A Roma l’opera di Ai Weiwei che riflette sulla morte

Un lampadario composto da 2000 pezzi di vetro evoca frammenti del corpo umano e un memento mori quanto mai attuale. È l’intervento di Ai Weiwei per le Terme di Diocleziano a Roma

Io credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze”. Lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia credeva nel valore delle coincidenze come una possibile chiave di lettura del reale, vicina alla visione dei grandi artisti, spesso basata su attente letture di segnali impercettibili ma significativi del reale. Così la presenza dell’artista cinese Ai Weiwei (Pechino, 1957) con La Commedia Umana, opera monumentale presentata nell’Aula XI delle Terme di Diocleziano, è al centro di una trama di coincidenze che espandono la potenza simbolica e politica dell’opera, esposta in concomitanza della Turandot al Teatro dell’Opera di Roma, prima regia teatrale nella fulminante carriera dell’artista, che ha ambientato la storia della principessa in una scenografia ispirata a Roma e alle sue rovine.

Ai Weiwei, La Commedia Umana, photo credit Edward Smith

Ai Weiwei, La Commedia Umana, photo credit Edward Smith

L’OPERA DI AI WEIWEI A ROMA

Think big! L’opera di Ai Weiwei è un lampadario nero composto da 2000 pezzi di vetro soffiato e fuso nei laboratori dello Studio Berengo a Murano, che rappresentano frammenti anatomici del corpo umano, dalle ossa del bacino al fegato, dal cervello all’intestino, uniti per dare corpo a una struttura unica, alta otto metri e larga sei. Una delle opere più grandi mai create in vetro, grazie all’unione di tecniche tradizionali e sperimentali, posizionata nel colossale ambiente che costituiva la riserva d’acqua della natatio: la più grande piscina scoperta dell’antichità, profonda un metro e cinquanta centimetri per 4000 metri quadrati. Un piccolo lago al centro del complesso termale più imponente della Roma imperiale, costruito dall’imperatore Diocleziano tra il 298 e il 306 d.C.: 2000 vasche distribuite su una superficie di tredici ettari, che potevano ospitare fino a 3000 persone contemporaneamente.

Ai Weiwei, La Commedia Umana, photo credit Francesco Allegretto

Ai Weiwei, La Commedia Umana, photo credit Francesco Allegretto

GLI SCHELETRI IERI E OGGI

Di fronte all’ingresso dell’Aula XI è collocato a parete un mosaico del terzo secolo d.C. proveniente da un’area sepolcrale sulla via Appia, che raffigura uno scheletro disteso su una sorta di triclinio, che indica con la mano ossuta il motto in greco antico dell’oracolo di Delfi “Conosci te stesso”.  Si tratta di un’immagine che evoca i larvae conviviales, modelli di scheletri snodabili che i patrizi romani esponevano sulle tavole durante i banchetti, da una parte come memento mori, per ricordare la brevità della vita terrena, e dall’altra per stupire i partecipanti con pietanze ricercate, probabilmente ‒ sostiene la studiosa Maria Elisa Garcia Barraco ‒ per sottolineare il legame con la filosofia di Epicuro, molto in voga nella società romana dell’epoca. Lo testimonia il comportamento di Trimalcione descritto nel Satyricon di Petronio, che getta sulla tavola una serie di scheletrini in argento, accompagnando il gesto teatrale con la recitazione di motti sulla caducità dell’esistenza.

Ai Weiwei, La Commedia Umana. Photo Daniele Peruzzi

Ai Weiwei, La Commedia Umana. Photo Daniele Peruzzi

LA MORTE TRA PASSATO E PRESENTE

A poche centinaia di metri dal museo delle Terme, la chiesa di Santa Maria dell’Immacolata Concezione affacciata su via Veneto custodisce la tomba del frate cappuccino Antonio Barberini, fratello di papa Urbano VII, che fece apporre sulla sua tomba l’epitaffio Hic iacet pulvis cinis et nihil (“Qui giace polvere, cenere e niente”), ripreso dalla frase collocata all’ingresso della cripta “Noi eravamo quello che voi siete, e quello che noi siamo voi sarete”. All’interno cinque ambienti interamente decorati con le ossa di 4000 frati, raccolte tra il 1528 e il 1870: tra le decorazioni figurano anche lampadari composti da tibie, peroni, vertebre e altri frammenti di scheletri: l’intera decorazione, di gusto settecentesco, ha la funzione di esorcizzare la paura della morte, presentata in una dimensione quasi domestica. Corpi concepiti come contenitori delle anime, che dopo la morte possono essere reimpiegati in altre maniere, quasi a voler creare una sorta di consuetudine con il momento del trapasso.
Oggi a me domani a te”. La targa marmorea sulla facciata della chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte in via Giulia annunciava l’atmosfera macabra della sua cripta, un ossario dove sono conservate le ossa di 8000 salme, raccolte dal 1552 al 1896, che fino al 1870 serviva come fondale di sacre rappresentazioni funebri con figure in cera a grandezza naturale, destinate soprattutto al popolo, durante la settimana dei defunti. Una tradizione che affondava le sue radici nella cultura barocca, che “svela un sentimento tragico del tempo percepito e raffigurato come un percorso inesorabile verso la morte; la fugacità della vita intesa come istante, non sollecita il senso vitale dell’esistenza, ma agisce da monito costante e invita ad una sorta di contemplazione lugubre del memento mori”, sottolinea Stefania Macioce.

Ai Weiwei, La Commedia Umana. Photo Daniele Peruzzi

Ai Weiwei, La Commedia Umana. Photo Daniele Peruzzi

IL LAMPADARIO DI AI WEIWEI A ROMA

Al centro di un gioco di coincidenze intorno al rapporto con la morte che legano la Roma Imperiale con la città barocca, tra etica, morale e religione, l’opera di Ai Weiwei si pone come un segno forte e potente con aspirazioni universali, sottolineate dal titolo, che si riferisce all’opera omnia dello scrittore francese Honoré de Balzac, edita nel 1842. Un oggetto gigantesco che unisce festa e lutto, quotidianità e dramma, ironia e tragedia, come sottolinea l’artista. “Il lampadario è un oggetto glamour che si espone in casa, per esempio in salotto. È il mio bisogno di includere la morte nella nostra quotidianità, di connettere un oggetto di interior design a quello che succede fuori dalla casa, nel mondo” (V. Mantengoli, Ai Weiwei: “Il mio lampadario di Murano fragile come la vita”, Robinson, 30/9/2020).
Un filo oscuro lega i possibili riferimenti all’attualità, come il cavo metallico che unisce tra loro le ossa in vetro del lampadario: i profughi scomparsi nel Mediterraneo, i morti a causa della pandemia e ora le vittime della guerra in Ucraina. “Bisogna coesistere con la morte, non cancellarla. L’artista ha la responsabilità di concentrarsi sull’umanità e di continuare a chiedere chi sta morendo, perché e come”, aggiunge Ai Weiwei. Forse mai come in questo periodo la morte è entrata prepotentemente nel nostro quotidiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ed è urgente trovare nuove strategie per affrontarla.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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