I nuovi allestimenti della Pinacoteca Tosio Martinengo a Brescia
La Pinacoteca bresciana ha riallestito le sue sale, celebrando i protagonisti del Settecento lombardo. Fra volti noti e qualche sorpresa
Corpi che ora s’intrecciano in pose statuarie e ora si librano e restano sospesi in aria, ora si separano strisciando e contorcendosi sul pavimento e ora si riaggregano sollevandosi e quasi pietrificandosi a vicenda: scanditi dalle note di una colonna sonora ipnotica, i movimenti dei danzatori si dilungano di stanza in stanza, sotto gli occhi di santi, di martiri e di condottieri. Sì, perché non ci troviamo in un teatro ma in un museo, dove gli spettatori si inseriscono nello spettacolo e diventano complici di un reticolo di sguardi, di transiti, di sinestesie.
“Le opere e la danza dialogano tra loro perché si osservano a vicenda”, spiega Diego Tortelli, autore delle coreografie di Stanze / Rooms, pensate espressamente per essere performate in quegli spazi e anzi ispirate direttamente dalla suggestione del luogo, come a ripercorrerne le memorie e a incarnarne lo spirito.
LE NOVITÀ DELLA PINACOTECA TOSIO MARTINENGO
Questo luogo straordinario è la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, e lo spettacolo che prende vita nelle sue sale si inserisce nei festeggiamenti, a distanza di quattro anni dalla sua riapertura nel 2018, per i rinnovati allestimenti, le nuove acquisizioni e un palinsesto di iniziative che prevedono un’aggiornata identità visiva, nuove strategie di comunicazione e il coinvolgimento del pubblico in manifestazioni di teatro, danza e musica, previsti all’interno delle sale del museo.
Come ci dice Stefano Karadjov, direttore della Fondazione Brescia Musei, “la Pinacoteca si riappropria del proprio luogo di cenacolo, vivo e vitale, dove la creatività contemporanea ha cittadinanza e grazie a essa le collezioni e lo stesso Museo ripopolano il panorama culturale della città”. Nell’allestimento di Paolo Tassinari il sontuoso alternarsi delle colorazioni degli intonaci e delle tappezzerie, conferendo a ciascuna sala una sua propria temperatura cromatica, vivacizza il cammino dello spettatore di continui stacchi emotivi.
Il nuovo percorso espositivo, curato da Roberta D’Adda, coordinatrice dell’area collezioni e ricerca della Fondazione, frutto di recenti donazioni e prestiti, riguarda in particolare le sale dedicate al Settecento, e ha come centro ispiratore la figura di Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, presente a Brescia con quindici capolavori e per il quale è stata aggiunta e dedicata per intero una singola stanza. Le “nuove” opere del Ceruti allegate alla collezione del museo sono il Bravo (1725 ca.), la Madre con bambino (1730), il Ritratto della marchesa Laura Vitali Aliprandi e il Ritratto del marchese don Erasmo Aliprandi (1740 ca.). Riscoperto solo agli inizi del Novecento e oggi universalmente famoso per le sue raffigurazioni di vita quotidiana e per l’attenzione riservata alle condizioni degli umili e dei reietti, espressa con crudo realismo e partecipazione umana, egli fu infatti anche un valido pittore di ritratti. La grande esposizione a cura di Roberta D’Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti in programma per febbraio 2023, anno in cui Brescia con Bergamo sarà Capitale della Cultura, costituirà l’occasione per celebrare a tutto tondo l’importanza della sua opera e sancirne la posizione di primo piano nella storia dell’arte del XVIII secolo.
LA PITTURA DEL ‘700 IN LOMBARDIA
Intorno al perno costituito dai dipinti del Ceruti si snoda un itinerario che attraversa le declinazioni più tipiche ma anche più curiose della pittura settecentesca, tra il patetico e lo scherzoso, il drammatico e il grottesco, l’aneddotico e il fantastico. Se opere come la Giovane contadina (1720 ca.) di Antonio Cifrondi o la Colazione di pitocchi (1725 ca.) di Giacomo Francesco Cipper detto il Todeschini ci ampliano il panorama della pittura di realtà in chiave pauperistica e documentaria, le fantasie di un Faustino Bocchi, con le sue storie di omuncoli e di pigmei perseguitati da creature mostruose come può esserlo per loro un semplice gambero di fiume (realizzate intorno al 1735), dietro lo spunto chiassoso e buffonesco celano un’amara riflessione sugli affanni dell’esistenza quotidiana e sulla precarietà della vita. Ricollegandosi ai maestri della pittura di realtà che li precedettero, come Lotto, Savoldo, Moretto e Moroni, presenti in gran copia nella collezione, questa linea lombarda settecentesca fu certamente di ispirazione alle generazioni successive, tramite influenze e trasmissioni che sfoceranno alla fine in esiti culminanti nel realismo di Courbet.
‒ Alberto Mugnaini
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