Nell’era del design management
Le persone non chiedono più al mercato risposte a dei bisogni, ma proposte di sviluppo di senso per le loro vite. Che non sono riconducibili a nessun target. Al di là del marketing e del prodotto, il design management risponde a questa nuova esigenza di consumo.
Il design vive oggi una situazione di alta turbolenza semantica: i prodotti non si cambiano più perché smettono di funzionare, ma perché smettono di significare. Ciò che fa muovere il mercato, infatti, non è il mercato stesso, ma l’esigenza di significato che i clienti (le persone) cercano nei prodotti. Un cittadino di un Paese industrializzato si trova oggi esposto a più di tremila messaggi commerciali al giorno. Ne segue che – per mantenere la percezione di un universo di coerenza – la faglia che passa tra ciò che esso ha e ciò a cui aspira non si colloca più tra l’avere e l’essere, ma si ridistribuisce lungo una traiettoria individuale in cui i prodotti si possono integrare solo se percepiti come proposte di senso per il quotidiano lavoro di costruzione della propria identità. È questo che gli oggetti devono fare, ed è a questo che le strategie aziendali devono puntare. Per far fronte alle dinamiche non lineari del consumo “biografico” nel XXI secolo occorre andare, come diceva Pelé, non dove si trova la palla ora, ma dove la palla sarà: sta così prendendo forma un nuovo modello di organizzazione aziendale, il design management, che adotta l’orientamento al possibile del design come funzione strategica dell’intera azienda (e non più solo come estetica del prodotto).
L’innovazione a getto continuo del mercato, fondata sulla precoce obsolescenza semantica dei prodotti, mantiene il consumatore in uno stato di costante sovreccitazione, investendolo con una tempesta di segni contraddittori che lo strattonano da un lato con inviti seducenti e dall’altro con inviti contrari, ma altrettanto seducenti. Inserita in questa dinamica schizofrenica, la persona che sta dietro al consumatore rischierebbe in ogni momento di vedere lacerata la propria identità. Il design “proattivo” promosso dal design management interviene per dialogare con questo consumatore/persona, suggerendogli proposte di significato da inglobare nella propria evoluzione di vita.
Fornendogli cioè – attraverso il continuo ricambio semantico dei prodotti – “brani” di costruzione biografica con i quali contrastare il rischio di liquefazione identitaria. Non arroccandolo sull’esistente, ma proponendogli il possibile.
Il motivo per cui i clienti acquistano smartphone con galassie di app, o divani che non hanno la forma di un divano, non ha infatti niente a che vedere con la vecchia contrapposizione tra essere e avere. Si tratta piuttosto di divenire: si compra una lampada “di design” non per illuminare meglio una stanza, ma per lo stesso motivo per cui si guardano le stelle, per il portato di senso che questi “oggetti” assumono nello specifico vissuto dell’individuo. Nel divenire ciò che si è.
I modelli di management (neo)classici, basati sull’assunto che chi ieri ha comprato rosso domani comprerà ancora rosso, non sono più attendibili. Per punteggiare con i prodotti le traiettorie individuali delle persone non basta fornire risposte, ma occorre ideare proposte di sviluppo di senso perfettamente concepibili dal design, ma del tutto opache ai sondaggi di mercato, orientati per metodologia al passato o, al più, al presente.
È quanto hanno capito per primi marchi storici del design italiano come Alessi, Cassina, Moroso, Edra, Kartell, Foscarini, o più recenti come Lago, che votandosi all’innovazione semantica proattiva hanno segnato uno scarto decisivo nei confronti dei modelli di management basati semplicemente sull’esistente. Come spiegano Roberto Verganti e Claudio Dell’Era, del Politecnico di Milano, “se nell’approccio technology push le modifiche al design di un prodotto sono determinate da miglioramenti nelle tecnologie e nelle funzionalità, e nell’approccio market pull il design asseconda i consumatori rispondendo a richieste di prodotti con un’estetica maggiormente alla moda, l’approccio adottato dalle imprese del design italiano (design push) mira a proporre nuovi significati e messaggi di prodotto andando ad agire sugli aspetti semiotici e semantici di un prodotto”.
Né il management affermativo tarato sul prodotto, né quello reattivo tarato sui bisogni statici rilevati dal marketing, risultano quindi sufficienti. Il plus strategico è oggi dato da un management dell’innovazione semantica capace di partecipare proattivamente al quotidiano lavoro di presidio e costruzione “sensata” dell’identità del cliente/persona, mutevole perché “viva”. E per capire (e fare) questo, ci vuole il design.
Stefano Caggiano
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