C-ucina a Firenze. Il progetto sul cibo di due architetti e due librai
C-ucina, nella Firenze meno turistica, è un progetto legato alle dinamiche che si instaurano intorno al cibo. Uno spazio dove la cucina è cultura, ristorante ma anche bottega e libreria
Due architetti e due librai che insieme propongono la loro idea di “cucina”, a Firenze. C-ucina è innanzitutto un ristorante, ma date le premesse la portata del progetto non si esaurisce certamente nel servire cibo. Lo spazio nato poco più di un mese fa in via Giano della Bella (siamo Oltrarno, nella tranquillità del quadrante alle spalle dei Giardini Torrigiani, città per fiorentini più che per turisti) accoglie gli ospiti in un ambiente volutamente domestico – ma non improvvisato – perché è questa la definizione di cucina più pertinente al pensiero di Simonetta Fiamminghi e Giuseppe Bartolini (figlio d’arte di Lucia e Dario Bartolini, colonne di Archizoom). Coppia nella vita e sul lavoro, i due architetti hanno unito le forze con Maddalena Fossombroni e Pietro Torrigiani, titolari della libreria indipendente Todomodo, fiore all’occhiello della scena culturale fiorentina, non nuova a sintonizzarsi con progetti gastronomici (negli spazi di Todomodo è nata in passato l’esperienza dell’UqBar, che ha visto partecipare proprio Simonetta e Giuseppe).
C-UCINA A FIRENZE. LA CUCINA COME PROGETTUALITÀ
Ne è nato un locale trasversale, centrato su diverse forme di valorizzazione del cibo, inteso come fatto culturale e familiare: “Sentivamo l’esigenza e il desiderio di mettere in piedi un progetto sul cibo che non fosse una firma o una dichiarazione di cucina autoriale, ma una rappresentazione di cucina domestica intesa come attitudine al fare domestico” spiega Giuseppe Bartolini “Del resto, come architetti siamo arrivati alla cucina da un modo di fare progettuale tipico del design e dell’architettura, e ci sono molte tangenze: la differenza è che nella cucina un progetto si verifica nei tempi brevi della quotidianità, mentre il fare architettonico è dilatato sul lungo periodo. Insomma, il nostro processo creativo è atipico, ma la sostanza è semplice: apparecchiamo un tavolo e mettiamo in moto una cucina che trasforma degli ingredienti”. La materia prima, infatti, gioca un ruolo centrale in questo processo, a partire dal momento fondamentale della spesa mattutina: “Instauriamo un dialogo con la città, le botteghe, i mercati. Per noi architetti il mercato è uno spazio urbano carico di significati, lì vive e si confronta la città. Da cittadini ci piace mantenere e incentivare questa pratica”.
LE INFLUENZE CULTURALI DI C-UCINA
Si collabora dunque con piccole aziende, ricercando filiere cortissime, ma senza inseguire il mito del Km 0, che anzi, per i limiti culturali intrinseci che il concetto porta con sé, da C-ucina non conosce esclusive: “Per noi la cucina, in quanto occasione culturale, è proprio l’opposto. Parliamo piuttosto di Km 5000, in uno spazio dove i territori si incrociano, si scambiano e si autodeterminano proprio nel confronto con l’altro. Nel caso specifico siamo molto legati all’incontro con la cultura berbera marocchina, di cui abbiamo incamerato l’approccio alla costruzione del piatto, ma anche l’utilizzo delle spezie. Ma contemporaneamente è sempre presente il ricordo delle nostre madri, due donne e due cucine molto diverse tra loro – una parmigiana, l’altra del Valdarno – legate da un aspetto fondamentale quando si prepara del cibo per gli altri, l’affetto”. Dunque da C-ucina, al momento, si arriva per pranzo e cena, anche se la grande porta vetrata scorrevole d’ingresso è sempre aperta per chi vuole entrare a curiosare. Presto, con cadenza settimanale, si potrà fare anche la spesa di cose buone (dal sale di Trapani alle mandorle, al miele), mentre già in nuce è lo spazio dedicato alla libreria, gestito da Maddalena e Pietro, per ora incentrato su libri legati al cibo e alla cucina. L’ambiente è ampio e luminoso, il progetto l’hanno curato personalmente Simonetta e Giuseppe, disegnando e realizzando mobili e suppellettili che arredano la sala, dai tavoli ai taglieri, ai piani di lavoro. Fil rouge? Il legno di castagno. “È fatto tutto su misura per noi, perché C-ucina dev’essere famiglia, e qui finiamo per viverci tutto il giorno”. Con la bella stagione si potrà pensare anche a un insolito dehors, spalancando la porta d’ingresso per “aprire” l’interno verso la città, quasi fosse una piazza che invita chi arriva a fermarsi.
IL MENU DI C-UCINA A FIRENZE
Il menu cambia ogni giorno, con proposte semplici, ma ben ragionate: l’aringa con il cappuccio e il rafano, l’uovo alla berbera, il panino con l’inzimino ligure, il cavolfiore tostato sul ferro come un cous cous, la kofta con lo yogurt e la menta, la culaccia con i finocchi. Genuini anche i dolci, tra sbrisolona e torta di mele. In parallelo procede un servizio delivery (o asporto) a raggio molto limitato. Il progetto, del resto, è nato durante il lockdown proprio a partire da un servizio di consegna a domicilio di ingredienti selezionati, pronti per essere cotti. E qui salta di nuovo all’occhio la formazione da architetti: “Il fulcro della cucina non è la ricetta. Ci rifacciamo a una lezione berbera: nella loro tradizione c’è una venerazione assoluta del fuoco, e il piatto più rappresentativo è la tajine, uno spazio in cui è possibile progettare una sequenza verticale di ingredienti, partendo dal fondo a salire, impostando una sequenza stratigrafica in base al rapporto di ogni prodotto col fuoco. A quel punto ti affidi al fuoco: sai che in un tempo stabilito, farà di quel progetto una cosa definita. Ci piace trasmettere questa idea alle persone che ricevono il nostro delivery, e anche noi la riprendiamo in cucina”. Come se non bastasse, i prezzi sono piuttosto contenuti.
‒ Livia Montagnoli
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