Fausto Pirandello
una mostra dedicata al celebre pittore italiano Fausto Pirandello, figlio del grande drammaturgo.
Comunicato stampa
La Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia ospiterà fino al 5 maggio 2022 una mostra dedicata al celebre pittore italiano Fausto Pirandello, figlio del grande drammaturgo. La personale, curata dall’esperto gallerista Giuseppe Benvenuto, affiancato dalla storica dell’arte Sara Maffei, verrà inaugurata sabato 2 aprile ed intende delineare un’attenta fisionomia dell’evoluzione pittorica di uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, le cui opere hanno dato una voce nuova e moderna al dolore e alla gioia del vivere.
Nato a Roma alla fine dell’Ottocento, negli anni Venti del secolo successivo Fausto Pirandello frequenta la Scuola d’Arte agli Orti Sallustiani di Carena, Selva e Amato, esercitandosi a dipingere dal vero figure, paesaggi e nature morte in cui la tradizione incontra la modernità. Durante i mesi estivi, i corsi si svolgono nella natura di Anticoli Corrado, paese molto popolare fra gli artisti e i letterati di fama internazionale dell'epoca. È in questo borgo laziale che Pirandello apre il suo primo studio di pittura, trovandovi ispirazione per la maggior parte delle composizioni di paesaggio, ed incontra la modella di posa Pompilia D'Aprile, che diventa sua moglie e madre dei suoi figli. Pompilia è centrale per la carriera del pittore romano: non solo la sua figura è presente in numerosi ritratti e nudi, caratterizzati da un intenso erotismo, ma lo guida anche nelle decisioni più ardue, essendo la stessa dotata di notevoli capacità manageriali. Inoltre, è solita recarsi periodicamente in piccoli negozi di antiquariato e chincaglierie, recuperando oggetti bizzarri da proporre al marito per le sue composizioni di nature morte[1], esemplificate dall’opera intitolata “Natura morta con sedia” (1955), olio su cartone visionabile presso la Contemporanea Galleria d’Arte.
Permeato di fascino e mistero, Anticoli Corrado attira a sé personalità alla ricerca di modelli pittorici di peculiare bellezza, fra cui Felice Carena – maestro di Pirandello – il quale, in una corrispondenza con il critico d’arte Lionello Venturi, riferisce della insostituibilità delle modelle anticolane e come l’atmosfera del borgo apporti benefici alla sua arte: «Qui in Anticoli troverò più facilmente tra le contadine un tipo adatto, che a Roma mi fu impossibile […] in questo paese […] lavoro più sereno»[2]. In questo ambiente, in cui si dipingono scene di vita contadina, paesaggi e nudi, studiati con una nuova sensibilità pittorica che guarda in maniera velatamente nostalgica ai maestri del passato, Pirandello realizza le sue prime composizioni con nudi in prospettiva, fortemente careniane nelle scelte cromatiche. Reso vigoroso dalla sua tipica luce vivida e intensa, nell’antico borgo viene così a crearsi, fra le due guerre, un cenacolo artistico, frequentato dalle più influenti personalità dell’epoca, tra cui Capogrossi e Cavalli. Rispetto alle ricerche sui toni di questi ultimi, Fausto Pirandello si concentra maggiormente sul disegno, rendendo le figure monumentali, influenzato dal suo antico interesse per la scultura. Come informa lo storico dell’arte Manuel Carrera, sono molti gli spunti derivati da Anticoli Corrado per l’arte pirandelliana: in primis il paesaggio di campagna bruciato dal sole estivo, ineffabile e penetrante, la natura aspra, quasi inospitale e piena di contrasti, come emerge in uno scritto in cui l’artista, nell’atto di compiere una passeggiata con suo padre, descrive «le famiglie dei ghiri in corsa sui rami praticabili di quei nocchi contorti […] e poi il volo dei merli tra canna e canna, che al primo richiamo si faceva domestico, e l’abbeverarsi della faina appuntita, scattante, e l’armeggiare dei rospi scosciati sulle foglie sommerse»[3]. In secondo luogo, i modelli per i suoi nudi, la cui ruvida fisicità è resa mediante ricche pennellate fortemente materiche, in grado di trasmettere sensualità e notevole introspezione psicologica.
Nel 1925 partecipa alla Biennale di Roma con le “Bagnanti”, e a quella di Venezia del 1926 e dal 1932 al 1942. Alla sua epoca, trattare il tema delle bagnanti, come egli stesso afferma, «è quanto sembrare di voler restare in una consuetudine di valori tradizionali di una pittura non prevenuta di una gerarchia nell’ordine dei contenuti; ossia di tutta quella parte della pittura sfuggente ad una natura di contenuti impropriamente per l’arte detti morali e, propriamente, estensivi dell’arte»[4]; tuttavia, per lui non si tratta di una ricerca di contenuti, quanto di una sazietà delle forme, di un soggetto, del quale non tratta niente più del suo «sentimento umano del deprecato disfarsi della realtà nel numero e nella materia; realtà percepibile e definibile appena come movimento ed impulsi, o del suo consistere, semmai, come elemento di natura»[5].
Sul finire del secondo decennio, trasferisce a Parigi il suo studio, aprendosi a nuove soluzioni pittoriche: pur mantenendo una rappresentazione scabra della realtà, resta fortemente affascinato dalla stesura pittorica cubista. Nella capitale francese frequenta gli Italiens de Paris, si confronta con le opere di Cézanne, dei cubisti e dei pittori dell’École de Paris e allestisce la sua prima personale presso la Galerie Vildrac (1929).
Nei primi anni Trenta torna a Roma, lavorando in uno studio con vista sui tetti della città, panorama dal quale traggono ispirazione diverse opere, tra cui l’olio su tavola “Tetti” (1939), parte anch’esso dell’esposizione foggiana.
Qui nella capitale, assieme a Capogrossi e Cavalli, giovani pittori che, come lui, hanno mosso i primi passi con Carena, diviene uno dei protagonisti della Scuola Romana: una delle più importanti novità del panorama artistico contemporaneo, la cui etichetta storiografica è fornita dal critico d’arte francese Waldemar-George, il quale parla per la prima volta di “jeune École de Rome”. Obiettivo di questo gruppo di artisti, al quale si unisce in seguito anche il giovane e vivace Cagli, è la ricerca di un incontro tra la modernità del linguaggio post-cubista e l’arte antica, conservando un linguaggio visivo personale e riconoscibile per ognuno dei protagonisti. Pur collocandosi fra gli esponenti di questa nuova tendenza, Pirandello continua a mantenere la propria individualità ed originalità pittorica, orientata verso un realismo del quotidiano che, attraverso una materia pittorica corposa e pesante, rivela anche gli aspetti più spiacevoli della realtà. Nel dopoguerra segue la necessità di un cambiamento che porta al graduale spegnimento del cenacolo anticolano.
A partire dagli anni Cinquanta, Fausto Pirandello evolve il suo stile, assorbendo le suggestioni dei modelli cubisti di Braque e Picasso, come testimoniano due oli su cartone, entrambi visionabili presso la Galleria pugliese: “Omaggio a Giotto” (1954), in cui si avverte il forte il riferimento a una sintassi cubista nelle tassellature del colore e nella scomposizione geometrica della figurazione; e “Composizione con figure” (1964-65), in cui le campiture intensamente colorate, rese con forme sintetiche entro uno spazio frantumato, propongono una lettura bidimensionale dello spazio che azzera l’effetto di profondità.
Dal dialogo con l’arte del suo tempo - da De Kooning all’informel francese – si fanno sempre più frequenti piani spezzati e geometrie espressioniste, giungendo a originali soluzioni formali tra astrazione e figurazione. L’interesse maturato da tempo verso l’avanguardia cubista ed espressionista si orienta verso l’astratto-concreto venturiano, senza tuttavia rinunciare ad un’impostazione figurativa[6]. Ne sono un esempio le “Bagnanti nella luce” (1956) - in cui mostra un linguaggio lontano da quello adottato dopo l’esperienza parigina, carica di tonalità cupe e linee espressionistiche, altresì distante dalle drammatiche e stranianti “Bagnanti con sole giallo” (1961). Nelle quattro “Bagnanti” (1960; 1961; 1962; 1963) osservabili in Galleria, invece, l’artista spinge al limite le potenzialità espressive delle forme umane, indagandole insieme alla natura selvaggia che le circonda. Entro composizioni affollate, frutto di una visione concitata, si realizzano audaci deformazioni: sanguigno e carnale, esposto senza vergogna e con oggettivo verismo, il corpo si fa allungato e gonfio in maniera quasi surreale, caratterizzato da tinte espressioniste e delineato da un tratto nervoso che crea superfici vibranti.
Il soggetto delle bagnanti è un riferimento storico che, pur evocando Cézanne, si aggiorna ad un linguaggio sempre nuovo, tanto che, in virtù di questa capacità di rinnovamento costante, Nello Ponente, allievo di Venturi e promotore di artisti contemporanei di rottura, definisce Pirandello un pittore d’avanguardia[7], pieno di contrasti, in grado di rompere con il suo modo precedente, uscendo fuori ogni volta con qualcosa di nuovo e di bello; prudente ma audace, secondo Ponente, egli è un artista che raggiunge lentamente risultati rivoluzionari e che possiede una libertà formale adatta ad esprimere quel mondo complesso che ci riguarda.
Nel frattempo, supportato da Venturi, intensifica la sua attività espositiva, partecipando assiduamente alle Quadriennali di Roma, alle Biennali di Venezia e prendendo le distanze dai principali gruppi di tendenza italiani. Ottiene molti riconoscimenti, tra cui la Medaglia d'oro come benemerito della cultura e dell'arte dal Presidente della Repubblica Gronchi, il Primo Premio alla VI edizione della Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma del 1951, il Premio Gualino alla Biennale di Venezia del 1952, il Premio Marzotto nel 1953 ed il Premio del Fiorino nel 1957. Inoltre, nel 1955 tiene la sua prima personale negli Stati Uniti, presso la Catherine Viviano Gallery di New York. Negli stessi anni, si dedica anche alla scrittura d'arte su riviste del settore come Quadrivio, La Fiera Letteraria e L'Europa Letteraria, partecipando al dibattito artistico del su otempo. Negli anni Sessanta è tra i pittori della Scuola Romana premiati alla XIII Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma, riceve il Premio Michetti (1964) ed il Premio Villa (1967). Infine, negli ultimi anni della sua vita predilige la tecnica del pastello, abbandonando gradualmente la pittura ad olio.
Tema prediletto dell’artista è senza dubbio quello delle figure umane, colte con ruvida verità, nude, senza censure e definite nella loro più vivida carnalità, esemplificate da “Nudo” (1948), “Nudo disteso” (1954), “Nudo con tenda arancio” (1957) “Donna tra i fiori” (1967), suggestivi e magnifici oli su cartone, tutti visionabili in Galleria.
Mettendo in atto un coraggioso scavo nella realtà, l’arte di Pirandello si offre allo spettatore in tutto il suo espressionismo carico di un pathos gravido di emotività e commozione. Nelle composizioni campeggiano figure isolate, la cui carne umana è indagata con sfrontatezza ed «il ricordo regredisce a mano a mano, scomponendosi nei colori-luce»[8]. Così una gioia o un dolore diventa pittura viva e materica e, facendosi strada con violenza cromatica, irrompe sul supporto, deformando ed alterando le forme e lo spazio: «con enormi cautele l’artista fila la trama del segno, per imprigionarvi l’immagine a sua insaputa. Quella di solito sfugge; o resta presa per avventura fuori dei segni, proprio nei punti vuoti, nelle isole bianche, in pause predestinate»[9]. Attraverso la densità delle pennellate, il colore si condensa, tramutandosi nel peso specifico delle emozioni che dall’anima si riversano sulle tavole e sui cartoni, parlandoci «molto bene delle nostre passioni, anche se non le conosciamo»[10] ed assolvendo a quella che, secondo Venturi è la premessa indispensabile dell’arte moderna.
Sara Maffei