biennale Arte di Venezia dal 2007 al 2019, con un incremento nell’edizione 2022 curata da Cecilia Alemani (12% sul totale degli invitati). Per quanto riguarda la copertura mediatica globale, l’Italia si piazza al quinto posto, in termini di copertura di notizie o approfondimenti dedicati alla creatività dello Stivale.
ARTISTI ITALIANI SUI MEDIA GLOBALI
Ma l’asticella cala drasticamente se “ci occupiamo degli artisti nati dopo il 1960 la cui quota di copertura mediatica arriva appena all’1,87% a confronto della forza degli americani, inglesi, cinesi, giapponesi e tedeschi, peggio di noi fanno solo gli spagnoli”, commentano gli autori del rapporto. Degli under 1960 gli attualmente più “chiacchierati” sono Gian Maria Tosatti, Davide Quayola, Edoardo Tresoldi, Fabio Viale, Marinella Senatore, che con la sfilata Dior a Lecce ha avuto un momento di sovraesposizione. E il report prosegue analizzando la presenza degli artisti italiani nei musei, nelle mostre, nelle gallerie internazionali, costruendo una mappa geografica dove Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia sono i paesi di maggiore diffusione della nostra arte, il turn over nelle aste, con un fortissimo Cristiano Pintaldi. E poi ancora le attività di Italian Council, degli Istituti Italiani di Cultura e così via.
REPORT SULL’ARTE ITALIANA ALL’ESTERO: LE CONCLUSIONI
Quali le conclusioni di questa articolata ricerca? L’arte italiana non è invisibile, ma stando ai pareri e alle opinioni raccolte è “l’assenza di una strategia integrata ed efficace delle istituzioni italiane per la promozione del contemporaneo all’estero e di una sinergia tra istituzioni italiane ed estere”. Inoltre, durante e dopo la crisi pandemica sono mancate politiche economiche in grado di dare un supporto al sistema delle arti visive, “mancando un riconoscimento giuridico della professione artistica e delle professionalità correlate. Andrebbero intraprese iniziative di natura fiscale con l’obiettivo di dotare il sistema di maggiore trasparenza e, nel contempo, di rendere più fluido il trasferimento delle opere”. Infine, “ciò che a parere unanime degli intervistati conferisce visibilità all’artista è l’esperienza di studio e di lavoro maturata all’estero, che permette di creare una rete di rapporti internazionali con curatori, gallerie e musei”, spiegano i redattori. Il quadro sembra essere dunque ancora quello di un paese dal quale è ancora necessario partire. E senza togliere nulla alla necessità di viaggiare e di una mobilità di competenze, opere ed energie, la pandemia ha reso tutto più difficile. Da qui è necessario fare un punto e ripartire.
– Santa Nastro
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